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CAMPAGNA POETICO-DINANIMISTA D’UGUAGLIANZA: perché il “diverso” non esiste!!!

COPERTINAPerché il “diverso” non esiste… è solo un’invenzione di chi, ovviamente senza averne motivo, si sente “normale”.

ZF

A ME CHE SON DI-VERSO

di Zairo Ferrante

A me che son di-verso

qualche verso mi decanto,

per sberleffo

e dis-canto del normale.

A me che sono gay

quando, solo, cerco e trovo

la carezza di un amico.

A me che sono cieco

quando, forte, chiudo gli occhi

nell’amore della Donna,

assaporando quel suo bacio.

A me che sono down

quando, perso, nell’abbraccio di mia madre

dolcemente allungo gli occhi,

che si perdon’in un sorriso.

A me che son barbone

quando, al freddo, d’una panchina

mangio pane e bevo birra.

 

E decanto qualche verso

a Chi semina parole

per il mondo degli Uguali.

A Chi in silenzio,

per amore del di-verso,

si vergogna del normale.

Zairo Ferrante

4-2-2011

Copyright©2011: http://zairoferrante.xoom.it/ (sito ufficiale di Zairo Ferrante)

 ( Tratta dal libro “I bisbigli di un’anima muta” – CSA-ed. 2011- e liberamente ispirata dalla lettura di “Io mi prendo cura di te” .Libro di Girolamo Melis e vera professione d’Amore verso il dis-uguale. )

*FOR ME WHO IS DIF-FERENT 

For me who is dif-ferent

I pour me some verses,

I make grimaces

and sing-out-of normal tune.

For me who is gay

when, alone, I seek and find

the caress of a friend.

 

For me who is blind

when, boldly, I close my eyes

in the love of a Lady,

savoring this kiss of hers.

 

For me who is down

when, lost, in my mother’s embrace

I gently squeeze my eyes closed,

getting lost in a smile.

 

For me who has a beard

when, in the cold, on a bench

I eat bread and drink beer.

 

And I pour some poetry

for Whovever sows words

all over a world of Equals.

For Whoever in silence,

out of love for the dif-ferent,

is ashamed of the normal.

*Traduzione in inglese liberamente concessa dalla poetessa Californiana Ute Margaret Saine

INOLTRE, PER PARLARE SENZA DISCRIMINARE, INVITIAMO A LEGGERE UN ARTICOLO SUL BLOG DELLA GIORNALISTA VANESSA CAPPELLA: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/26/siti-web-parlare-civile-il-prontuario-per-comunicare-senza-discriminare/1071829/

*Copertina di Vincere liberamente tratta da: http://www.girolamomelis.it/2011/04/eccomi-di-nuovo-davanti-te-giovanni.html

Un grazie a Girolamo Melis che sempre ci invita a rassomigliarci… ( quando la Filosofia ammazza la Sapienza )

Come qualche volta accade tra gli Amici ( ma anche tra Mentore e discepolo ),  io e Giro, prorpio oggi, ci siamo “cercati”, abbiamo parlato e ci siamo guardati in faccia tramite un telefono. Abbiamo discusso di terra, di Madri e di nutella e, finita la conversazione, sono giunto alla conclusione che se la filosofia non è sempre al servizio della parola ( come spesso accade in rete e nei social network dove il filosofare è totalmente scollegato dal “discorso”) finisce per sopraffarla; ammazzando, così, il vero frutto della parola e del linguaggio, la Sapienza.

Di seguito, quindi, vi dono un esempio in cui la parola scagliata contro il filosofare si è trasformata non solo in Sapienza ma anche in libertà.

ZF

Estratto da: Orazione di Gorgia leontino intorno al rapimento di Elena

Traduzione di Angelo Teodoro Villa (1753)

uom_gorgia_giallo.JPGSiccome l’abbondar d’uomini di merito è cosa, che ad una Città conviene, la bellezza ad un corpo, all’anima la sapienza, la virtuosa condotta a un affare; cosi d’un’Orazione è tutto propria la verità. Né alcuna di queste cose può aver ornamento, che non sia di tali prerogative 407029_207932972624815_1020070753_a.jpgfornita. Egli è però giusto, che un Uomo, una Donna, un’Orazione, una Città, un affare onorati sieno, se degni d’encomio, e se non degni, ripresi. Poich’egual mancamento, ed eguale ignoranza è il riprendere le lodevoli cose, e ‘l lodar quelle, che meritano riprensione. Dovere pertanto d’un uomo è il parlare secondo la verità, e prendersela contra gli accusatori d’Elena, Donna di cui e la testimotianza de’ Poeti, che n’ebber contezza, e la celebrità del suo nome, rapportando le stragi per lei avvenute, costante han lasciato a’ posteri la memoria. Io però voglio una certa difesa introducendo nel mìo ragionamento, e far dall’accuse cessar chiunque ha di lei sinistro concetto, e i bugiardi riprensori indicare, e mostrando loro la verità liberargli dall’ignoranza, in cui vivono[…]

*Versione integrale consultabile: http://www.lentinionline.it/uom_gorgia_encomio_elena.htm

Un’infanzia di crete rosse e azzurre (Italian Edition) di Girolamo Melis: guardalo, sfoglialo, scaricalo ma… sopratutto leggilo!!!

81FmQV4ScUL._SL1500_.jpgLa Val d’Orcia di questo racconto non è un luogo geografico né tanto meno la sua etichetta di “Patrimonio dell’Umanità”. È forse il Luogo del tempo che non si trasforma in Storia ma fa nascere un Bambino che porta e dona al mondo il mistero del ventre materno, dell’ordine naturale che solitamente viene vanificato dagli Adulti fin dal primo vagito.
Il “personaggio” di questa Infanzia può forse nascere solo qui e farsi complici i genitori, la scuola, i contadini, il torrente, gli animali.
Certo, a guardarlo con gli occhi e i sensi dell’Uomo ridotto a consumatore di giorni e affetti, può apparire un ET. E forse lo è. La differenza è che non viene da Altri Pianeti, ma dal luogo profondo che abbiamo dimenticato, ma al quale apparteniamo. E il Bambino ce lo racconta, con una promessa: non diventerà mai Adulto.


PER SCARICARE IL LIBRO IN VERSIONE KINDLE EDITION:http://www.amazon.com/Uninfanzia-azzurre-Italian-Edition-ebook/dp/B00D52JH5E

Dedicato ai giovani che si sentono vecchi o, forse, ai Vecchi che sono giovani…

Èvita i Vecchi di Girolamo Melis…
images.jpg

  
Èvita quelle carogne dei vecchi.
Èvita i vecchi che i guai se li tirano. 
Èvita i vecchi che quando passano sulle strisce devono sempre alzare le mani per spiegarti che stanno per passare. 
Èvita i vecchi che invece di fare versi potrebbero sbrigarsi. 
Èvita i vecchi che fanno quelle facce sempre incazzate invece di ringraziare che non li stendi sotto il motorino. 
Èvita i vecchi che invece di tenere la bocca chiusa ridono con quelle dentiere che si ritrovano. 
Èvita i vecchi che, non contenti di aver rotto i coglioni per sessant’anni, vogliono arrivare a cento. 
Èvita i vecchi che non parlano per farti sentire in colpa. 
Èvita i vecchi che dicono quelle frasi lunghe che non finiscono mai. 
Èvita i vecchi che o non si capisce quello che pensano o ti fanno dimenticare quel che volevi dire. 
Èvita i vecchi che portano sfiga, ma non ce la fanno a reggerla da soli e la fanno cadere da tutte le parti. 
Èvita i vecchi che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera e occupano sempre i meglio posti sul tram, sul bus e sui treni. 
Èvita i vecchi che, con la scusa di essere timidi, guardano sempre il culo delle ragazze. 
Èvita i vecchi che, a differenza degli orologi, non diventano mai antichi e non aumentano di valore. 
Èvita i vecchi che alzano l’età media della popolazione e ci fanno fare brutta figura all’estero. 
Èvita i vecchi che non sanno nemmeno cosa vuol dire sms. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a leccare i francobolli. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a lamentarsi per quella loro pensione di merda, invece di darla a noi. 
Èvita i vecchi che per la strada si fermano all’improvviso, tu gli vai addosso ed è colpa tua. 
Èvita i vecchi che, invece delle polo Lacoste, portano quelle magliette a righine, come se già non si capisse che sono vecchi. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a menarla con gli Anni Sessanta. 
Èvita i vecchi che passano il tempo alle ASL a discutere se è meglio l’artrite del Vecchio A o la cateratta del Vecchio B. 
Èvita i vecchi che guidano le Mercedes. 
Èvita i vecchi albesi che guidano-in folle col cappello in testa. 
Èvita i vecchi che si piazzano davanti alla TV per ore e consumano la corrente. 
Èvita i vecchi che vogliono tanto bene ai bambini. E allora? 
Èvita i vecchi che sono fissati con la minestra. Èvita i vecchi che sono tutti ammiratori di Gerri Scotti, alzano la audience e noi dobbiamo averlo tra le palle da decenni.
Èvita i vecchi che hanno sparso la voce di saper raccontare le favole ai bambini ma si addormentano prima loro. 
Èvita i vecchi che da giovani erano molto meglio di noi e non si accorgono di come sono conciati. 
Èvita i vecchi che prima almeno si mettevano in quattro intorno a un tavolino del bar a giocare a scopa con quattro bianchini, e ora stanno lì ognuno per conto suo, occupano quattro tavolini e non consumano un cazzo. 
Èvita i vecchi che si piazzano lì con la Gazzetta dello Sport in mano e non la mollano per ore 
Èvita i vecchi che ora non si ubriacano più in pubblico, lo fanno di nascosto in casa e non servono nemmeno a farsi pigliare per il culo. 
Èvita i vecchi che appena mangiato si addormentano e non aiutano nemmeno a sparecchiare. 
Èvita i vecchi che stanno svegli tutta la notte e fanno casino nei corridoi. 
Èvita i vecchi che ti guardano fisso come se si aspettassero sempre qualcosa o che se non si aspettassero più niente. 
Èvita i vecchi che sono specialisti a farti sentire una merda. 
Èvita i vecchi che quando cerchi di scippargli la borsa dalle mani mica la mollano, e gli viene una forza micidiale che sei costretto a staccargli un braccio, e allora cascano per terra, si fanno male, tutti intorno si agitano, la polizia ti prende e ci rimetti sempre tu.
 Èvita i vecchi che saltellano, caracollano, si danno quel tono dinamico per non far capire che non si reggono in piedi. 
Èvita i vecchi che prima erano tutti di destra e ora sono tutti di sinistra.
 Èvita i vecchi che non guardano in faccia nessuno e muoiono. 
Èvita i vecchi che muoiono e ti lasciano lì come una merda proprio mentre stavi per dirgli “ti voglio bene”.

**TRATTO DAL JOURNAL DI GIROLAMO MELIS ( già Giovane Amico del dinanimismo ): http://girolamo.melis.it/2013/05/evita-i-vecchi.html

DISCORSI SUL PENSIERO di Girò… …Giro… Girolamo… Melis!!!

 

L’indicibile follìa dell’Uomo: 
chiamare Pensiero il Pensare.
 Piccolo divertissement post-heideggeriano dedicato a 
Sua Consumìa il Lettore della WebEra

di Girolamo Melis

1. 

The_Thinker_Musee_Rodin.jpgTutto è stato pensato. Abitiamo il pensato. Noi stessi siamo il pensato, e del pensato siamo costituiti. Tant’è che pensiamo che il pensare sia la nostra natura. Eppure c’è qualcosa che non sappiamo pensare, per quanto ci applichiamo da milioni di anni: non sappiamo pensare Dio. Non lo sappiamo pensare a tal punto che non sappiamo se tutto il pensato sia stato Dio a pensarlo. Insomma pensiamo (ma al tempo stesso non ci accorgiamo di chiamare “pensare” il credere) che un’attività così umana come il pensare – con la sua abissale imperfezione – possa essere attribuita alla perfezione che chiamiamo – crediamo – Dio. E ci dibattiamo nell’equazione-disequazione tra il relativo e storico pensare e l’assoluto essere Dio. Eppure pensiamo che l’universo debba necessariamente essere il “risultato” (l’opera) di un pensare assoluto. Un pensare… assoluto?! Ma come possiamo mettere in tale insensata relazione la Cosa che per eccellenza designa una attività, la Cosa che nemmeno sappiamo se appartiene all’Uomo o se dell’Uomo è l’habitat, la casa del tempo e della storia, con Dio? Se sapessimo “divertirci”, non andando altrove ma restando nel pensare, ci chiederemmo allora: “Ma Dio, prima di pensare/creare il mondo, che faceva?” 
2. 
Ecco un pensiero che arriva. Ed è questo: a noi umani il pensare è l’attività che appare la più grande, magnifica, incomparabile ad altre attività, tale che non la accostiamo ad altre “attività”; e nemmeno ce la rappresentiamo come “facoltà”, come attributo. Noi pensiamo (e ancora una volta sbagliamo verbo, non volendo ammettere che… “crediamo”) che il pensare sia il nome della creazione. E perciò lo riferiamo a Dio, che non riusciamo a pensare altro che come Pensiero. Eppure, da tempo immemorabile, sappiamo – dovremmo sapere – che la parola stessa Pensare, e il suo prodotto “pensiero”, sono concetti pensati, detti, raffigurati dall’uomo, non da Dio. Parole umane, sì, dell’uomo pensato da Dio ma uscite dalla bocca dell’uomo e misurate dal Logos. E che il Logos dell’uomo continui ad arrovellarsi nel pensare, è provato anche da quell’aggettivo folle che l’uomo aggiunge a “pensiero” quando vuole prostrarsi a Dio quando dice “pensiero puro”. Parole umane. Forse somiglianti al Dio che crediamo, non di certo alla “natura di Dio”, che osiamo immaginare come materia costitutiva della nostra stessa essenza. Ancora e ancora ingannando noi stessi nell’atto stesso di “prostrarci”. Insomma nel delirio di possedere Dio come creatura del nostro Pensare. 
3. 
 Tutto è stato pensato dall’uomo, nel mondo sensibile. Incluso il pensare il pensiero di Dio. Inclusa la nostra idea di perfezione e imperfezione, la vertiginosa impossibilità di raffigurarci il Dio pensante, e la nostra speculare certezza di esserne misura e materia costitutiva. Ma anche il chiarore della nostra fragilità che ci viene in soccorso, ci stimola, ci bussa alla porta per sussurarci che, verosimilmente, dalla ristretta prigionia del pensare umano, forse non ci è dato immaginarci il Dio pensante. E allora può accadere che ci accorgiamo della vera e formidabile proprietà del pensare umano: quella di riuscire a pensare la nostra fallacia, il nostro limite, il ristretto orizzonte di ciò che chiamiamo “assoluto”.
… CONTINUA… SUL JOURNAL DELL’AMICO GIROLAMO MELIS: http://girolamo.melis.it/2013/05/che-cosa-significa-pensare.html

**Foto del “Pensatore” postata dalla redazione e liberamente tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Il_pensatore

Girolamo Melis scrive all’Uomo -Papa-…

Il voto di Castità. 
Il vuoto di Carità.  

(9 settembre 2012)

Da quanto tempo desidero parlarti, Maestro, dell’abbrutimento della “Castità”! A te, non ad altri. Dal fondo della mia incompetenza dottrinaria e dal dubbio della mia felice condizione giudaico-cristiana. A te come Papa Cristiano, Benedetto XVI. A te come Sapiente, Joseph Ratzinger. A te per l’antica Sapienza e per la moderna benedizione ricevuta dagli ultimi Maestri, Martin Heidegger e Romano Guardini su tutti. 
Ti voglio parlare della Castità. Del suo senso “mitico” e della sua insensatezza odierna. No, del suo senso mitico avrei da dire solo ciò che entrambi sappiamo, e che ai lettori parrebbe soltanto un vuoto e dotto esercizio di cultura storica. Ti parlo invece dell’insensatezza della Castità oggi: o meglio, della sua devastante ossessione. Della sua irreparabile vanificazione nel Sacerdozio. Castità è sacrificio. Sacrificio della Carne? Sacrificio della mondità? O “manifesto storico” contro la storia e il tempo degli Uomini, erèttisi contro l’Assoluto? Dunque una misura centrale del “relativismo”? Dunque una forma biblica del rigetto dei falsi Idoli? Sacrificio della Carne? Ma non è forse vero che la “carne” è Corpo Sacro? Non è forse nel Corpus Jesus che avviene lo scambio tra Dio e l’Uomo? 
Dove voglio arrivare? Come posso non perdermi nella demenziale dialettica? Voglio arrivare a Cristo. Al suo sconvolgente messaggio agli Apostoli. E siccome sto parlando a Te, Fratello Joseph, devo moderarmi nello sproloquio. Che cosa ha chiesto Cristo agli Apostoli? Ha chiesto “castità” o Dono? Ha chiesto loro di predicare la punizione della Carne o di rivoluzionare la Vita del Mondo donando la Fede, la Carità, la Speranza? Sappiamo entrambi che in duemila anni gli uomini hanno messo in bocca a Gesù Cristo tutte le parole e le intenzioni che a loro facevano e fanno più comodo. Ma quando noi pensiamo “Gesù Cristo” non confondiamo il Gesù che mena calci ai banchi del mercato col Gesù che abbraccia il malato, il reietto. Non li confondiamo poiché è la stessa Persona. Ma noi non potremo mai mettere in bocca a Gesù le Parole, l’Esortazione, l’Ordine di reprimere – nel Giovanni, nel Luca, nel Matteo di questo modesto avvìo del Terzo Millennio – la propria Carne, concentrando il loro intero Corpo nell’ossessionante autonegazione del non vedere miliardi di immagini e offerte di carni e corpi nudi esposti nella macelleria dei media, del non ascoltare miliardi di messaggi orientati a consumare, ad essere consumati dal linguaggio delle carni, dell’immaginario della sessualità e della sua stessa ridicolizzazione nella pornologìa, nella pornografìa. 
Ricordi, Fratello Joseph, le parole con le quali il grande Maestro Heidegger risponde all’illusione di Junger? “Sulla linea”, risponde, non… “oltre la linea”. Siamo sulla linea. Siamo nel mondo. Siamo nel Dasein. Che facciamo? Interroghiamoci, è meglio. Ma come può il misero giovane, vecchio, adulto Sacerdote, interrogare il mondo? Se gli Uomini, separati dal Linguaggio del “Sein”, sono cementificati dalle loro stesse macchinazioni? Che facciamo? Diciamo al Sacerdote: “Cristo ti ordina di sacrificarti”? O gli diciamo: “Cristo ti ama. Perciò ti dona il privilegio di fare doni”? L’ho scritto – con l’impudenza del Fratello – nel titolo di questa Lettera: “Voto di Castità”. “Vuoto di Carità”. E tu sai bene, sì, molto più profondamente e dolorosamente di me, che cosa vuol dire questo slogan, seppure intraducibile nella tua Lingua Tedesca. Può un Corpo obeso di mondo e serrato nella propria prigione, aprire le porte al Fratello? Al passante? Allo sconosciuto? Al nemico? All’indifferente? Sacrificare la carne non vuol dire forse erigere templi e altari all’Idolo ossessionante del mondo post-moderno: il Consumo?! Come può il povero Parroco liberarsi della propria condizione di povero Uomo, se il suo diurno e notturno pensare – oh, di più!, sentire, percepire, assaporare, appetire – è drammaticamente ossessionato dalla Condanna? E come può – sotto la minaccia della Condanna – aprire la porta di casa, anzi: non chiuderla mai, aprire il cuore, tenere felicemente desta la sua apostolica missione in pulsione di Carità!? 
 Obeso di Carne com’è.

**Foto e scritto liberamente tratti dal journal dell’Amico del Dinanimismo Girolamo Melis: http://girolamo.melis.it/2013/02/fratello-joseph-ti-scrissi-questa.html

Lezioni da Cani…

 

*C’era una volta un cane…

 

Quella che vi racconto è una storia, una storia come tante, semplice ma non banale.

Come ogni storia che si rispetti, così inizia:

C’era una volta…

Non un re, né una regina.

Non un principe, né un cavaliere.

Non c’erano storie fantastiche e nemmeno grandi imprese ma…

… C’era una volta un cane, un cane di nome Playa.

Nulla di strano, solo un cane che, come spesso accade, cercava d’impartire lezioni di umanità al proprio padrone; un  burbero, solitario e testardo individuo che un bel giorno decise, nonostante i suoi centomila difetti, di lasciarsi guidare dal suo fedele compagno il quale, preso da un raptus di follia canina all’ennesima potenza, in un pomeriggio di primavera esordì dicendo: “ caro amico, prendi carta e penna e scrivi. Ho un paio di cose da dirti!”.

Il padrone, senza farsi troppe domande, eseguì l’ordine e tutto quello che fu detto, oggi,  qui,

 viene “fedelmente” riportato:

1)      “Diffida sempre dagli umani, ma senza esagerare. Ci sono tantissimi pezzi di “pipì” ( ndr. Con il termine pipì  la Playa indicava anche la cacca perché quell’imbecille del suo padrone non aveva mai fatto una distinzione chiara tra le scorie liquide e quelle solide.) però, tra tutta questa pipì, qualcuno ancora si salva e lo puoi riconoscere annusandogli i piedi, se puzzano e se le scarpe sono abbastanza sporche e se non le tira subito indietro, quasi come se fossero d’oro e di cristallo, allora, di quell’umano  lì, ci si può fidare.

2)      Diffida senza esagerare degli umani … ma questo vale solo se sono più alti di un metro e trenta, o se hanno la barba, o se hanno già le tette. Perché,  se non si verifica almeno una di queste tre condizioni, è molto probabile che ti trovi dinanzi ad un essere umano non ancora divenuto “cacca” ( ndr. Così il suo padrone chiamava tutte le cose sporche che non dovevano essere né annusate né, tantomeno, leccate. ) quindi leccalo, abbraccialo, bacialo e, soprattutto, difendilo da quegli umani già trasformati. Gli umani non cacca ( ndr. I bambini ) sono gli umani del futuro e, anche se la percentuale di quelli che si trasformeranno in cacca è molto elevata, qualcuno si salverà e magari si trasformerà in un umano dai piedi sporchi, pertanto, preventivamente e nel dubbio, è giusto rispettarli tutti, almeno fino a quando non avrai la sicurezza che si siano già trasformati in umani cacca.

3)      Ringhia ed abbaia, qualora tu lo ritenga opportuno, ma non ricorrere mai alla violenza, né quella morale né quella fisica. La violenza gratuita è propria delle bestie umane. Non appartiene a noi animali.

4)      Sii leale anche quando credi che chi ti sta dinanzi non lo merita. Solo così potrai salvarti dalla cattiveria e dalla pochezza d’animo.

5)      Ritagliati angoli di cuore dove custodire i tuoi ricordi preziosi. Proprio come buche profonde scavate nella terra per nascondere ossi prelibati da tirar fuori all’occorrenza.

6)      Non abbaiare ( anzi palare ) a sproposito.

Cazzo!!!

Ogni tanto fermati ad ascoltare anche chi, come me, non sa parlare la tua stessa lingua ma ha comunque qualche cosa da dirti.

7)      Sii fiero di te stesso e quando cammini scodinzola, ma non fare in modo che la tua fierezza sfoci nell’arroganza e nella superbia. Queste ultime due “qualità” sono proprie del genere umano. Anzi, degli umani cacca… quindi… stanne alla larga.

8)      Quando per strada incontri un essere più debole di te, non terrorizzarlo, scodinzola, leccalo e sorridi. Far prevalere la propria forza su  chi è più debole non è un comportamento  da supereroi ma da vigliacchi.

9)      Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo. Gioisci per ogni osso che ti viene donato, per ogni sorriso che ti viene rivolto, per ogni carezza che ti viene regalata; insomma, sii felice anche quando agli occhi degli altri non ce n’è motivo. La tua vita è solo tua… quindi… vivila come meglio credi.

Ed ora, scusami, ma mi sento un po’ imbecille nel  parlare la vostra lingua, pertanto:

BAU!!!”

 

*Scritto da Zairo Ferrante, sotto gentile dettatura di: PLAYA ( nella foto )

**Tratto da Girolamo Melis Journal (anteprima in apocalypse Bau ): http://girolamo.melis.it/2013/02/esclusiva-mondiale-playa-bau-insegna-al.html

 

 

 

Il muro della resistenza 2013… dove anche Tu puoi aggiungere il tuo pensiero di resistenza per un 2013 migliore!!!

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ANCHE TU CHE LEGGI SEI INVITATO AD AGGIUNGERE IL TUO PENSIERO DI RESISTENZA PER IL 2013, BASTA ACCEDERE ALLA sez. “COMMENTI” CHE TROVI ALLA FINE DI QUESTO POST E… SE TI VA … INVITA PURE I TUOI AMICI PERCHE’ NOI … ANTICIPATAMENTE, anche per questo motivo, TI RINGRAZIAMO!!!

Dalla pagina FB della Redazione di questo blog… parole in libertà con l’augurio di un 2013 di resistenza e (quindi) migliore.


**LA FINE DEL MONDO E’ STATA SCONGIURATA… ORA SCONGIURIAMO LA FINE DELL’UOMO!!!
resistere… all’odio.
resistere… all’invidia.
resistere… al razzismo.
resistere… alla superbia.
resistere… all’arroganza.
resistere… al denaro non sudato.
resistere… al potere gestito con avidità ed ignoranza.
IO RESISTO, TU RESISTI, NOI RESISTIAMO… QUESTO E’ L’AUGURIO!!!

*Resistere all’imbecillità?

Resistere al marchio a fuoco d’una laurea alla Bocconi?
Resistere alla tentazione di indossare un bel completino blu con camicia e cravatta?

Resistere alla seduzione dei cerchioni in lega d’oro-incenso e mirra di una Ferrari?
Resistere al tacco 20?

Resistere alle parole che mi si ficcano nelle frasi e riuscire a non mandarle a fanculo?
Resistere alla mezzanotte del 2012.

*In rosso la resistenza di Girolamo Melis

**In blu la resistenza di ZF

***Foto “tacco” tratta liberamente da: http://style.notizie.it/scarpe-col-tacco-di-mattina/

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