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VERSI DI ANTONIO VANNI

antonio vanni,versi,poesia,dinanimismo,isernia,ferrara,genesi edizioniIL TRAMONTO (dedicata a Luciano)

tratta dalla raccolta edita DIARIO DI UNA NUVOLA BASSA,edizioni EVA, Venafro(IS), 1994.

Doveva esserci dell’aria
nel globo marmoreo ove tu posasti
le tue felicità e stanchezze un solo istante
sdraiato ai seni necessari dell’alba,
se ora al mio respiro esso sfugge al cielo
ed io sì forte non mi conoscevo
da librarti in aria amore mio.
Questo è il silenzio dei tetti rosa all’agghiaccio
ch’io ascolto, il freddo che chi ama sa riconoscere,
il freddo della chiesetta chiara al docile vagabondare
dei suoi angeli, i chierichetti,
come onde le sfuggenti campanelle
e si disperano.
Gesù è un gioco bello, di coccinelle,
e dura poco.

Oh quanta sete in quest’esodo di fuoco!
Un uomo solo dai mille cappelli io resto,
dinanzi i vetri lucidi dei tuoi occhi,
un palco di colori per la recita.
Un uomo elegante col fascino della sabbia che brucia
sulle labbra e ti segna con la mano
uno ciao marino.
Doveva esserci dell’aria nel mio cuore ed una nuvola
se confido nel volo di un’ala,da sola,
un pò grottesca a vedersi
col corpo nello sguardo della sera disperso.
E sei solo amore
giù con le corde delle bambine
non appena tutto è diverso da te.

Crescono nel cortile gli scolari.
Ai loro doni di china sul viso
tu poni resina di mirto tra i capelli,
che m’invento un cigno,il tramonto,
se è vero ch’esso è vicino a Dio, il suo canto,
e tagli il vento coi vestiti nuovi
e cammini.
Poi attraversa il campo un bel veliero giallo,
un ritornello così, quasi un fratello.
Farai tardi a scuola
(col Miracolo di Heliane che hai udito,tossendo)
la tua cartella è di gioia
(Korngold,correndo,Il bravo sartino tredicenne)
coi quaderni a quadretti sul globo marmoreo
dimenticati,sì,dimenticati
com’esuli graffiti ai sassi rovesciati.
Io me ne andrei via felice
ultima estate da bambino,
diario di una nuvola bassa.

(Antonio Vanni)

ANTONIO VANNI È nato ad Isernia (Molise) il 16-12-65. Diplomato Ragioniere ed Infermiere Professionale, è laureando in Psicologia. Secondo di 5 fratelli, inizia a comporre versi all’età di 12 anni, divenendo a 18 anni, con la prima raccolta edita La Nube membro onorario dell’Accademia di Scienze Umanistiche del Brasile. È autore di racconti brevi, ancora inediti.
Nel 1995 il giornalista Fulvio Castellani pubblica una monografia sull’opera di Antonio Vanni. Opere pubblicate: La Nube, 1984; Alcadi, 1986; Viale dei Persi, 1987; L’albero senza rami e la luna, 1992, presso la Genesi Editrice, con prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti; diario di una Nuvola Bassa, 1994; L’Ariel, 1997.
Profilo critico: “È, Antonio Vanni poeta (e prosatore) lirico, contemplativo, descrittivo, estatico evocatore di paesaggi primaverili di boschi, radure, fiori gentili, di spiagge felici, di acque limpide, di loci amaeni entro cui si ambientano lievi vicende di sensuali malizie infantili, quasi sognanti sequenze di gesti affettuosi e ridenti, in un’atmosfera di età dell’oro, prima di ogni velo e di ogni consapevolezza di peccato e di divieto.” (Giorgio Bárberi Squarotti)

*VERSI: Ricevuti direttamente dall’Autore.

**BIOGRAFIA: tratta da  http://www.genesi.org/autore~id_autore~327.htm dietro indicazione dello stesso Autore.

 

 

     
 

POESIA INEDITA DI ZAIRO FERRANTE – VOCE DI ELIANA FARINON

BUONGIORNO DA ZAÌRO FERRANTE: Una consegna pesante… oppure una semina nel campo altrui?

 

 

 

IL TEMPO ( inedito)

Scorre il tempo
tra curve spigolose
inutilmente arrotondate
da ricordi trafugati.
Quasi rimbalza
dai tappeti della memoria
come storia immortalata
nell’inutile pagina
di un tentato vivere.
Eppur si muove.
– Il tempo –
Come cane bastonato
a mugolare tra le spine.
Uniche rose di un giardino
abbandonato.
E chiede il conto.
– Questo tempo –
Quando, al bancone,
tu consumi e perdi
la tua faccia
nel mascherare il tuo passato.
E nel prendere gli ultimi
tuoi spicci, il barista,

da sfacciato –
ti rammenta quel che eri.
E sorride mentre
tu l’aspetti al tuo autogrill.
Ultima fermata sgangherata
come oasi che ti allontana
dalla morte.
– E’ stupida illusione –
Tanto è tempo: che ti serve,
vola e ti sorpassa.
In quest’autostrada
che rallenta il tuo cammino
e che è la vita.
 
 
Zairo Ferrante, 8 – Ottobre – 2011
 
**Versi tratti dal sito:

http://girolamo.melis.it/2011/10/buongiorno-da-zairo-ferrante-una.html

DA IL FONDO MEGAZINE: Edizioni Heliopolis e il libro-manifesto ” Per una nuova oggettività “

Sarà disponibile entro breve, il libro-manifesto edito dalla Heliopolis Edizioni e curato da Sandro Giovannini, di cui più volte, su Fondo, abbiamo discusso. Di seguito la nota programmatica del curatore.

La redazione de ” IL FONDO MEGAZINE DI MIRO RENZAGLIA “

Libro-manifesto
Per una nuova oggettività
popolo, partecipazione, destino

Nel presentare il lavoro appena impostato più di un anno fa e sostanzialmente compiuto e tra poco in distribuzione, possiamo compiere alcune considerazioni, spero oneste e non trionfaliste. Anzi speriamo sostanzialmente autocritiche, se sempre, siamo convinti, ci debba assistere una forte insoddisfazione per ciò che noi stessi raggiungiamo, anche con sforzo notevole, per ambire a sempre maggiori risultati. Oltre 150 adesioni formali, oltre 90 contributi scritti riordinatisi naturalmente per “Argomenti”, a seconda di vocazioni ed attitudini. Ma al di là del dato numerico che potrebbe significare molto e poco, assieme, ciò che conta è verificare se da questo sforzo, che non ha oggettivamente eguali comunque negli ultimi decenni, venga fuori una prospettiva di lavoro utile. Nella Postfazione di Sessa, compiuta per necessità strumentali a circa ¾ del lavoro complessivo e quindi non includente necessariamente la totalità delle sollecitazioni derivanti dai contributi stessi, ma che con grande capacità coglie gli elementi fondanti tale insieme di espressioni, viene definita una “identità plurale”, non come minus, ma come una speranza di “fuoriuscita dall’apatia al progetto”, con implicita una “forte motivazione inclusiva”. Le prospettive sono le più varie “geo-filosofiche, estetico-politiche, psicologico-archetipali”, e questo oltre ad essere scontato è anche, a ben vedersi, una potenzialità spendibile in ogni campo, per articolazione e complessità. Il tutto sostanzialmente perché si è saputo comunque “pensare in modo critico l’identità ideale ed esistenziale prodottasi nel corso della nostra microstoria”. Proiettivamente, per usare ancora le sue parole: “felicità è agire” per riconoscere “le isole in arcipelago” e perché si riveli l’utopia come “sempre transitabile”.

Ora consideriamo quale è (ancora e sempre più ) attualmente il nostro punto di partenza. Una terra desolata ove le nubi della “smobilitazione ideale” ovvero della smobilitazione totale, operano trombonescamente e livide di rabbia contro ogni conato, prevedibile e sacrosanto, si opponga ad una deriva di fallimento prima spirituale ed animico e poi materiale ed economico. I pochi (o molti?) che si potrebbero opporre ancora con dignità di vita alle spalle ed indipendenza dimostrata spesso non vogliono più rischiare ulteriori delusioni o prevedibili fallimenti e così si ritirano in una torre ben difesa ed arredata, dalla quale fanno spesso solo singolari escursioni preoccupate e rapidissime, certo non favorite dal mugghiante e dolorante contorno di sommersi e salvati ed a tutto ciò presiede una cupola mediatica, sorta di ripetitore osceno sulle colline, che racconta fandonie insulse e vellica i peggiori istinti di fine ciclo.

Potremmo anche sorridere amaramente ma ciò non ci esime dal combattere per ottenere ciò che vogliamo con tutte le nostre forze, riordinando gli animi, i pensieri, le fila, le utopie. Lasceremo agli altri, perché l’abbiamo già fatto noi, prima ancora di cominciare, riscontrare ogni caduta di livello inscusabile, ogni monomaniacalità necessitata, ogni ingenuità prevedibile, per concentrarci sul possibile e sul giusto.

Diremo ancora di più e forse di peggio, e questo per avversari ed anche per amici: ciò che ci preoccupa non è la nostra diversità interna, che ad un occhio meno arreso alla quotidianità e meno arroccato sul nomadismo e l’anarcoidismo che va oggi tanto di moda – ulteriore segno dei tempi – non è metro di scandaglio profondo ma solo osservazione della tempesta superficiale, ma forse una relazionata concentrazione (semplificazione?) di diversità reale ed antagonista… quella che ci dovrebbe condurre al primato ed alla vittoria, per gradi. Per chi ha letto, parola per parola, i pensieri dei presenti ed anche degli assenti, di quelli che comunque potevano e dovevano esserci e non ci sono stati per disillusione, stanchezza od errata analisi di presunte inesistenti differenze, lo spavento non viene dalla diversità ma proprio dal contrario: cioè, al fondo, da un’accerchiata e dolente compressione del pensiero atto a creare il nuovo. Ovviamente all’interno dei parametri antiglobalisti, antiusurocratici, anticonsumisti, antiespropriatorii e relazionalmente popolari, partecipativi, differenzialisti, olisti e destinali. Tutti responsabilmente declinabili, ma tutti, per noi, invalicabili.

La necessità di una sorta d’urfuturismo – o chiamiamolo come vogliamo ma comprendendo endiadi ed ossimoro – quindi oggettivamente per principi espressi e per direzionalità scelte – è vitale e non solo spirituale, ideale, generazionale, artistica. E dobbiamo figurarcela come estranea a tutti i parametri della usualità borghese accettabile attuale, ovvero quel qualcosa che sta tra l’eccellenza senza paragoni (ovunque si verifichi) e la scorrettezza estrema del pensiero non assoggettato – almeno in prima battuta – ad alcun limite, né di tipo umanistico né di tipo confessionale ed una vitalità ritrovata e luperca che non deve prendere esempio da nessuno perché nessuno è in grado di darci ciò che non ci appartiene già, almeno come ipotesi di lavoro. Ogni volta nella storia in cui ci siamo accompagnati od affidati ad altro od ad altri siamo sempre miseramente falliti, prima o poi, perché la nostra vocazione è trovare la nostra strada da soli, in estremamente attenta ma perfetta autoreferenzialità, che è l’unico viatico, paradossalmente, anche per sopravvivere nel mondo globalizzato attuale. Auguri a noi.

Sandro Giovannini

http://nuovaoggettivita.blogspot.com/

 

 

 

PER UNA NUOVA OGGETTIVITA’

POPOLO PARTECIPAZIONE DESTINO”

 

Sommario del “Libro-Manifesto”:

I PARTE – Premessa:

Gian Franco Lami, Giovanni Sessa, Claudio Bonvecchio, Stefano Vaj

II PARTE – Argomenti contributi scritti di:

 

1 – Metastoria-Metapolitica: Gabriele Adinolfi, Giuliano Borghi, Giandomenico Casalino, Luigi Capozza, Giovanni Damiano, Germanico Gallerani, Carlo Gambescia, Aldo La Fata, Alberto Lombardo, Francesco Mancinelli, Luca Leonello Rimbotti, Alberto Rosselli, Marco Rossi, Andrea Scarabelli, Primo Siena, Piero Vassallo , Ubaldo Villani Lubelli.

2 – Geopolitica: Leonardo Clerici, Giulio Maganzini, Matteo Marconi, Marino Micich.

3 – Geofilosofia-Ecologia: Giuseppe Casale, Alberto Figliuzzi, Giuseppe Gorlani, Luigi Lombardi Vallauri, Simone Marletta, Paolo Aldo Rossi, Gianfredo Ruggiero, Giovanni Tuzet, Eduardo Zarelli.

4 – Simbolica-Psiche: Luciano Arcella, Mario Bernardi Guardi, Davide Bigalli, Francesco Cappuccio, Riccardo Campa, Sandro Consolato, Alessio De Giglio, Francesco Franci, Sandro Giovannini, Domenico Lancianese, Rita Catania Marrone, Roberto Sestito, Adriano Segatori.

5 – Etica-Politica-Economia: Vittorio de Pedys, Susanna Dolci, Luca Gallesi, Teodoro Klitsche de la Grange, Guglielmo Maria Lolli-Ghetti, Francesco Paolo Menna, Alberto B. Mariantoni, Riccardo Scarpa, Augusto Sinagra.

6 – Comunicazione:Marco Canestrari, Gaia Conventi, Marco Ferrazzoli, Alberto Figliuzzi, Maurizio Ganzaroli, Biagio Luparella, Elisabetta Oggero, GiuseppePuppo, Antonio Saccoccio, Francesco Sacconi, Luigi Sgroi.

7 – Estetica:

A) Arti Figurative: Ettore Bonessio di Terzet, Mario Bozzi Sentieri, Graziano Cecchini, Vincenzo Centorame, Vitaldo Conte, Alessandro Guzzi, Giuseppe Manzoni di Chiosca, Filippo Venturini,

B) Poesia/Letteratura: Manlio Bichiri, Brunello De Cusatis, Giuseppe Di Gaetano, Zairo Ferrante, Cesare Ferri, Sylvia Forty, Roberto Guerra, Bruno Labate, Anna Lamberti Bocconi, Ferdinando Menconi, Raffaele Perrotta, Miro Renzaglia, Riccardo Roversi, Paolo Silvestri,

C) Musica: Alberto Cesare Ambesi, Stefano Balice, Paolo Melandri, Marco Monaldi.

III PARTE – Appendice

1 – Postfazione di Giovanni Sessa; 2 – Note biobibliografiche, 3 – Elenco adesioni, 4 – Infolio di Sandro Giovannini; 5 – CD musicale di Mario Mariani

giovannini.sandro@libero.it

 

il libro-manifesto

per una

Nuova Oggettività
 
popolo partecipazione destino
 
può essere prenotato a 15 Euro
 
presso la libreria online: www.antichilibrionline.com
 
mail: libreriapandora@gmail.com
 
tel/fax : 0732-22882
 
Libreria Pandora, Piazza Fratelli Rosselli, 5 – 60044 – Fabriano (AN)
Pagamenti : Contrassegno, Paypal, Carte di Credito, Conto Corrente Postale, Bonifico Bancario.
Spedizioni : La Libreria Pandora spedisce entro 24 ore dalla ricezione del tuo ordine, dal lunedi al venerdi. Gli ordini che riceviamo durante il fine settimana vengono evasi il lunedì successivo.


Il libro-manifesto successivamente sarà messo
in distribuzione a 25 Euro
 
…per favore, indicare l’indirizzo postale ove inviare il libro-manifesto…
 
*data Uscita Libro 15 Ottobre 2011
Libro-Manifesto

Settembre Francese… versi/dono di Laura Mucelli

alfonso-palma__Autunno-nel-bosco_g.jpgSeptembre

A l’angle de la maison
le soleil éclabousse le toit
et lentement se déverse
sur la terre odorante de mousse
tiède comme un corps de femme
Tous les verts s’entremêlent
denses et obscurs sur les bois
qui contiennent
aériens et lumineux sur les prés
qui s’étendent
Tout respire la maturité
généreuse et fertile
assouvie jusqu’au moindre pli
Tout est imprégné
de lente solitude apaisée
qui s’achemine pour hiberner
Même les cloches tintent
sucrées et frêles
dans l’atmosphère moite
La nuit descend
comme un voile vaporeux
sur les derniers chants des oiseaux
qui modulent sans froisser
la quiétude de mon âme
Mes yeux se perdent
dans cette infinie langueur
constellée de ciel ouvert
Je vis exactement
au pays de mes songes
l’unique paysage
qui m’abreuve de ses mystères
mon Nord
aux portes des Brumes.

Settembre

All’angolo della casa
il sole inzacchera il tetto
e lentamente si riversa
sulla terra odorosa di muschio
tiepida come un corpo di donna
Tutti i verdi si mischiano
densi ed oscuri sui boschi
che contengono
leggeri e luminosi sui prati
che si estendono
Tutto respira la maturità
generosa e fertile
saziata fino alla minima piega
Tutto è impregnato
di lenta solitudine sopita
che si incammina per ibernare
Anche le campane tintinnano
zuccherate e fragili
nell’atmosfera umidiccia
La notte scende
come un velo vaporoso
sugli ultimi canti degli uccelli
che modulano senza sgualcire
la quiete della mia anima
I miei occhi si perdono
in questo infinito languore
costellato di cielo aperto
Vivo esattamente
nel paese dei miei sogni
l’unico paesaggio
che mi abbevera dei suoi misteri
il mio Nord
alle porte delle Nebbie.

Provvidenza (Laura Mucelli Klemm) en effluves d’Automne 03-09-2011
Tous droits réservés,tutti i diritti riservati

 

*Versi ricevuti dalla stessa Autrice

*Quadro ” Autunno nel Bosco ” di Alfonso Palma postato spontaneamente dalla Redazione e tratto da:

http://www.ioarte.org/artisti/alfonso-palma/opere/Autunno-nel-bosco/

LA MIA COLOMBIA Giovanna Mulas, 2011, estratto da ‘NOCTURNO OLTRE CONFINE ( la mia Colombia)’

colombia-283x300.gif“Sergente, abbiamo oltrepassato uno strano confine qui.

Il nostro mondo ha sterzato sul surreale.”

(da ‘Salvate il soldato Ryan’, 1998.)

Penso, sono convinta, che prima di mettere piede in latinoamerica, appena un istante prima, un attimo soltanto; debba avvenire un click, dentro. Un click che ti spalanchi occhi e mente alla verità che attende paziente, appena varcherai quell’Exit all’aeroporto: l’America non è New York e Stati Uniti, come da sempre è dato da bere a noi europei fin da tenera età. L’America non è poliziotti fighi e buoni dalla mascella grossa, ‘guerra di pace’ e croci al milite ignoto, film e telefilm yankee di famiglie bionde, belle, magrissime e felici, di successo, Gold’S Gym e beveroni dietetici miracolosi per ragazzone vitaminizzate, da Boutique Cavalli.

Gli Stati Uniti rappresentano una piccola parte della mappa, e non certo la migliore.

Deve acchiapparti un qualcosa, clandestino mio, che ti prepari al dopo, a ciò che hai letto solo in parte sui libri di scuola, immaginato solo in parte con Marquez, Mercedes Sosa o le riviste di una sinistra italiana che, in parte, è già destra, o ascoltato da qualche amico convinto di aver fotografato l’El Dorado, a lamenti per il costo salato della visita guidata.

E magari l’hai fatto sorridendo, ascoltare intendo, pensando che si, che quella del latinoamerica in fondo è gente del terzo mondo, caduta in disgrazia non si capisce come e perché, sempre troppo allegra e un pò alla tanos, alla napoletana, sfigati allegri che forse neppure le lavatrici conoscono, non come noi europei fashion per il Colosseo e i cinesi a frotte a visitarlo. O il Festival di Sanremo.

Penso che il click, il click vero, debba avvenirti prima nelle viscere, poi nel cervello. Nello stesso, infinitesimale secondo nel quale cominci a odorare, non richiesto, un’aria non tua, già violentata, dominata storicamente.

Devi metabolizzarti diverso. TU diverso e superbo, ammaestrato, addestrato dalla nascita come dominatore ma, in realtà, piccolo e banale schiavo, salottiero, plagiato dal sistema.

Penso pure che se quel click non lo senti tanto vale che resti a casa, in umile accettazione, affondato in poltrona a ubriacarti di bugia fino alla fine dei tuoi giorni ché in fondo, come diceva mia nonna, la verità va incontro soltanto a chi ha il coraggio di cercarla.

Del resto, la mia, è solo la visione di un’europea.

Mi sveglio alle 5.30 che il sole già filtra tra le persiane basse della nostra camera, all’undicesimo piano del Gran Hotel di Medellin.

Il clima è dolce, un misterioso campanile batte un rintocco e mezzo e, tra sirene e grida, la vita che mai ha smesso di correre, giù per le strade diritte. C’è odore di caffè appena fatto e brioches. Sento bussare la porta della camera accanto, probabilmente si sta servendo la colazione. Ancora fatico ad adattarmi all’altitudine: il mal di testa feroce e le vertigini che sento avvolgermi cervello e sangue, mi obbligano ad ingoiare due pastiglie. Siedo sul letto e attendo di sentirmi meglio. Col caffè passerà, penso e spero. Butto giù qualche appunto, una doccia, stiro i muscoli, mi trucco, lamento la mancanza di un bidet, ho fame. Sveglio Gabriel alle 7.30; alle 11.00 abbiamo appuntamento all’asentamiento de los desplazados La cruz y La Honda, alla scuola Luz de Oriente, per un reading e dialogo con pubblico. Con noi ci saranno il rapper sudafricano Ewok, idolo dei più giovani, e la cubana Magìa Lopez, cantante e maestra di hip hop. E’ dal giorno del nostro arrivo in Colombia che Fernando e Gloria del Festival mi dicono che dovremo fare molta attenzione a tutto: il barrio La Cruz appartiene agli sfollati, è difficile, pericoloso, è la periferia perduta, volutamente dimenticata dalla città. Colombia è il paese al mondo col maggior numero di desplazados, a causa della guerriglia interna. Il denominatore comune, l’obiettivo principale della guerriglia che spinge indirettamente o direttamente le genti ad abbandonare la propria terra e quindi finire in rovina è il narcotraffico. Occorrono terre per produrre le sostanze e si obbligano i contadini all’emigrazione: se questo non avviene volontariamente, i contadini vengono uccisi. Ciò accade sistematicamente anche in zone minerarie o nelle coltivazioni di palme da olio (cocco). E’ denunciato il reclutamento forzato di bambini, il corpo delle donne, ulteriore atrocità di una guerra imposta, è oggetto costante di violenza: bottino di guerra per i paramilitari. Si stima che circa il 70% degli sfollati ha vincoli con la terra che si sono visti costretti ad abbandonare: proprietari, gestori, occupanti. Si registrano dai 4 ai 6 milioni di ettari di terra abbandonati. L’ ONG Osservatorio dei diritti umani e dello Sfollamento, considera che la cifra reale degli sfollati per il conflitto armato interno dalla metà degli anni ottanta supera i 5 milioni di persone. Circa l’80% degli sfollati sono donne e bambini e secondo la commissione di politica pubblica sullo sfollamento forzato, il 43% delle famiglie ha come capofamiglia una donna. Nel 68% le donne capofamiglia restano sole. Mi raccontano che durante le ultime settimane un paio di insegnanti sono scomparse da La Cruz, per essere state ritrovate qualche giorno dopo torturate e uccise in mezzo alla foresta, pistola in mano e braccialetto delle FARC. Incastrate, uccise perché ritenute sovversive, ribelli. Perché ai ragazzini non si deve insegnare a pensare o creare quanto, solo, a vivere. Il come verrà dettato dall’istinto di sopravvivenza. Los compañeros sostengono che gli Stati Uniti “pagano un tanto a cadavere” secondo il Plan Colombia, e il governo colombiano incassa. Ufficiali, soldati e un numero imprecisato di cittadini comuni hanno intascato ricompense dallo Stato per presentare false denunce anonime contro loro vicini e conoscenti, mandandoli a morte. E’ la caccia alle streghe, sotto lo storico silenzio dei media mondiali, i falsi positivi: militanti di sinistra, intellettuali, maestri o contadini, aborigeni.

Centinaia di cittadini inermi sequestrati da esercito e paramilitari o paracos (gruppi di mercenari di ultradestra, fascisti, retribuiti dalla politica governativa), assassinati e rivestiti con una tuta mimetica con il simbolo delle FARC per permettere agli assassini di passare all’incasso. Omicidi pagati dallo Stato colombiano e, al di sopra di questo, dal governo degli Stati Uniti. Il Plan Colombia, “Plan for Peace, Prosperity, and the Strengthening of the State” ( Piano per la pace, prosperità e consolidamento dello Stato ) è in realtà una tenaglia con la quale l’imperialismo impone la sua prepotenza in America Latina. Il governo colombiano, con le sue sette basi militari statunitensi, registra un importante introito economico proprio grazie alla droga venduta al principale consumatore nel mondo: gli Stati Uniti. La popolazione colombiana soffre da varie decadi dei devastanti risultati di questo negozio che si traducono nell’esistenza di mafie e le loro formule di estorsione, nell’incremento della violenza e della corruzione, nei confronti politici senza soluzione, repressione militare e paramilitare contro i civili etc.

Cani sporchi camminano indolenti, zigzagando per il sentiero di fanghi e sabbia. L’autista ascolta Cumbia Peruana a manetta. La Chiva, Il coloratissimo, stretto e caratteristico pullman colombiano sobbalza e frena a scatti. Sbuffa e accelera, da una ventina di minuti ha abbandonato la strada principale. Sale e la strada si fa più stretta fino a divenire impervio sentiero di montagna. Capita d’incrociare –non si sa come, vista la mulattiera- altri pullman. Penso “ora ci blocchiamo qui o cadiamo di sotto”. L’autista, esperto o solo incosciente, sterza, accosta un istante approfittando di cespugli e affossamenti laterali, sfiora di qualche millimetro l’altro pullman e ne viene sfiorato, frena, sterza ancora, saluta il collega al volante e, incredibilmente, riesce a proseguire. Senza litigare lanciando insulti come accadrebbe tra noi tanos, come noi italiani veniamo chiamati in America latina.

Medellin ed i suoi eleganti grattacieli la vedo come la prima volta: racchiusa, circondata da colli e catene di montagne intinte nelle nuvole. Da quel sentiero mi pare un mondo a parte; di un’eleganza fallace, troppo mostrata. L’autista de La Chiva guida selvaggiamente, noi sobbalziamo ridendo e tremando un poco: non so se arriveremo a destinazione senza vomitare. Nel cielo, volo a cerchio, gli avvoltoi: conto quattro o cinque vistose macchie nere. Ai fianchi del sentiero appaiono, inerpicate furiosamente, altre ‘case’: assi di legno marcio e plastica, tubi di ferro che fungono da pilastri, cartone. Una accanto all’altra e sopra l’altra, a togliersi il respiro; arrancano tra cima e strapiombi, pronte ad essere spazzate via alla prima alluvione.

E capirò il crack tra i più giovani, capirò il popolo zombies, capirò la violenza. Odoro l’ingiustizia, la prepotenza dell’imperialismo nella miseria delle strade untuose, nei bambini semi nudi e scalzi, nelle ragazzine in vendita ai turisti annoiati. Sento le viscere farmi le capriole, dentro. Perché? Perché qui e così?

Perché c’è chi ha dieci e chi, come loro, il Nulla. E non pretendono più di questo nulla.

“Voi poeti dovete raccontare al mondo ciò che noi viviamo qui”. Così mi hanno detto i bambini abbracciandomi, quei rifugiati della scuola de los desplazados, figli della guerriglia e tutti figli nostri, con la strada negli occhi, affogati nel fango del sistema che qualche buon borghese neppure è in grado d’immaginare e che nessun uomo, solo perché tale, ha il diritto di conoscere, tanto meno vivere.

Strano, capirlo davvero oggi, nel 2011, e qui. Dopo tanto studiare, vivere, leggere, ascoltare, vedere e scrivere. A cosa è servita la mia cultura? La letteratura, la poesia…a cosa è servita? Io che pensavo di conoscerlo, il dolore, e di conoscere la morte.

Strano, per me.

A tratti tutto mi pare un film ed io una comparsa da Eroe per caso, un universo parallelo quasi. E vorrei che lo fosse. Ma non è un film ed io non sono un’eroina, sono soltanto un’europea cresciuta a telefilm yankee e consumismo. Per noi l’idea di aiutare equivale all’assistenzialismo, al mendicare. Che posso saperne io di desaparecidos, di torture e storica ribellione di un popolo all’imperialismo se non quello che ci è stato dato da studiare e leggere per una vita? Sono formattata, io.

Leggo la mia poesia alle persone raccolte in quello stanzone troppo vasto e vuoto, mentre dei bambini scalzi giocano tra le sedie, i cani passeggiano fiutando pulci e presenti. Devo trattenere il pianto, stringo i denti, serro la mascella. Tutto mi sembra inutile, banale, offensivo quasi delle condizioni di questa gente. E sento che per i miei compagni la sensazione è la stessa. Ci scattano delle foto che vedrò in seguito, diffuse dalle agenzie di stampa internazionali: io, Gabriel, Ewok e Magia abbiamo l’espressione smarrita, i volti carichi di sconcerto. In particolare, riguardando l’immagine apparsa sul quotidiano nazionale El Colombiano, rifletterò sul perché la foto è stata scattata soltanto a noi poeti. E’ normale, mi dico. Ma perché non ai bambini, con noi, i veri protagonisti di quella scuola e della vita, di quella vita non…vita? Ripenserò al mondo a parte dei poeti…può un poeta stare davvero con la gente e rappresentarla (superbia più grande) oppure, d’istinto e sempre e comunque è portato a rappresentare se stesso?

Dopo la lettura, avverto l’impulso bestiale di fuggire. “Per oggi è troppo”, penso “…non posso, io non posso…che ci faccio qui? Qui, a che serve la mia poesia?”. I bambini mi si avvicinano bloccando all’istante il mio volo mentale: mi abbracciano, mi baciano le mani, mi ringraziano per le poesie.

Un piccolo, sporco e lacero, tirandomi per il braccio mi prega di restare a mangiare con loro. Lo abbraccio stringendolo al ventre, gli bacio la testina rasa e nascondo le lacrime che, ancora, mi colgono: “claro que si”, gli dico, “comemos juntos”, e vorrei fare di più per loro che mangiarci assieme.

Nel terrapieno accanto alla scuola ci sono uomini che zappano: Giacobo e Marcela, compañeros che hanno accolto me e Gabriel al nostro arrivo raccontandoci sulle ultime insegnanti scomparse e del lavoro della FARC tra i monti, ci dicono che quelle persone stanno scavando un canale per la discarica di una ‘casa’, e i vicini aiutano il nuovo desplazado a farlo. Sul terreno arido della scuola alcuni volontari hanno avviato una piccola coltivazione di cipolla e aglio.

Rimango colpita dai poeti tedeschi Regina Dyck e Thomas Wohlfahrt, direttori rispettivamente di Internationales Literaturfestival Bremen e Literaturwerkstatt Berlin. Gli sfollati hanno preparato per tutti noi autori con affetto, cura e chiaro sacrificio due pentoloni enormi di fideos de arroz con carne, cotti per ore all’aperto sotto il sole cocente. Zuppa calda di riso con tranci di carne e fagioli, platano, cipolla e aglio, accompagnata da litri di limonata. I due poeti annunciano che hanno da fare e torneranno in albergo subito, con un taxi. Dopo un’intervista rilasciata al volo ad un inviato dell’agenzia EFE, m’infilo in una delle tre lunghe code di persone in attesa del pranzo. Più di un desplazado fa per cedermi il suo posto, per evitarmi l’attesa. Dico che no, va bene così: noi siamo uguali agli altri. Aspettiamo il nostro turno sotto un sole d’inverno colombiano, trenta gradi all’ombra. Queste persone, con la loro immensa dignità e semplicità mi scaldano l’anima: c’è chi si avvicina per farsi una foto con la poeta de Italia, chi mi bacia ringraziandomi, chi ci guarda con affetto grande, chi mi porge la sua bambina di pochi mesi affinché l’abbracci per portarle fortuna e mi confida che ama l’Italia e Ungaretti, scattando un’altra foto. Mi danno un ottimo cafecito tinto, dopo la zuppa mangiata poggiando il piatto in plastica sulle ginocchia. E mi guardo attorno.

Eroi. Qui gli unici eroi sono questi uomini e queste donne che vedo camminare scalzi e con un orgoglio che non si piega neppure davanti a secoli di repressione. Loro che, comunque, sorridono. Popolo di disperati costretti dalla guerriglia a lasciare le loro terre senza nulla pretendere se non la vita, i figli in braccio e il domani vuoto. Sono loro gli eroi. Noi, soltanto europei.

“E la chiesa come si sta muovendo?”, domando laconica a Marcela e Giacobo, che sorridono. In fondo non ho bisogno di risposta, conosco la storia e qui mi basta guardare, sentire dentro, ascoltare la gente.

“Come sempre. Dalla parte del potere”, mi dicono.

Penso ai miei figli e la loro fortuna, nonostante. Penso a los desplazados, abbandonati da un dio burlone, se esiste un dio, e dalla natura, dal mondo stesso. Ad un governo populista che elargisce 50 dollari ogni due mesi per tenere calme le acque, evitare ribellioni violente e far pensare alla gente che si fa qualcosa per loro. Il Governo corrotto ruba miliardi, al popolo vanno le briciole e la zuppa di fagioli e riso quando gira bene. Penso che il governo colombiano non è poi così diverso dall’italiano. Penso al futuro che vedranno questi bambini, a come lo vedranno se lo vedranno. E spero che il dolore non bruci loro gli occhi, ché la carne è già tatuata. Vorrei avvolgerli, portarli con noi vorrei e vorrei e durante il viaggio di ritorno piangerò soltanto, per ciò che avrei voluto per loro, tutti figli nostri, e mai avrei immaginato… non così, non…così.

Mi salutano adios muchacha, tutti i bambini, dalle finestre della scuola. In pullman, riscendiamo verso il mondo vero. E già non lo vedo come prima.

Ora so che nulla sarà più come prima (…).

Giovanna Mulas (Nuoro, 1969) è scrittrice, poetessa, giornalista e pittrice. Ventinove libri pubblicati a oggi tra sillogi, poesia, romanzi, saggistica.

Presente in centinaia di antologie internazionali con racconti e poesie.

Pluri-accademica al merito, 60 primi premi letterari internazionali vinti l’ultimo dei quali ricevuto a Taormina dall’Europclub e la Regione Sicilia, premiati anche Ennio Morricone per la musica, Carla Fracci per la danza, Istvan Horkey per la pittura e la giornalista e opinionista Rai Barbara Carfagna per il giornalismo d’opinione.

A Ostia le è stato assegnato il Premio Città di Ostia per la Cultura (giugno 2011)

È stata tradotta in 5 lingue, due volte candidata al Nobel per la letteratura per l’Italia.

Membro onorario della GSA, Giornalisti Specializzati Associati di Milano, dirige le riviste di letteratura Isola Nera (in lingua italiana) e Isola Niedda (in lingua sarda), diffuse nel mondo e consigliate UNESCO. Dal format originale in lingua spagnola Isla Negra, fondato dal marito Gabriel Impaglione, poeta e giornalista argentino.

Ha presenziato, ufficialmente per l’Italia e prima artista sarda nella storia dell’evento, al prestigioso Festival Internazionale di Poesia di Medellin, Colombia, primo d’importanza al mondo, Premio Nobel alternativo dal Parlamento di Svezia.

www.giovannamulas.it – il sito ufficiale, a cura del giornalista Simone Piazzesi

quattro pagine ufficiali in Facebook Italia: Giovanna Mulas (I, II, III) e dialogo con Giovanna Mulas

contatti di lavoro: Dott. Alberto Asero, Asero & Partners European Literary Agency, Torino

**Estratto ricevuto direttamente da: Ufficio Stampa Isola Nera

**Immagine liberamente postata dalla Redazione e tratta da:  http://www.puntocritico.net/2011/07/07/obiettivo-colombia/


Il dinanimismo presenta Matteo Zagagnoni

untitled.pngMatteo Zagagnoni, nato Ferrara, è poeta autodidatta formatosi principalmente su testi esistenzialisti e poesie ermetiche e crepuscolari.

L’Autore, già presentato on-line sulla pagina “poeticamente” gestita dalla “Futurist edition” ( edizioni futuriste sperimentali on-line ), a breve uscirà con un nuovo libro di poesie dal titolo “unwritten words”.

Di seguito, il movimento dinanimista ve ne ragala un assaggio:

 

 

 

 

A chi più potrò

tenere la mano

a gesto innocente

ora non so

 

Pure ignoro

se la sopita passione

che mi brilla spenta

sarà la mia

stessa trafittrice

o se l’affondo già

si sia compiuto

nell’anestesia di

una distrazione

 

Indosso solo cicatrici


*****


 

Nel socchiuso

di persiane mi

gioco bellissime

idiozie di menta

 

avrei potuto

uscire dalla

materia con un

tuffo d’incanto


**Versi ricevuti direttamente dall’Autore Matteo Zagagnoni.

***Quadro – senza titolo – del Pittore Campano Nicola Villano liberamente postato dalla Redazione.

 


DINANIMISMO: FUTURISMO INVERSO, ALLA RICERCA DELL’ANIMA SMARRITA

Benedetto ciclista1926.jpg 

DINANIMISMO: FUTURISMO INVERSO, ALLA RICERCA DELL’ANIMA SMARRITA

di

Zairo Ferrante

“Ciclista” Enzo Benedetto 1926, quadro che qui potete ammirare capovolto

Il grande merito del futurismo, e lo si evince già dal nome, è stato quello di saper leggere il futuribile. Infatti, Marinetti e i Suoi intuirono che il mondo stava per cambiare, capirono prima di tutti gli altri che il progresso e la tecnologia stavano per diventare delle costanti della società e non più eventi estemporanei.

Fu così che grazie ad una genialità senza paragoni, seppero elevarsi a “Maestri di Anime” e, per mezzo della loro produzione artistica, presero per mano l’uomo dell’inizio ‘900, ricco di “pathos” ma non pronto per il progresso, e lo accompagnarono nel “mondo tecno-sviluppabile”.

Oggi, in un mondo “tecno-sviluppato” in cui la scienza e il progresso sono delle costanti giustamente inarrestabili, l’Artista deve fare esattamente il contrario.

Bisogna, infatti, che la produzione artistica aiuti l’uomo “pre-robot” a ritrovare e a far ripartire la sua Anima disorientata dall’eccessiva velocità e dai numerosi input che arrivano dai media, dalle vetrine e dalla globalizzazione.

Queste parole possono sembrare eccessive – o meglio folli – ma sono, secondo me, necessarie affinché tutti si rendano conto che a breve quello che distinguerà l’uomo dal “post-umano” sarà proprio il suo sapere e dovere “fare anima”.

Quel “fare Anima” che si compie nell’introspezione, nella riflessione, nella capacità critica e discriminativa tra ciò che è bene e ciò che è male.

Quel “fare anima” che in un turbine di velocità si sta perdendo e che il DinAnimismo, invece, invita a non sottovalutare.

Anima che va recuperata anche per mezzo dell’arte, che deve essere semplice, della gente, immediata, per la gente, forte e sconvolgente proprio come quella futurista.

Ecco che, in virtù di quello appena scritto, ritengo che il DinAnimismo, la sua idea di arte, la sua indipendenza (intesa anche come assenza di vincoli per tutti coloro che in qualche modo sono in sintonia con esso) e la sua singolarità (mantenuta anche incarnando un sentimento probabilmente comune e diffuso), dovrebbero essere da tutti considerati, rispettati ed eventualmente ampliati e/o modificati in comune, dalla gente, per il futuro comune e per la gente futura.

Il DinAnimismo è un’idea libera, ne accetta altre e difende le opinioni di tutti, non in virtù del loro essere favorevoli o contrarie, ma in base al loro esistere, essere e voler continuare a essere libere.

Ricordate: il Futuro senza l’Anima non esiste perché non lo si può né immaginare né costruire.

ZF

 

Mag 27, 2011 - AZIONI DINANIMISTE    No Comments

Cogliere il DinAnimismo: La dedica di Giovanna Mulas

E’ con grande piacere ed orgoglio che rilancio la lettera/dedica della scrittrice Giovanna Mulas, ricevuta direttamente dalla Redazione del periodico “Isola Nera”.

La rilancio in virtù dell’immensa stima che nutro nei confronti della Scrittrice ma la rilancio anche perchè, nelle sue parole, è possibile cogliere il vero senso della lotta DinAnimista.

Dignità, coraggio, lotta nonviolenta, resistenza, solidarietà e bellezza. 

Tutto questo può essere Arte, tutto questo è Poesia, tutto questo può trasformarsi in Speranza futura.

Zairo Ferrante

La Giuria del Premio Internazionale di Poesia Città di Ostia ha conferito a Giovanna Mulas il Premio Speciale alla Cultura.
La scrittrice ritirerà il Premio in giugno al Teatro Nino Manfredi, in occasione del suo reading contro la violenza sulla donna, curato dal regista RAI Gaetano Colloca.

<<…Voglio dedicare questo riconoscimento ( lo faccio da madre, prima che scrittrice) ai giovani dell’ Italia Bella da “Mi emigro per magnar”, ai ‘cervelli in fuga’.
 
Ai ragazzi che da mesi, inascoltati o, peggio ancora, derisi, strumentalizzati-manganellati fisicamente e psicologicamente; continuano a battersi nelle piazze con dignità e disperazione, esigendo un futuro che spetta loro per nascita, semplicemente perché cittadini del mondo.
 
A quei giovani che odorano i falsi profeti e li buttano giù da piedistalli e poltrone, che lottano quotidianamente a favore della meritocrazia, contro le ingiustizie, le ipocrisie politiche e sociali, la corruzione e la tuttologia del nichilismo, i tagli alla cultura quindi la privatizzazione delle scuole.
Contro un governo che dimostra di temere il pensiero critico e il confronto, contro una sinistra che è già destra e tutto, comunque, fa casta.
 
A voi, a tutti voi va e andrà sempre il pensiero di una piccola scrivana sarda, figlia del popolo e orgogliosa di esserlo.
Mai smettere di lottare o sperare Stelle mie, di volare: ovunque questo volo vi porterà fatelo con energia, dignità, studio, rabbia, costanza, gioia e comunque sorpresa per quel romanzo straordinario che sarà la vostra vita,
 
con la consapevolezza di ciò che siete e di ciò che volete essere: per voi, per chi vi ama e crede in voi, per chi sta vivendo solo di lacrime e speranza, per chi ha smesso di combattere, per chi verrà dopo.
 
Anche per chi vive fregandosene della vostra lotta per vivere, dovrete vivere
 
Camminate pazienti, camminerete a lungo e senza scorciatoie: questo, domani, sarà il vostro orgoglio più grande.
E al momento del volo volate, senza timore, e che tocchiate le radici della vostra montagna o la cima non importa, ma che il vostro volo non riguardi solo voi, che non sia mera ambizione ma rappresenti, sempre e comunque, costruzione.
 
Sbagliate e sbagliate, sbagliate ancora e cadete, cadete: non guardate la vita dalla finestra.
 
Guardate la vostra montagna nello stesso modo in cui dovrete guardare tutti, nel corso della vita: senza abbassare gli occhi.
 
Non chiudete le ali, non arrendetevi ad un sistema che favorisce il pecora pensiero, l’omologazione: oggi più che mai il mondo –e sottolineo il mondo- reclama le vostre voci, libere e vere, preparate, unite.
 
 
 
Giovanna Mulas, 27 maggio 2011 >>

 

Ufficio Stampa Isola Nera

Versi dalla Francia di Laura Mucelli e Quadro dal Brasile di Matoart (Maria Pia Tedesco)

cattedrale_luce_1.JPGMulino a morte di Laura Mucelli

Ho
piegato il ginocchio
morso la polvere
soffocato le mie grida
abbracciato la Notte
sotto il peso delle tue cariche
senza mai spumeggiare
lacrime acide
Ho
tolto la corrente
provocato il guasto
annullato i tuoi movimenti
per restare in disparte
non infuriarmi
e superare
la furia dei latrati
che infrangono
gli equilibri
troppo spesso precari
Ho
ondeggiato negli Astri
trasceso il Nulla
acceso i miei grandi fuochi
per riscaldare
il marmo col quale mi avevi ricoperta
Ho
scolpito la Logica
sui fiumi salati
ritornando alla sorgente
per cristallizzare
le ferite del tuo meccanismo
E se occoresse
ricomincerei
perché la mia voce si lavora
nella verticalità
dell’Odierno che commuove
Non mi curo
di Domani
se l’unica meta
è farne
una montagna d’Oro
Mi arrichisco dall’interiore
l’unico luogo
dove quando fa freddo
la Morte si libra
Sposo del mio Tempo
solo quanto libera
Combattendo contro i mulini a vento
in mulino a parole
in un Mulino a preghiere
generatore di flussi vitali.

Moulin à mort

J’ai
plié le genou
mordu la poussière
étouffé mes cris
embrassé la Nuit
sous le poids de tes charges
sans jamais écumer
de larmes acides
J’ai
coupé le courant
provoqué la panne
annulé tes mouvements
pour rester en retrait
ne pas marroner
et te dépasser
furie des abois
qui brisent
les équilibres
trop souvent précaires
J’ai
flotté dans les Astres
transcendé le Néant
allumé mes grands feux
pour réchauffer
le marbre dont tu m’avais recouverte
J’ai
inscrit la Suite
sur les ruisseaux salés
en retournant à la source
pour cristalliser
les plaies de ton rouage
Et s’il le fallait
je recommencerais
car ma voix se façonne
dans la verticalité
du Quotidien qui touche
Je me moque
de Demain
si le seul but
est d’en faire
une montagne d’Or
Je ne m’étoffe que de l’intérieur
le seul endroit
où lorsque il fait froid
la Mort plane
Je n’épouse de mon Temps
que ce qui libère
Me battant contre des moulins à vents
en moulin à paroles
dans un Moulin à prières
générateur de flux vitaux.

Provvidenza 24-05-2011 (page d’auteur)
Laura Provvidenza (page publique)
Laura Mucelli K.(page privée)
Tous droits réservés,tutti i diritti riservati.

*Versi ricevuti direttamente dalla Poetessa Laura Mucelli (Francia).

**Quadro “Cattedrale di luce” di MATOART ( Maria Pia Tedesco – Brasile -) postato con il consenso dell’Artista e tratto da: http://artistamato.blogspot.com/