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Il veleno dell’Amore in versi…

DEL TUO ESSERE VELENO…
di Giancarlo Fattori
 
Del tuo essere veleno
conosco ogni goccia:
quella che mi terge
il pianto all’alba,
quella che, di notte,
risveglia in me la belva.
E’ pallida essenza
dannata a esser ombra,
che all’aroma dell’amore
m’imprigiona, e m’inganna,
al tuo errare eterno
tristemente m’incatena.
Una luna dopo l’altra
attendo la sua morte,
tra le braci del mio letto
che ci fungono da tomba,
adagiati nella brezza
che lontana ci disperde.

*Versi ricevuti direttamente dall’Autore

**Foto del quadro di Jean André Rixens – The Death of Cleopatra (1874) – liberamente tratta da: http://deaminerva.blogspot.it/2008/11/la-morte-di-cleopatra.html
 
 

Visioni Poetiche da… Giancarlo Fattori.

 
VISIONE n°3 di Giancarlo Fattori
 

EROSFERA 1.jpgLungofiume argentato.

 

Oltre i cancelli della luna

 

è tempo senza tempo.

 

L’universo degli dei

 

in un battito di ciglia.

 

Dalle spume del mare d’estate

 

al vento che sgretola le rocce.

 

All’inizio del selciato

 

un seme di melograno.

 

Labbra bugiarde, ragnatele di sangue

 

dietro maschere di filigrana d’oro.

 

Rugiada sul tuo corpo,

 

tanti sogni quante sono le lacrime,

 

prigionieri di labirinti in pietra,

 

senza aria né luce.

 

Fremono le torce della bellezza,

 

epiche barbariche romantiche.

 

L’attimo di ogni morte

 

è rimasto cristallizzato,

 

tutti i silenzi nella luce del tramonto,

 

tutto l’oblio della memoria.

 

Un grido,

 

congelato sui giacigli del tempo.

 

Ipnosi cosmica, luce raminga:

 

soltanto gli spettri randagi

 

s’aggirano tra scrigni di tesori.

 

Sul selciato cresce una pianta di melograno.

 

I suoi frutti riverberano alla luce,

 

e parlano di sogni,

 

di sorrisi delle donne ai margini dell’estate.

 

Il loro profumo accarezza il vento.

*Versi e dipinto digitale “Erosfera” ricevuti direttamente dall’Autore: http://www.ilsorrisodelmelograno.blogspot.it/

**Per leggere i commenti sul suo ultimo libro: http://ilmiolibro.kataweb.it/reader_dettaglio_recensione.asp?id_recensione=2328

 

L’Arte alla Fonte… Versi e Quadri.

untitled.pngLA DANZA DI DIONISO

di Giancarlo Fattori

Un rigagnolo giace

a specchio della luna,

un volto senza trucco,

capelli come vigne tortuose,

da vendemmiare.

Spossata calura di fine estate,

il cadere, fiorito, dei sensi

arroventati d’amore,

di triclini di vento.

Sgocciola un cielo

color del miele,

e tu, pelle e occhi d’ambra,

frenetica, al crepuscolo,

d’ardita danza.

A piedi nudi mi erigo

al cielo, alla foglia d’alloro,

in olocausto ubriaco

alla liscia carezza delle tue mani.

Sembra porsi fine

questo giorno,

incrostando di nero

lo smorto sole, e io,

che trascino la nuda pelle

nel baluginar delle ombre,

urlo le stelle, il selenico sasso,

e di glicini indosso un velo.

Cogliendo il ritmo

come si coglie il virginale fiore

che, impudica, sbocci,

s’ara la terra, la s’ingravida

di sospiri, e percezioni.

Piange il salice

stendendo al vento

le lacrimose gocce,

s’elevano grida

e suoni dal profondo,

si lascia il sonno

a ogni stelo d’erba.

Non si quieta la vertigine

quando il dio resta in cuore,

e splende Venere

calando all’orizzonte.

Risplende la rugiada

che a ragnatela tinge

le vestigia antiche:

di corpi e sensi veste il volo,

l’audace ballo, lo stordimento.

*Versi ricevuti direttamente dall’Autore, per accedere al suo blog poetico:
http://ilsorrisodelmelograno.blogspot.com/


**Immagine postata dalla Redazione del dinanimismo: Quadro “Elisa al ruscello” del Pittore Vincenzo Carofalo http://www.carofalovincenzo.com/

Giancarlo Fattori: tra prosa e poesia!!!

100_3432-2 copia.jpgVENEZIA di Giancarlo Fattori
 
Sembra che tutto, all’improvviso,
sia giunto a termine,
nella luce trasfigurata
del tuo sogno di bellezza eterna.
Stai morendo? Che importa,
forse muoio anche io,
affondando nei tuoi diafani seni,
nella borghese melanconia
del tuo salotto da Titanic,
che cola a picco nei miasmi lagunari,
nelle acque infette della storia,
o nella superbia, dietro cui ti celi.
Adagiata sul mare
come sull’orlo dell’abisso,
con vista sulle tue viscere antiche.
Sto morendo?
Si, e tu non m’accogli nel tuo ventre,
distratta come sei dalle tue briciole d’Oriente,
e, nel silenzio, echeggiano i miei passi,
io, pallida maschera di porcellana
che si spegne, in un tormentato inganno.
E, dunque, chi sono io, adesso?
Io, che muoio con te,
che piango le tue stesse lacrime sovrane,
con le dita tese a Bisanzio,
e il lontano ricordo delle fiamme
che rasero al suolo Aquileia,
mentre sul mare languiva Grado,
e s’accendeva il tuo splendore.
Vedi? E’ tutto finito, persino noi,
e quando m’assale la tristezza
mi crogiolo nei marmi traforati
delle tue scollature,
perchè siamo uguali, io e te,
la nostra struttura è irrazionale.
Agli occhi frettolosi di chi passa,
di chi ti compra a pezzi
senza lasciarti amore,
sei l’amore dei luoghi comuni, e oscuri.
E non mostri i tuoi relitti
se non nei colori spenti
delle tue forme di vecchia amante,
senza peso, senza materia,
fino a divenire sfuggente, traditrice.
Sul delta di Venere del tuo abbandono 
io giaccio,
indifferente alla tua 
come alla mia stessa morte,
e m’addormento tra le tue braccia
come tra le cosce d’una sposa,
solo, col cuore ardente,
tra i veli del tuo spettro,
pregni di vento, di adriatico sale.

*Dipinto digitale e poesia ricevuti direttamente dall’Autore.

JANIS JOPLIN… secondo Giancarlo Fattori

janis_joplin.jpgJANIS
 
Appoggia i braccialetti sul comodino,
lasciali tintinnare nel buio,
lascia che siano loro a parlare di te:
 
non la bottiglia vuota,
non le tue suppliche d’amore, cadute nel vuoto,
non la carta vetrata della tua voce, un lamento,
 
e non di certo quella lacrima, che nessuno vede.
 
Come uno straccio sporco cadesti,
le tue labbra baciarono la polvere.
 
Avrei voluto trascorrere con te quella notte,
mi avresti cantato quella canzone, sai,
soltanto per me, usando come strumenti musicali
le tue collane, i tuoi anelli di pietra colorata,
le mie mani, i miei piedi, la mia pelle calda di te.
 
T’avrei presa per mano e,
correndo a piedi nudi nella notte,
t’avrei fatta volare, come in un dipinto di Chagall.
 
Non è quella siringa che parla di te,
non c’entra nulla con te, non ha suono né poesia.
Non è nemmeno una canzone d’amore,
da urlare a quell’uomo che non ti ascolta.
 
Cantala a me, quella canzone.
Sempre ti sento, e sempre attendo:
che tu giunga al mio letto,
che tu mi prenda per mano,
che tu mi faccia volare con te,
come aquilone.
 
Senza quella lacrima, che nessuno vedrà mai.
 
 
Giancarlo Fattori.

**Versi e foto di Janis Joplin ricevuti direttamente dall’Autore.

Giancarlo Fattori in versi e immagine.

«IO SONO LA’»

di Giancarlo Fattori


Io, che non sono più me stesso,

sono là, altro luogo, altra persona,

differente stagno, e limpido ruscello.

Se l’anima è in frantumi

la colla mi diviene sorriso,

spiana gli occhi, e le rughe,

pur se è poco più d’una fiamma,

nel buio.

Niente altro rimane,

e niente ha più importanza.

In questo antro s’è perso

il pensiero mio più caro,

pregno della melanconica scia

d’un fiore estinto:

è il tuo sguardo,

che nel vento si libra,

detergendo il pianto,

come ampia vela che il vento scuote,

nel nostro cielo che fa da strada,

e da fugace turbamento.

Io sono là: basta che osservi

lo scorrere delle notti,

perché sono il luogo, la persona,

lo stagno, e il ruscello che,

nel chiarore di un giardino,

s’impregna di aurora, e di te:

pallida tinta di mani lontane

a indicare il sole nuovo,

l’ultima morente stella,

e l’erba umida, su un lucor di lacrime.


Maggio 2011


*Versi ricevuti direttamente dall’Autore.

**Immagine digitale “La danza della luce” elaborata dallo stesso Autore.

Versi e Arte di Giancarlo Fattori

LA DANZA DELLA LUCE 7.jpg«UN UOMO SONO IO, SU QUESTI SENTIERI»

Un uomo sono io, su questi sentieri
dove visioni di stupore antico
negli occhi si specchiano, come cristalli
sbreccati dal tempo.

E i profumi, sulla floreale pelle
che dalla brezza viene accarezzata,
s’insidiano in pace e rumore,
e, dallo stupore, rimango senza fiato.

Creatura di sabbia sono io, di splendore
e granuli bagnati, che la pioggia, suadente,
piange da ogni nube, nel cielo appesa,
soltanto una luna arcana, una sanguinante anima.

Non vi è altro per me che un sole rosso,
la luce nuova che riflette sulla strada,
e ogni suono avanza, di pietra in pietra,
scavando con le mani, con il cuore.

E l’uomo che io sono rimane nello scrigno
che ogni sogno cela, con i relitti della vita lasciata,
liberando il sangue che di nuovo si scolora
nel luccicar della stella che imbianca il mio vespro.

Giancarlo Fattori, Maggio 2011

*Versi e Dipinto Digitale ( La danza della luce ): ricevuti direttamente dall’Autore

DISCORSI SULL’AMICIZIA

252917_221189457902689_100000349098153_777836_155052_n.jpgBROMANCE, OVVERO DELL’AMICIZIA MASCHILE. Di Giancarlo Fattori

Nell’osservare, in una mostra, alcune fotografie di amici, scattate verso la fine dell’800, mi è venuto di pensare a questo: nella nostra sensibilità moderna hanno qualcosa di stridente, in quanto denotano un’affettuosità molto marcata, fisica, sentimentale, che non è difficile etichettare come latenza omosessuale. Ma non è così. Per paradossale che possa sembrare, a differenza della nostra epoca moderna, gli uomini allora non provavano alcun timore nel mostrare la loro amicizia anche attraverso contatti fisici, intimi: abbracci, mani nelle mani, baci. Anche negli scambi epistolari, l’uso di un linguaggio accattivante e sentimentale, che la maggior parte degli uomini moderni troverebbe ambiguo al punto da metterli a disagio, non era affatto estraneo nelle relazioni d’amicizia, così come la condivisione dello stesso letto, o lo scambio di confessioni intime. Atteggiamenti come quelli espressi in queste fotografie d’epoca erano comuni, e ci aprono una finestra su una serena virilità vissuta reciprocamente, che oggi ci appare straniera. Nell’opera poetica di Whitman, l’amicizia virile andava oltre il cameratismo, senza mai essere fraintesa.

 

 

 

Ma di cosa parliamo quando parliamo di bromance? Bisogna ritornare, per un attimo, alla definizione aristotelica di amicizia: «l’amico è colui che desidera il bene dei suoi amici per amore degli amici che sono molto più che amici, perché ciascuno ama l’altro per quello che è, e non per qualità accidentali». Per bromance si intende una relazione d’amicizia affettuosa, stretta, intima tra due maschi eterosessuali. Puramente amichevole, quindi, e priva di connotazioni sessuali. Si tratta di un rapporto di confidenza, solidarietà, emotività, e intimità fisica, piuttosto simile a quello che si instaura, a volte, tra i bambini. Il termine, poco conosciuto da noi, è un connubio tra le parole fratello e relazione romantica. Coniato agli inizi degli anni 90, definiva il rapporto relazionale instaurato tra gli skaters americani che trascorrevano molto tempo insieme.

 

 

 

Se il termine è contemporaneo, quello che esprime risale all’epoca classica, quando l’amicizia virile era considerata la forma più alta di relazione affettiva, mentre quella tra uomo e donna era vista come inferiore, in quanto legame con un essere subordinato. Nel mondo greco le amicizie virili erano l’ideale di rapporto appagante e nobile, in virtù di una connessione emotiva priva dell’elemento erotico. L’epica stessa ha tramandato episodi di personaggi maschili intimamente legati tra loro, basti pensare all’amicizia tra Patroclo e Achille nell’Iliade di Omero, agli esempi di rapporto affettivo-eroico tra David e Jonata nella Bibbia, o tra Gilgamesh e Endiku nell’epopea babilonese. Nella sfera storica, l’esempio più forte, spesso ingiustamente considerato erotico, è stato l’amicizia profonda che legò Alessandro Magno a Efestione. Ma non è da sottovalutare il patto cavalleresco tipico della storia medievale, che trova la sua connotazione mitica nelle vicende romanzate dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

 

 

 

L’amicizia tra maschi è ancora influenzata da stereotipi culturali, primo fra tutti la paura della confidenza, dell’intimità fraterna, dell’emotività come rappresentazioni di una latenza omosessuale. In una società come quella attuale in cui gli atteggiamenti omofobici si stanno facendo più pregnanti, persino pericolosi, è difficile per gli uomini gestire l’intimità nelle relazioni d’amicizia. Eppure qualcosa sta cambiando, negli ultimi anni. Per paradossale possa sembrare, è stata proprio la cultura gay, nei suoi anni di lotte, a rivendicare il diritto dei maschi, omosessuali e eterosessuali, di abbattere le barriere degli stereotipi del maschilismo per dare più spazio alla dimensione emotiva. E molti uomini oggi si sentono più liberi e desiderosi di mettersi in gioco, di superare gli stereotipi del ruolo sessuale e della gestione dell’affettività. Non soltanto la cultura gay, ma anche le lotte femministe degli anni 70, e il loro dibattito sul maschilismo e sullo stereotipo maschile, hanno dato il loro contributo: gli uomini che oggi sentono più nel profondo di vivere una bromance sono i figli o i nipoti di quella rivoluzionaria generazione femminile. In epoca recente il mondo dello spettacolo ha visto esempi lampanti di bromance, uno fra tutti l’amicizia profonda e intensa che da sempre lega gli attori Matt Damon e Ben Affleck. Anche nel mondo della fiction televisiva o narrativa si incontrano spesso storie di amicizia virile di alto spessore emotivo: a me viene in mente il rapporto che lega Frodo e Sam nel romanzo di Tolkien Il signore degli anelli, rapporto così profondo da essere una vera e propria storia d’amore, totalmente priva della dimensione erotica.

 

 

 

Perché prima ho scritto eppure qualcosa sta cambiando? Perché il XX secolo ha visto un netto mutamento nei rapporti bromance, rispetto al secolo precedente. Lo stereotipo secondo il quale i maschi in età adulta creano barriere che scoraggiano l’intimità e l’emotività non è mai stato così forte come nel secolo scorso, e sopra tutto nell’ambito delle amicizie virili (ma anche nelle amicizie, meritevoli di  una riflessione altrettanto importante, che si instaurano tra un uomo e una donna, prive della componente sessuale). L’idea che un’amicizia fervente, ardente, fra maschi possa comprometterne l’eterosessualità è in realtà moderna. Non che l’omosessualità non fosse mai esistita, sia chiaro: essa è vecchia quanto il mondo, e in molte culture è sempre stata considerata aberrante. Ma le psicologie di primo novecento, col concetto di latenza omosessuale (vista anche come malattia, nevrosi, diversità), sommate agli stereotipi già esistenti (la confidenza come “roba da donne”, il concetto forzato di autosufficienza, la gabbia entro cui chiudere l’aspetto emotivo e le debolezze) hanno modificato l’amicizia maschile, che ha così perso la sua componente affettiva, intima.  La massificazione e l’industrializzazione hanno inoltre contribuito a verniciare i rapporti umani di competitività e concorrenza in un contesto sociale da giungla urbana. Il timore di vivere un’amicizia che possa, in qualche modo, essere vista con sospetto, ne ha modificato, nel corso del tempo, la modalità e le dinamiche. Allontanate le dimostrazioni “amorose”, l’amicizia maschile si è arricchita di altre gestualità, approfondendo concetti guida: la virtù intellettuale, l’abbraccio saldo, la pacca sulla spalla, la lealtà, il sodalizio, la complicità, la stima, la condivisione di momenti piacevoli (la birra, lo sport, la musica). C’è poi un altro aspetto da tener conto, cioè che in passato la struttura sociale stessa era differente, nel senso che uomini e donne hanno vissuto, fino al giorno del matrimonio, in mondi separati, con scarsa o nulla interazione tra i sessi, permettendo così di incanalare l’intensità dei legami e il bisogno di affetto e emotività anche fisica in una dimensione che viene definita omosociale.

 

 

 

Forse è soltanto nella sfera militare che il maschio del XX secolo ha continuato a vivere legami affettivi saldi. Che si parli delle drammatiche esperienze di guerra, o della convivenza coatta nel mondo delle caserme, la realtà di questo universo totalmente al maschile ha contribuito a creare legami intensi, di vera fratellanza, che spesso si protraggono negli anni seguenti. Questo è valido in modo particolare per chi ha vissuto la tragica realtà delle guerre, realtà che ha fatto emergere situazioni, spesso anche toccanti, di protezione, consolazione, condivisione, coraggio, fedeltà all’amico. Ma anche al di fuori della realtà bellica, in un contesto militare di pace, il cameratismo è sempre stato un elemento fondamentale nella creazione di “amicizie per la pelle” che, come sostiene lo psicologo Marco Garzonio, è una «metafora in cui la pelle è intesa come vita, a indicare il legame tra compagni di battaglia a cui si affida la propria incolumità». È interessante notare come proprio nel mondo militare, così pregno di palese maschilismo, si possano instaurare legami profondi, senza una presenza omofobica che possa fare da intralcio. Oggi, in Italia, questa dimensione di coesione sociale e di rito di iniziazione è venuta a mancare, grazie alla soppressione della leva obbligatoria: se questo sia un bene o un male, non è compito dirlo in questo contesto, così come non è compito dire se l’introduzione delle donne in un universo prettamente maschile abbia in qualche modo influenzato questa coesione.

 

 

 

Le cose, però, oggi stanno cambiando, come scrivevo prima. Si assiste a un ritorno della sfera intima e affettiva nel mondo delle amicizie al maschile. Alcuni studi sociologici affermano la positività di questo aspetto, in quanto la solitudine, la stereotipia, l’isolamento, il desiderio di abbattere luoghi comuni ormai logori, stanno portando i maschi del nuovo millennio a riscoprire il valore dell’emotività. Gli uomini che lo fanno vivono più felici. Oggi un uomo che non teme di mostrare la propria fragilità, le proprie lacrime, non è più considerato un uomo debole e, agli occhi di chi non smette di lottare per abbattere barriere, assume una forza straordinaria. Il maschio si rivela umano e sensibile, com’è giusto che sia. Anche nei legami d’amicizia, l’uomo sta tentando di recuperare una sua propria ridefinizione, allontanandosi dal modello imposto dalla cultura degli stereotipi, per avvicinarsi di più al concetto classico, aristotelico. E attingere con più coraggio alla propria realtà interiore fatta di emozioni e sentimenti. C’è sempre più bisogno di sfidare la barriera dell’imperante cultura omofobica, di raffigurare l’amicizia virile con l’immagine di due uomini uno accanto all’altro con lo sguardo rivolto verso se stessi e verso l’esterno. Si assiste oggi, e ci si augura di assistere anche in futuro, alla presenza di un uomo nuovo, e di un modo nuovo per lui di costruire rapporti e relazioni. L’amicizia vera tra uomini è basata su elementi fondamentali, quali la mancanza di giudizio morale e critico, la sincerità, la fedeltà, la complicità, l’aiuto disinteressato. Ma oggi possiamo anche aggiungere l’elemento romantico, affettivo, intimo, senza che questo debba essere guardato con sospetto: amici che si guardano, che si accarezzano, si tengono per mano o si sorridono, come dovrebbe essere. Perché l’amico, come la moglie, il figlio, è colui che si ama “per quello che è, per il suo bene”.

 

a Nino

 

*Saggio ricevuto direttamente dall’Autore.

 

**Quadro del Pittore Carofalo Vincenzo, ricevuto dallo Stesso.

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