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Giovanna Mulas, Gabriel Impaglione e Patrizio Pacioni al Centro Culturale ‘La Quercia’ di Vimodrone.

colombia1.jpgPomeriggio di Letteratura.

Il 19 febbraio gli scrittori Giovanna Mulas, Gabriel Impaglione e Patrizio Pacioni incontreranno i Lettori al Centro Culturale ‘La Quercia’ di Vimodrone, Milano.

Ufficio stampa Isola Nera

*Da GiovannaMulas.blogspot:

“Nelle tribù africane non esiste il cercare di essere meglio di, l’ambizione che soltanto noi, signori ‘evoluti’, conosciamo…si pensi proprio alla musica e ai suoi strumenti…”, mi dice Pedro, “…il capo tribù da un pezzo di canna ricava tante parti uguali quanti sono gli abitanti della tribù. Ognuno di loro potrà suonare soltanto una nota e sempre la stessa che, se presa sola, apparirà sgraziata: un lungo –o intermittente- insensato fischio…
ma unito alle note degli altri membri della tribù, quel fischio creerà la melodia. Tutti loro saranno uguali davanti alla musica e creandola.
Qui sta la filosofia dei popoli neri: tutti uguali davanti a tutti. Nessuno di loro potrebbe vivere senza gli altri.”

**Scritto liberamente scelto dalla Redazione del dinanimismo e tratto da: http://giovannamulas.blogspot.com/2012/01/ho-visto.html

VI FESTIVAL INTERNAZIONALE DI POESIA ‘PAROLA NEL MONDO’

ressegan internazionale,poesia,dinanimismo,zairo ferrante,giovanna mulas,palabra nel mundoLa cultura può e deve il cambiamento.

VI edizione del Festival Internazionale di Poesia ‘Parola Nel Mondo’, per informazioni e adesioni in lingua italiana:  Giovanna Mulas, mulasgiovanna@yahoo.it .

La partecipazione alla VI edizione del Festival è gratuita: ‘Parola Nel Mondo’ nasce per l’essenza della poesia.

La V edizione dell’evento culturale ha visto oltre 700 città partecipanti nel mondo, in contemporanea.

Il Festival integra la Rete di Festivals Internazionali di Poesia Nuestra America, è Festival co-fondatore del Movimento Poetico Mondiale.

La cultura può e deve il cambiamento: vi aspettiamo numerosi.


*Ufficio Stampa Isola Nera

 


 

Riferimenti, info, adesioni per l’Italia: Giovanna Mulas –

 


 


Dal 10 al 22 maggio 2012

Diamo un’opportunità alla Pace


Il Festival internazionale di Poesia Parola Nel Mondo rappresenta da anni e ovunque un’immensa riunione poetica: è come il giorno che ingrandisce il mondo scoprendo l’essenza delle direzioni, il colore delle cose, il mistero della vita che ci spiega la Pace con la naturalezza delle sue manifestazioni, senza necessità di giustificazioni né discorsi complessi.

Parola Nel Mondo è un Festival di Poesia che libera da ogni palmo del pianeta, da ogni casa, luce delle fraternità, e cresce e alimenta la direzione infinita.

Questo è Parola nel Mondo: un grande incontro senza frontiere attorno alla Poesia. Dal 2007, prima esperienza inedita di questo tipo nel mondo, atta a sostenere un carattere plurale e orizzontale, autogestito, libero. Nasce da ognuno di noi per moltiplicarsi: pane buono di mano in mano, canto e speranza.

Decine di paesi, centinaia di città, migliaia di azioni poetiche integrate lungo questi ultimi anni, per esercitare la poesia a voce alta nelle strade, nei paesi, aule e fabbriche, piazze e caffè, biblioteche, università, carceri e parchi (e ovunque l’immaginazione arrivi a creare realtà, grazie alla voglia di costruire dei poeti lavoratori, di docenti, di gestori culturali…)

Uniti diciamo che, tutti, possiamo costruire un grande abbraccio alla Pace e per la Pace.

Perché la pace non è il silenzio dei cimiteri, la pace non fruttifica sotto l’oppressione, non è il prodotto della paura per il Gran Manganello né cresce accanto alle forze economico-militari di dissuasione del niente.

La pace non sopravvive ai silenzi complici, ancora meno rappresenta mercanzia né necessita di sottomarini nucleari o di mercenari, pastori di greggi allucinate da visioni consumiste.

La Pace è un bambino che legge poesia, il nostro prossimo attorno al pane e alla libertà, un canto collettivo. Questo diciamo, uniti, come parola magica che apre le porte dei popoli affinché la fraternità sogni con noi il miglior futuro per tutti.

Ci convochiamo per costruire il possibile e l’impossibile.

Dal 10 al 22 maggio 2012, in ogni luogo e in poesia.

 

 

Giovanna Mulas a Tertenia, con gli autotrasportatori in protesta: quando l’arte di scrivere diventa sociale!!!

TERTENIA2.jpgIeri sono stata per qualche ora con gli amici autotrasportatori in protesta nella zona di Tertenia.

Tra auto di polizia e carabinieri, il gelo di una campagna agreste di gennaio, i camion vengono lasciati per adesso ai lati della strada, in fila indiana, ai fini di consentire il passaggio agli altri automobilisti.

Parlo con padri sostenuti dai gruppi indipendentisti uniti in loro sostegno, parlo con ragazzi che lamentano la quotidiana sopravvivenza alla vita, la totale assenza di sindacati e istituzioni in genere, la mancanza di coscienza di buona parte della popolazione ché non ancora toccata dal fango e il suo odore.

Mancanza di scambio di elementi tra governati e governanti: classe politica alfa già casta, non in grado anche solo di fermarsi ad ascoltare.

Dimentica, questa casta, del virtuale che rappresenta agli occhi degli uomini veri, dei lavoratori veri: casta di burattini senza filo, commessi viaggiatori, mancati piazzisti, rappresentanti di chi oramai non ha più bisogno di essere rappresentato, marionette di un teatro col sipario già calato, come le braghe, sulle vergogne, e per fortuna nostra, agli occhi del mondo.

L’isola è in ginocchio, il malessere è forte e lo respiro come mio da anni, lo conosco e rispetto: e vigorosa, prepotente quanto il diritto alla vita e al lavoro è la dignità di questi uomini e le loro famiglie.

Penso, con ansia crescente per miei figli e i giovani, tutti figli nostri, alle crescenti rappresentazioni fasciste di violenza caotica, che non resteranno senza conseguenze, penso alla superficialità, al costante sottovalutare la situazione degli omuncoli da circo televisivo, gli opinionisti dal sorriso facile, strafottente.

Gli stessi parlamentari borghesi, virtuali e corrotti, che ghignano senza credere, loro per primi, alle cazzate che sparano, offese costanti all’intelligenza del popolo.

AlicI Delle Meraviglie, bianconigli scaduti e affondati in quella poltrona fuori dal mondo, promossi da media complici mentre la polizia manganella chi andrebbe protetto, chi ha fame, chi urla, chi solo, davvero, fa Stato.

Io mi rifiuto di vedere un’Italia alla Capitan Schettino. La nave è già affondata e ancora cadrà: rappresenterà un bene per troppi, la caduta. Ma le masse popolari non sono e non devono essere un capitan schettino: la loro potenza, seppure ancora inconsapevole, non va sottovalutata, va temuta. L’italiano è quel pescatore che, ferito dalla violenza del poliziotto, ha saltato la barricata, ha spezzato un bastone e, furioso per le chiare ingiustizia e repressione, si è difeso.

Pure è un bene, per ora, che quel bastone si fermi ad una barricata messa su dalla polizia-Stato, è un bene che non vada oltre, per ora. Ma presto anche quella barricata cadrà, è fisiologico che cada.

E’ in quel momento che vedremo, voglio, l’italiano vero: orgoglioso, pieno della sua Patria, dell’essenza stessa di Patria, persa da troppo tempo o forse mai conosciuta, comunque schiacciata da indegni.

Pieno dei suoi diritti di Uomo, suoi semplicemente perché uomo, la cui reazione di passione diventa comprensione e quindi conoscenza.

Vedo, voglio, una Patria dove l’ultima delle madri di famiglia possa fare il ministro dell’economia e devo dire che la vedrei molto bene, nel farlo. Senza lacrime di coccodrillo lo farebbe, e non un figlio rimarrebbe senza un piatto.

Certamente lavorerebbe in un’ottica di bene comune quella madre, orizzontale.

Concreto e molto, molto lontano da Alici e bianconigli.

GM

Leggi e vedi immagini dal blog ufficiale: http://giovannamulas.blogspot.com/2012/01/tertenia-con-gli-autotrasportatori-in.html

*Scritto ricevuto direttamente da: Giovanna Mulas ( giovannamulas.blogspot.com )

Sul razzismo negato… articolo/denuncia di Giovanna Mulas

Africa.jpg…Parliamo di uomini ad esempio, e non esistono razze. Parliamo di uomini ad esempio, e non devono esistere paure capaci di togliere loro la vita. Risulta essenziale un costante monitoraggio sui processi di integrazione, avviati a largo spettro. Parliamo di persone che possono essere rinchiuse nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) senza alcun diritto. Cie Lager?
Secondo un’indagine svolta da Medici Senza Frontiere, in numerosi centri i servizi erogati soddisfano a malapena i bisogni primari: vengono tralasciate le molteplici istanze che possono contribuire a determinare una condizione accettabile di benessere psicofisico.Persone costrette a vivere in container fatiscenti di 25 metri quadrati, distanti centinaia di metri dai servizi e dalle altre strutture del centro.
Negli stessi centri l’assenza di una mensa obbliga le persone a consumare i pasti giornalieri sui letti o a terra.
Signora mia “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”, recita Il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Non si legittima il razzismo, mai ci si deve abituare ad esso.
Meditiamo italiani, brava gente…


**Foto postata dalla redazione del dinanimismo e liberamente tratta da: http://www.liligo.it/blog-viaggi/notizie-viaggi/2010/12/27/il-natale-in-giro-per-il-mondo-3468/

L’IMPEGNO INTELLETTU​ALE DEI BUONTEMPON​I DELLA FELICITA’ -Giovanna Mulas –

154316373-9085c54d-fc4c-4f7f-8c22-b4cc2119915b.jpgCon buona pace del sano berlusconismo e dopo l’arricchimento
intellettuale fornito a suo tempo dal ‘Corso sull’idiozia’ ecco, di rimbalzo tra un quotidiano e l’altro, ciò che tutti noi poveri mortali attendevamo trepidanti da anni, senza avere il coraggio di chiederlo:
l’Università della felicità, in Sardegna.
Simpatici buontemponi miei, incattedrati per la voglia di privatizzare anche la felicità (a 190 Euro, questo il costo d’iscrizione) facciamo un esercizio di memoria, sempre utile agli alunni più ingenui: ricordiamo, a noi e a loro, che
proprio nella nostra isola, durante gli ultimi sette mesi, sono stati
registrati 10 suicidi per mancanza di lavoro e debiti, ché la felicità
ultimamente va via…come l’acqua, per rimanere in tema privatizzazione.
Insegnateci, coraggio: serve procurare ‘felicità’ o consapevolezza,
tra i lettori? Facciamo alcuni nomi dei buontemponi felici costi quel che costi?:
il felicissimuS Vittorio Sgarbi, il felicione Benito Urgu e la
feliciotta Michela Murgia, l’incomprensibile felice -due volte- (sarà
stato il tête-à-tête con Briatore?) Felice Floris, i felici Giorgio
Pisano con Francesco Abate. E altri buontemponi ancora.
Bontà nostra, compagni miei di resistenza intellettuale: abbiamo
sempre avuto il Sacro Graal in casa e non ce ne siamo mai accorti.
Che gran coglioni.

“E adesso siam pronti alla morte?” per ‘Il dialogo’ di Giovanni Sarubbi:
http://www.ildialogo.org/ poesia/IsolaNera_1321368905. htm

*Articolo ricevuto dalla Scrittrice: Giovanna Mulas

QUANDO LA LETTERATURA “SI FA” IMPEGNO SOCIALE

thumb.jpgCari Lettori

Vi segnaliamo l’uscita dell’ antologia ‘Mosaico di Emozioni’ (Aliberti Editore 2011) dove, oltre ad una favola inedita della scrittrice Giovanna Mulas – pluricandidata al Premio Nobel e amica di questo blog – , è possibile leggere scritti di Carlo Azeglio Ciampi, Tania Cagnotto, Don Antonio Mazzi, Aldo Montano, Valeria Collevecchio, Antonio Rossi e altri personaggi della cultura, politica, sport.

I fondi raccolti dalla vendita dell’antologia sono destinati alla realizzazione di Casa Zizzi, Centro per l’accoglienza ed il recupero di bambini e ragazzi con problematiche familiari e sociali:

*Per aquistare il libro: http://www.ibs.it/code/ 9788874248360/mosaico- emozioni.html

**Per avere maggiori informazioni sull’Antologia e sull’Editore: http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=mosaico-di-emozioni

LA MIA COLOMBIA Giovanna Mulas, 2011, estratto da ‘NOCTURNO OLTRE CONFINE ( la mia Colombia)’

colombia-283x300.gif“Sergente, abbiamo oltrepassato uno strano confine qui.

Il nostro mondo ha sterzato sul surreale.”

(da ‘Salvate il soldato Ryan’, 1998.)

Penso, sono convinta, che prima di mettere piede in latinoamerica, appena un istante prima, un attimo soltanto; debba avvenire un click, dentro. Un click che ti spalanchi occhi e mente alla verità che attende paziente, appena varcherai quell’Exit all’aeroporto: l’America non è New York e Stati Uniti, come da sempre è dato da bere a noi europei fin da tenera età. L’America non è poliziotti fighi e buoni dalla mascella grossa, ‘guerra di pace’ e croci al milite ignoto, film e telefilm yankee di famiglie bionde, belle, magrissime e felici, di successo, Gold’S Gym e beveroni dietetici miracolosi per ragazzone vitaminizzate, da Boutique Cavalli.

Gli Stati Uniti rappresentano una piccola parte della mappa, e non certo la migliore.

Deve acchiapparti un qualcosa, clandestino mio, che ti prepari al dopo, a ciò che hai letto solo in parte sui libri di scuola, immaginato solo in parte con Marquez, Mercedes Sosa o le riviste di una sinistra italiana che, in parte, è già destra, o ascoltato da qualche amico convinto di aver fotografato l’El Dorado, a lamenti per il costo salato della visita guidata.

E magari l’hai fatto sorridendo, ascoltare intendo, pensando che si, che quella del latinoamerica in fondo è gente del terzo mondo, caduta in disgrazia non si capisce come e perché, sempre troppo allegra e un pò alla tanos, alla napoletana, sfigati allegri che forse neppure le lavatrici conoscono, non come noi europei fashion per il Colosseo e i cinesi a frotte a visitarlo. O il Festival di Sanremo.

Penso che il click, il click vero, debba avvenirti prima nelle viscere, poi nel cervello. Nello stesso, infinitesimale secondo nel quale cominci a odorare, non richiesto, un’aria non tua, già violentata, dominata storicamente.

Devi metabolizzarti diverso. TU diverso e superbo, ammaestrato, addestrato dalla nascita come dominatore ma, in realtà, piccolo e banale schiavo, salottiero, plagiato dal sistema.

Penso pure che se quel click non lo senti tanto vale che resti a casa, in umile accettazione, affondato in poltrona a ubriacarti di bugia fino alla fine dei tuoi giorni ché in fondo, come diceva mia nonna, la verità va incontro soltanto a chi ha il coraggio di cercarla.

Del resto, la mia, è solo la visione di un’europea.

Mi sveglio alle 5.30 che il sole già filtra tra le persiane basse della nostra camera, all’undicesimo piano del Gran Hotel di Medellin.

Il clima è dolce, un misterioso campanile batte un rintocco e mezzo e, tra sirene e grida, la vita che mai ha smesso di correre, giù per le strade diritte. C’è odore di caffè appena fatto e brioches. Sento bussare la porta della camera accanto, probabilmente si sta servendo la colazione. Ancora fatico ad adattarmi all’altitudine: il mal di testa feroce e le vertigini che sento avvolgermi cervello e sangue, mi obbligano ad ingoiare due pastiglie. Siedo sul letto e attendo di sentirmi meglio. Col caffè passerà, penso e spero. Butto giù qualche appunto, una doccia, stiro i muscoli, mi trucco, lamento la mancanza di un bidet, ho fame. Sveglio Gabriel alle 7.30; alle 11.00 abbiamo appuntamento all’asentamiento de los desplazados La cruz y La Honda, alla scuola Luz de Oriente, per un reading e dialogo con pubblico. Con noi ci saranno il rapper sudafricano Ewok, idolo dei più giovani, e la cubana Magìa Lopez, cantante e maestra di hip hop. E’ dal giorno del nostro arrivo in Colombia che Fernando e Gloria del Festival mi dicono che dovremo fare molta attenzione a tutto: il barrio La Cruz appartiene agli sfollati, è difficile, pericoloso, è la periferia perduta, volutamente dimenticata dalla città. Colombia è il paese al mondo col maggior numero di desplazados, a causa della guerriglia interna. Il denominatore comune, l’obiettivo principale della guerriglia che spinge indirettamente o direttamente le genti ad abbandonare la propria terra e quindi finire in rovina è il narcotraffico. Occorrono terre per produrre le sostanze e si obbligano i contadini all’emigrazione: se questo non avviene volontariamente, i contadini vengono uccisi. Ciò accade sistematicamente anche in zone minerarie o nelle coltivazioni di palme da olio (cocco). E’ denunciato il reclutamento forzato di bambini, il corpo delle donne, ulteriore atrocità di una guerra imposta, è oggetto costante di violenza: bottino di guerra per i paramilitari. Si stima che circa il 70% degli sfollati ha vincoli con la terra che si sono visti costretti ad abbandonare: proprietari, gestori, occupanti. Si registrano dai 4 ai 6 milioni di ettari di terra abbandonati. L’ ONG Osservatorio dei diritti umani e dello Sfollamento, considera che la cifra reale degli sfollati per il conflitto armato interno dalla metà degli anni ottanta supera i 5 milioni di persone. Circa l’80% degli sfollati sono donne e bambini e secondo la commissione di politica pubblica sullo sfollamento forzato, il 43% delle famiglie ha come capofamiglia una donna. Nel 68% le donne capofamiglia restano sole. Mi raccontano che durante le ultime settimane un paio di insegnanti sono scomparse da La Cruz, per essere state ritrovate qualche giorno dopo torturate e uccise in mezzo alla foresta, pistola in mano e braccialetto delle FARC. Incastrate, uccise perché ritenute sovversive, ribelli. Perché ai ragazzini non si deve insegnare a pensare o creare quanto, solo, a vivere. Il come verrà dettato dall’istinto di sopravvivenza. Los compañeros sostengono che gli Stati Uniti “pagano un tanto a cadavere” secondo il Plan Colombia, e il governo colombiano incassa. Ufficiali, soldati e un numero imprecisato di cittadini comuni hanno intascato ricompense dallo Stato per presentare false denunce anonime contro loro vicini e conoscenti, mandandoli a morte. E’ la caccia alle streghe, sotto lo storico silenzio dei media mondiali, i falsi positivi: militanti di sinistra, intellettuali, maestri o contadini, aborigeni.

Centinaia di cittadini inermi sequestrati da esercito e paramilitari o paracos (gruppi di mercenari di ultradestra, fascisti, retribuiti dalla politica governativa), assassinati e rivestiti con una tuta mimetica con il simbolo delle FARC per permettere agli assassini di passare all’incasso. Omicidi pagati dallo Stato colombiano e, al di sopra di questo, dal governo degli Stati Uniti. Il Plan Colombia, “Plan for Peace, Prosperity, and the Strengthening of the State” ( Piano per la pace, prosperità e consolidamento dello Stato ) è in realtà una tenaglia con la quale l’imperialismo impone la sua prepotenza in America Latina. Il governo colombiano, con le sue sette basi militari statunitensi, registra un importante introito economico proprio grazie alla droga venduta al principale consumatore nel mondo: gli Stati Uniti. La popolazione colombiana soffre da varie decadi dei devastanti risultati di questo negozio che si traducono nell’esistenza di mafie e le loro formule di estorsione, nell’incremento della violenza e della corruzione, nei confronti politici senza soluzione, repressione militare e paramilitare contro i civili etc.

Cani sporchi camminano indolenti, zigzagando per il sentiero di fanghi e sabbia. L’autista ascolta Cumbia Peruana a manetta. La Chiva, Il coloratissimo, stretto e caratteristico pullman colombiano sobbalza e frena a scatti. Sbuffa e accelera, da una ventina di minuti ha abbandonato la strada principale. Sale e la strada si fa più stretta fino a divenire impervio sentiero di montagna. Capita d’incrociare –non si sa come, vista la mulattiera- altri pullman. Penso “ora ci blocchiamo qui o cadiamo di sotto”. L’autista, esperto o solo incosciente, sterza, accosta un istante approfittando di cespugli e affossamenti laterali, sfiora di qualche millimetro l’altro pullman e ne viene sfiorato, frena, sterza ancora, saluta il collega al volante e, incredibilmente, riesce a proseguire. Senza litigare lanciando insulti come accadrebbe tra noi tanos, come noi italiani veniamo chiamati in America latina.

Medellin ed i suoi eleganti grattacieli la vedo come la prima volta: racchiusa, circondata da colli e catene di montagne intinte nelle nuvole. Da quel sentiero mi pare un mondo a parte; di un’eleganza fallace, troppo mostrata. L’autista de La Chiva guida selvaggiamente, noi sobbalziamo ridendo e tremando un poco: non so se arriveremo a destinazione senza vomitare. Nel cielo, volo a cerchio, gli avvoltoi: conto quattro o cinque vistose macchie nere. Ai fianchi del sentiero appaiono, inerpicate furiosamente, altre ‘case’: assi di legno marcio e plastica, tubi di ferro che fungono da pilastri, cartone. Una accanto all’altra e sopra l’altra, a togliersi il respiro; arrancano tra cima e strapiombi, pronte ad essere spazzate via alla prima alluvione.

E capirò il crack tra i più giovani, capirò il popolo zombies, capirò la violenza. Odoro l’ingiustizia, la prepotenza dell’imperialismo nella miseria delle strade untuose, nei bambini semi nudi e scalzi, nelle ragazzine in vendita ai turisti annoiati. Sento le viscere farmi le capriole, dentro. Perché? Perché qui e così?

Perché c’è chi ha dieci e chi, come loro, il Nulla. E non pretendono più di questo nulla.

“Voi poeti dovete raccontare al mondo ciò che noi viviamo qui”. Così mi hanno detto i bambini abbracciandomi, quei rifugiati della scuola de los desplazados, figli della guerriglia e tutti figli nostri, con la strada negli occhi, affogati nel fango del sistema che qualche buon borghese neppure è in grado d’immaginare e che nessun uomo, solo perché tale, ha il diritto di conoscere, tanto meno vivere.

Strano, capirlo davvero oggi, nel 2011, e qui. Dopo tanto studiare, vivere, leggere, ascoltare, vedere e scrivere. A cosa è servita la mia cultura? La letteratura, la poesia…a cosa è servita? Io che pensavo di conoscerlo, il dolore, e di conoscere la morte.

Strano, per me.

A tratti tutto mi pare un film ed io una comparsa da Eroe per caso, un universo parallelo quasi. E vorrei che lo fosse. Ma non è un film ed io non sono un’eroina, sono soltanto un’europea cresciuta a telefilm yankee e consumismo. Per noi l’idea di aiutare equivale all’assistenzialismo, al mendicare. Che posso saperne io di desaparecidos, di torture e storica ribellione di un popolo all’imperialismo se non quello che ci è stato dato da studiare e leggere per una vita? Sono formattata, io.

Leggo la mia poesia alle persone raccolte in quello stanzone troppo vasto e vuoto, mentre dei bambini scalzi giocano tra le sedie, i cani passeggiano fiutando pulci e presenti. Devo trattenere il pianto, stringo i denti, serro la mascella. Tutto mi sembra inutile, banale, offensivo quasi delle condizioni di questa gente. E sento che per i miei compagni la sensazione è la stessa. Ci scattano delle foto che vedrò in seguito, diffuse dalle agenzie di stampa internazionali: io, Gabriel, Ewok e Magia abbiamo l’espressione smarrita, i volti carichi di sconcerto. In particolare, riguardando l’immagine apparsa sul quotidiano nazionale El Colombiano, rifletterò sul perché la foto è stata scattata soltanto a noi poeti. E’ normale, mi dico. Ma perché non ai bambini, con noi, i veri protagonisti di quella scuola e della vita, di quella vita non…vita? Ripenserò al mondo a parte dei poeti…può un poeta stare davvero con la gente e rappresentarla (superbia più grande) oppure, d’istinto e sempre e comunque è portato a rappresentare se stesso?

Dopo la lettura, avverto l’impulso bestiale di fuggire. “Per oggi è troppo”, penso “…non posso, io non posso…che ci faccio qui? Qui, a che serve la mia poesia?”. I bambini mi si avvicinano bloccando all’istante il mio volo mentale: mi abbracciano, mi baciano le mani, mi ringraziano per le poesie.

Un piccolo, sporco e lacero, tirandomi per il braccio mi prega di restare a mangiare con loro. Lo abbraccio stringendolo al ventre, gli bacio la testina rasa e nascondo le lacrime che, ancora, mi colgono: “claro que si”, gli dico, “comemos juntos”, e vorrei fare di più per loro che mangiarci assieme.

Nel terrapieno accanto alla scuola ci sono uomini che zappano: Giacobo e Marcela, compañeros che hanno accolto me e Gabriel al nostro arrivo raccontandoci sulle ultime insegnanti scomparse e del lavoro della FARC tra i monti, ci dicono che quelle persone stanno scavando un canale per la discarica di una ‘casa’, e i vicini aiutano il nuovo desplazado a farlo. Sul terreno arido della scuola alcuni volontari hanno avviato una piccola coltivazione di cipolla e aglio.

Rimango colpita dai poeti tedeschi Regina Dyck e Thomas Wohlfahrt, direttori rispettivamente di Internationales Literaturfestival Bremen e Literaturwerkstatt Berlin. Gli sfollati hanno preparato per tutti noi autori con affetto, cura e chiaro sacrificio due pentoloni enormi di fideos de arroz con carne, cotti per ore all’aperto sotto il sole cocente. Zuppa calda di riso con tranci di carne e fagioli, platano, cipolla e aglio, accompagnata da litri di limonata. I due poeti annunciano che hanno da fare e torneranno in albergo subito, con un taxi. Dopo un’intervista rilasciata al volo ad un inviato dell’agenzia EFE, m’infilo in una delle tre lunghe code di persone in attesa del pranzo. Più di un desplazado fa per cedermi il suo posto, per evitarmi l’attesa. Dico che no, va bene così: noi siamo uguali agli altri. Aspettiamo il nostro turno sotto un sole d’inverno colombiano, trenta gradi all’ombra. Queste persone, con la loro immensa dignità e semplicità mi scaldano l’anima: c’è chi si avvicina per farsi una foto con la poeta de Italia, chi mi bacia ringraziandomi, chi ci guarda con affetto grande, chi mi porge la sua bambina di pochi mesi affinché l’abbracci per portarle fortuna e mi confida che ama l’Italia e Ungaretti, scattando un’altra foto. Mi danno un ottimo cafecito tinto, dopo la zuppa mangiata poggiando il piatto in plastica sulle ginocchia. E mi guardo attorno.

Eroi. Qui gli unici eroi sono questi uomini e queste donne che vedo camminare scalzi e con un orgoglio che non si piega neppure davanti a secoli di repressione. Loro che, comunque, sorridono. Popolo di disperati costretti dalla guerriglia a lasciare le loro terre senza nulla pretendere se non la vita, i figli in braccio e il domani vuoto. Sono loro gli eroi. Noi, soltanto europei.

“E la chiesa come si sta muovendo?”, domando laconica a Marcela e Giacobo, che sorridono. In fondo non ho bisogno di risposta, conosco la storia e qui mi basta guardare, sentire dentro, ascoltare la gente.

“Come sempre. Dalla parte del potere”, mi dicono.

Penso ai miei figli e la loro fortuna, nonostante. Penso a los desplazados, abbandonati da un dio burlone, se esiste un dio, e dalla natura, dal mondo stesso. Ad un governo populista che elargisce 50 dollari ogni due mesi per tenere calme le acque, evitare ribellioni violente e far pensare alla gente che si fa qualcosa per loro. Il Governo corrotto ruba miliardi, al popolo vanno le briciole e la zuppa di fagioli e riso quando gira bene. Penso che il governo colombiano non è poi così diverso dall’italiano. Penso al futuro che vedranno questi bambini, a come lo vedranno se lo vedranno. E spero che il dolore non bruci loro gli occhi, ché la carne è già tatuata. Vorrei avvolgerli, portarli con noi vorrei e vorrei e durante il viaggio di ritorno piangerò soltanto, per ciò che avrei voluto per loro, tutti figli nostri, e mai avrei immaginato… non così, non…così.

Mi salutano adios muchacha, tutti i bambini, dalle finestre della scuola. In pullman, riscendiamo verso il mondo vero. E già non lo vedo come prima.

Ora so che nulla sarà più come prima (…).

Giovanna Mulas (Nuoro, 1969) è scrittrice, poetessa, giornalista e pittrice. Ventinove libri pubblicati a oggi tra sillogi, poesia, romanzi, saggistica.

Presente in centinaia di antologie internazionali con racconti e poesie.

Pluri-accademica al merito, 60 primi premi letterari internazionali vinti l’ultimo dei quali ricevuto a Taormina dall’Europclub e la Regione Sicilia, premiati anche Ennio Morricone per la musica, Carla Fracci per la danza, Istvan Horkey per la pittura e la giornalista e opinionista Rai Barbara Carfagna per il giornalismo d’opinione.

A Ostia le è stato assegnato il Premio Città di Ostia per la Cultura (giugno 2011)

È stata tradotta in 5 lingue, due volte candidata al Nobel per la letteratura per l’Italia.

Membro onorario della GSA, Giornalisti Specializzati Associati di Milano, dirige le riviste di letteratura Isola Nera (in lingua italiana) e Isola Niedda (in lingua sarda), diffuse nel mondo e consigliate UNESCO. Dal format originale in lingua spagnola Isla Negra, fondato dal marito Gabriel Impaglione, poeta e giornalista argentino.

Ha presenziato, ufficialmente per l’Italia e prima artista sarda nella storia dell’evento, al prestigioso Festival Internazionale di Poesia di Medellin, Colombia, primo d’importanza al mondo, Premio Nobel alternativo dal Parlamento di Svezia.

www.giovannamulas.it – il sito ufficiale, a cura del giornalista Simone Piazzesi

quattro pagine ufficiali in Facebook Italia: Giovanna Mulas (I, II, III) e dialogo con Giovanna Mulas

contatti di lavoro: Dott. Alberto Asero, Asero & Partners European Literary Agency, Torino

**Estratto ricevuto direttamente da: Ufficio Stampa Isola Nera

**Immagine liberamente postata dalla Redazione e tratta da:  http://www.puntocritico.net/2011/07/07/obiettivo-colombia/


Mag 27, 2011 - AZIONI DINANIMISTE    No Comments

Cogliere il DinAnimismo: La dedica di Giovanna Mulas

E’ con grande piacere ed orgoglio che rilancio la lettera/dedica della scrittrice Giovanna Mulas, ricevuta direttamente dalla Redazione del periodico “Isola Nera”.

La rilancio in virtù dell’immensa stima che nutro nei confronti della Scrittrice ma la rilancio anche perchè, nelle sue parole, è possibile cogliere il vero senso della lotta DinAnimista.

Dignità, coraggio, lotta nonviolenta, resistenza, solidarietà e bellezza. 

Tutto questo può essere Arte, tutto questo è Poesia, tutto questo può trasformarsi in Speranza futura.

Zairo Ferrante

La Giuria del Premio Internazionale di Poesia Città di Ostia ha conferito a Giovanna Mulas il Premio Speciale alla Cultura.
La scrittrice ritirerà il Premio in giugno al Teatro Nino Manfredi, in occasione del suo reading contro la violenza sulla donna, curato dal regista RAI Gaetano Colloca.

<<…Voglio dedicare questo riconoscimento ( lo faccio da madre, prima che scrittrice) ai giovani dell’ Italia Bella da “Mi emigro per magnar”, ai ‘cervelli in fuga’.
 
Ai ragazzi che da mesi, inascoltati o, peggio ancora, derisi, strumentalizzati-manganellati fisicamente e psicologicamente; continuano a battersi nelle piazze con dignità e disperazione, esigendo un futuro che spetta loro per nascita, semplicemente perché cittadini del mondo.
 
A quei giovani che odorano i falsi profeti e li buttano giù da piedistalli e poltrone, che lottano quotidianamente a favore della meritocrazia, contro le ingiustizie, le ipocrisie politiche e sociali, la corruzione e la tuttologia del nichilismo, i tagli alla cultura quindi la privatizzazione delle scuole.
Contro un governo che dimostra di temere il pensiero critico e il confronto, contro una sinistra che è già destra e tutto, comunque, fa casta.
 
A voi, a tutti voi va e andrà sempre il pensiero di una piccola scrivana sarda, figlia del popolo e orgogliosa di esserlo.
Mai smettere di lottare o sperare Stelle mie, di volare: ovunque questo volo vi porterà fatelo con energia, dignità, studio, rabbia, costanza, gioia e comunque sorpresa per quel romanzo straordinario che sarà la vostra vita,
 
con la consapevolezza di ciò che siete e di ciò che volete essere: per voi, per chi vi ama e crede in voi, per chi sta vivendo solo di lacrime e speranza, per chi ha smesso di combattere, per chi verrà dopo.
 
Anche per chi vive fregandosene della vostra lotta per vivere, dovrete vivere
 
Camminate pazienti, camminerete a lungo e senza scorciatoie: questo, domani, sarà il vostro orgoglio più grande.
E al momento del volo volate, senza timore, e che tocchiate le radici della vostra montagna o la cima non importa, ma che il vostro volo non riguardi solo voi, che non sia mera ambizione ma rappresenti, sempre e comunque, costruzione.
 
Sbagliate e sbagliate, sbagliate ancora e cadete, cadete: non guardate la vita dalla finestra.
 
Guardate la vostra montagna nello stesso modo in cui dovrete guardare tutti, nel corso della vita: senza abbassare gli occhi.
 
Non chiudete le ali, non arrendetevi ad un sistema che favorisce il pecora pensiero, l’omologazione: oggi più che mai il mondo –e sottolineo il mondo- reclama le vostre voci, libere e vere, preparate, unite.
 
 
 
Giovanna Mulas, 27 maggio 2011 >>

 

Ufficio Stampa Isola Nera

Apr 2, 2011 - AZIONI DINANIMISTE    1 Comment

QUANDO LA CULTURA E’ DIETRO L’ANGOLO E NOI NON LA VEDIAMO.

Peter_Russell_17.jpgE’ da qualche giorno che in rete circola una lettera della Scrittrice ed amica del Dinanimismo Giovanna Mulas. Lo scritto, molto lungo e ben dettaglaito, descrive perfettamente una condizione purtroppo comune a molti Scrittori ed Artisti che, in assoluta dignità, hanno deciso di fare della propria Arte ( come è giusto che sia) il proprio mestiere.

Nella fattispecie, leggendo la lettera aperta, si scopre che la Scrittrice, pluripremiata a livello Internazionale e candidata – udite udite – addirittura al Nobel, non è mai riuscita ad organizzare un evento – ovviamente culturale – nel piccolo Comune dove vive, con Suo marito (Poeta Argentino) ed i suoi quattro figli, da ormai diversi anni. Eppure, chi segue questo blog, è ben a conoscenza di quanto la nostra Scrittrice abbia dato, all’Italia ed all’Italia nel Mondo, in termini di cultura, arte ed umana solidarietà. 

Prendo nuovamente atto, con enorme rammarico, che i precedenti errori, compiuti nei confronti di Artisti poi diventati un orgoglio per il nostro Paese ( vedere Alda Merini), a nulla son serviti se non ad indignarci per qualche secondo.

Potrei farvi i nomi di centinai e centinai di Poeti, Scrittori ed Artisti che – vissuti nell’indifferenza più totale da parte delle istituzioni – sono stati poi osannati – dalle stesse -con corone d’alloro ed in nome della cultura, il giorno successivo alla loro morte.

Beh, nulla in contrario! E’ ovvio. Se non stessimo parlando di ipocrisia allo stato puro.

Insomma, perchè omaggiare un Artista quando ormai non si può più beneficiare della sua viva Arte e della sua Presenza?

Perché riconoscere un talento solo quando viene a mancare e, per di più, quando fino al giorno prima lo si snobbava?

Non è forse questo il seme, la pianta ed il frutto di quella che, comunemente, chiamiamo ipocrisia?

Non è forse più semplice, dignitoso, economico ed umano rendersi conto che la cultura è spesso dietro l’angolo e le Istituzioni – forse anche con la nostra complicità – quotidianamente  la lasciano in disparte?

Zairo Ferrante                                                                                                                                                         

LETTERA APERTA DELLA SCRITTRICE GIOVANNA MULAS

 

Ne parlavo proprio ieri con un’amica giornalista, per un pezzo che riporterò anche su queste mie pagine durante i prossimi giorni.

-…e a Lanusei come vivi?-, mi ha domandato Ilaria

-Tante persone col cuore puro, veri sardi. E questo fa un paese-

-Si ma…come vivi?-

 

È dal 2005 che vivo in Lanusei con mio marito e i miei quattro figli. La gente è semplice e cordiale quanto basta (potrei dire il contrario della mia gente?), dedita in linea di massima ad agricoltura e pastorizia, pettegolezzi da paese, vicoli stretti e strade da rifare. Per le vie, vecchie da rosario, odore di minestrina calda. Il mare sardo, con le sue rocce rosse, lo vedo dalla finestra della mia cucina. Pochi veri amici, gli stessi sacrifici di troppe famiglie in questa Italia che piange a sangue la bardatura a festa e gl’ interessi puntuali dei malati di ‘cholulismo’, come chiama mio marito lo smaniare di qualcuno per apparire ‘in foto con’ o ‘amico di’.

Disturbi fisiologici nel mio mestiere, un pò come il mal di stomaco legato all’influenza di stagione: ci si abitua col passare del tempo.

Spesso ripenso a Peter Russell, un caro amico scomparso per il quale, a lungo, mi sono battuta con amici giornalisti al fine di fargli ottenere la cittadinanza italiana e relativi favoritismi socio-economici che tale condizione comporta o dovrebbe comportare.

Grande poeta inglese di nascita ma, in realtà e come tutti i grandi, di appartenenza del mondo, pluripremiato, più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura. 

Ci penso anche quando leggo della giovane Fondazione a lui dedicata in Pian di Scò, luogo che l’ha visto attraversare i suoi ultimi anni in disperazione, miseria e quasi cecità, nell’indifferenza generale.

Penso a quante cose potrebbero realizzarsi grazie ad una cultura della cultura e a chi vive per la cultura in dignità e purezza, a quanto si può crescere e far crescere grazie alla e nella cultura, quanto si può diventare ciò per cui si è chiamati al mondo: uomini. Perché uomini si diventa, non si nasce.” …continua sulla pagina ufficiale della Scrittrice: http://www.facebook.com/#!/notes/dialogo-con-giovanna-mulas/comune-di-lanusei-e-lomertosa-coltura-della-non-cultura-giovanna-mulas/10150155458793521

**Foto del Poeta Peter Russel che la Redazione ha liberamente tratto da:  http://www.peterrussell.info/ilpoeta_home.htm

Per la scrittrice – nonchè amica – Giovanna Mulas: di Salvatore Fittipaldi

161543_1599732497_3913096_n.jpgPer te

che metti l’oceano dei golfi d’occidente

nei tuoi testi

e il sapore del mirto

e l’arsura del sughero:

 

per te

che strappi la roccia d’ Orosei

dai tuoi capelli neri

e per amore del mondo

scali il Gurtei e il Gennargentu:

 

 

…ci vorrebbe un critico e un poeta:

ognuno deve fare il suo mestiere:

 

qui, mi pratico il mio

quello dell’amico e niente più…

Il linguaggio di Giovanna Mulas è talmente personalizzato che mi verrebbe di dire”personificato” se non addirittura “pietrificato”, nel senso metaforico del termine:

lo stile di Giovanna è qualità pregiata: scrittrice non per “imposizione” di natura ma per intelligenza, sapienza e rigore:

i libri di Giovanna sono un “documento unico”, se pure nelle piccole differenze che li uniscono:

la sua è la scelta di misurarsi subito, senza indugi, senza mezzi termini, con le delusioni, le sconfitte, le catastrofi, con le cose che “succedono” ma anche con i paradossali margini della speranza, del riscatto , della redenzione:

nessun altro scrittore ha condotto una lotta così radicale, così lucida, così “ripugnante” (?), con le lunghe ombre della consolazione, a rischio di distruggersi, di diventare la lavagna della propria scommessa, di sparire nella frana di ghiaia della funzione identificata:

il linguaggio, lo ripeto, è avvincente, glorificante, come una croce di ghisa, ricco e poetato: amarezze e stranezze della vita, diversamente “capite” e sublimate, hanno determinato nella sua”visione linguistica” del mondo un nuovo equilibrio tra amore e ripudio, tra rassegnazione e durezza:

in questo senso, credo, vanno intesi alcuni scritti di Giovanna: ed è tipico, a livello di scrittura, il suo disegno metrico, il suo riempire il naturale corso del discorso: ed ecco…che Giovanna butta, più che in faccia, nel cuore del lettore, le monete taglienti di un impegno letterario tanto irrefutabile quanto ai limiti dell’impossibilità.

Salvatore Fittipaldi 17 giugno 2010  (scritto ricevuto dell’Autore il 17-2-2011)

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