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Dài Girolamo Melis… in questo week-end prefestivo il dinanimismo ti segue

PAROLE DEL 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015…….

di Girolamo Melis

1361188059Ho conosciuto Alberto. 
Meno di trent’anni, incidentato, su sedia a rotelle 
e fa fatica a muovere anche il collo e le braccia. 
Si appassiona al discorso filosofico, 
si accalora e sembra sciogliersi, liberarsi. 
S’inganna chi lo ritiene appagato da quella sua 
libertà della conoscenza. 
Lui vuole fare l’amore. 
Ho conosciuto Saverio. 
Accetta che gli si costruisca intorno 
una specie di mito della forza, della bellezza fisica. 
Anch’egli incidentato, si mostra sorridente 
e virile. Vive la cultura del “modernismo milanese”, 
la moda, il disegno. 
Non appena resta solo in casa gli sembra di morire. 
Perché vive per farsi accettare come normale. 
Attira e cattura. Una star gli si è avvicinata 
E ha giocato con lui. 
Però Saverio è rimasto solo 
E quasi benedice i dolori fisici alla colonna vertebrale 
per attutire il Dolore vero.
Ora la Star è diventato lui. 
Ho conosciuto Rajid.
Era “spezzato in due”. E’ la case history vivente 
D’appassionato “prendersi cura” di un medico. 
Intorno a lui un giovane medico milanese 
ha costruito un progetto 
che oggi è una cosa molto seria. 
Rajid si è sposato con una ragazza di casa sua, 
hanno avuto un figlio. 
Ha casa e lavoro. 
Non gli ho mai visto il viso sereno: 
non si vuole mai far vedere da macchine fotografiche 
né interrogare come miracolato. 
Non si sente miracolato.
Ho conosciuto Valentina
un capo
una sapiente ellenica
se non fosse dilà dallo Stretto
sarebbe una Mulier Salernitana. 
Ho conosciuto Daniela. 
E’ perennemente in guerra con la sedia a rotelle 
e con gli uomini. 
Deve avercelo lei più lungo. 
Deve salire in cima. 
Deve sedurre e mollare. 
Ha riconoscimenti pubblici. 
Sento che preferisce essere “invidiata” che compatita. 
Ce la mette tutta anche per farsi odiare. 
Ma vorrebbe soltanto essere amata e amare. 
Ho conosciuto Alessio di Vicenza. 
Seducente, si direbbe bellissimo, atletico. 
Inchiodato alla sedia, continua a fare sport, 
soprattutto difficili. 
E’ stato sedotto dalla forsennata Egle, 
che l’ha concupito, sedotto e accasato. 
Vivono di pubblici abbracci 
e di complessi intrecci malinconici. 
Questa loro sfida della performance 
li ha portati da vari mesi alla determinazione 
di avere un figlio loro a tutti i costi. 
Ho conosciuto Mafalda, la più giovane, 
principessa della Vallée. 
Non vuole stare sulla sedia a rotelle. 
Vuole farsi vedere in piedi. 
Vuole muoversi alla stessa identica 
velocità dei suoi desideri. 
Anche lei è in perenne sfida di normalità, 
anche lei si propone come ragazza tra i ragazzi, 
però nessuno la incoraggia a partecipare 
alle gite scolastiche. 
Perché tanto attrae come “normale” 
tanto scoraggia come “peso a carico”. 
E allora le ho detto 
detto hatto 
“Mafalda, fallo tu il tuo tour operator
e inviti chi ti pare a partire da te”.
Ho conosciuto Alessio, 
il mio giovane amico fiorentino, 
furibondo, intollerante, accanito 
nella sua speranza armata di tornare in piedi, 
a camminare, a scopare, a correre. 
Non mente, ahimé, mai. Perciò i suoi giorni 
e le sue notti non trovano soddisfazione 
né nell’intelligenza né nello star bene con gli amici. 
Si nutre di verità.
Dio quanto gli garba la fica. 
Se ognuno di noi facesse bene alla sua vita 
quanto la sua vita fa bene a me, 
Alessio sarebbe già tornato da tempo 
a tuffarsi in mare. 
Ho conosciuto Paolo, 
il primo, forse l’unico chirurgo paraplegico. 
Tra i migliori oncologi, 
attraente, brillante, furioso con chi si lamenta. 
Ogni volta che sente la parola “problemi” 
Gli viene voglia di menare le mani. 
Ma finisce col sorridere. 
“Mi dovete spiegare, dice, 
che cosa significa problemi! 
Se sono riuscito io a diventare chirurgo e 
ad operare tutti i giorni 
ed essere perfino bravo e stimato, 
mi dovete spiegare dove sono i problemi?! 
Non ci puoi riuscire anche tu?! 
E se tiri fuori la storia delle barriere 
Mentre io passo lì davanti, ti stendo con la macchina…” 
Ho conosciuto Fabrizio 
ho conosciuto Loredana 
ho conosciuto Kolambus 
ho conosciuto “Giuduro” 
hoconosciuto Rodolfo

ho conosciuto Maria 
ho conosciuto Quirino 
ho conosciuto Valentina 
ho conosciuto Cinzia 
ho conosciuto Yasmin 
ho conosciuto Ida 
ho conosciuto Tommaso 
ho conosciuto Rodolfo 
ho conosciuto Luca 
ho conosciuto Olena 
ho conosciuto Davide 
ho conosciuto CarloMaria 
ho conosciuto Franco 
ho conosciuto Mara 
ho conosciuto Roumi 
ho conosciuto PaoloOsiride 
ho conosciuto Livia 
ho conosciuto Giada 
ho conosciuto Roberto 
ho conosciuto Barb 
ho conosciuto Paolo 
ho conosciuto Raffaele 
ho conosciuto fighissima Rachele
e conosco i tantissimi 
che non ho mai incontrato. 
Ho conosciuto altre persone 
che si trovano davanti ad altre barriere 
e ho imparato che 
– più le barriere sono invisibili – 
più vengono rese invalicabili. 
E ho imparato a diffidare di me stesso 
ogni volta che per distrazione 
o per cecità o per natura o per cultura 
mi sono concentrato sulle 
barriere somiglianti ai normali ostacoli, 
e a dimenticare 
– ma soprattutto a scordare – 
la mia azione quotidiana 
per considerare inesistenti 
e insignificanti 
le barriere invisibili.

Peggio ancora, 
a considerarle barriere sociali, politiche, 
architettoniche, tecniche, progettuali. 
Pur sapendo che la barriera 
ce la portiamo dentro, 
incorporata, connaturata nella nostra 
umana natura. 
I momenti più difficili sono quelli 
in cui io, che ho così stima di me, 
mi faccio orrore. 
Però, però… 
Quando questa medesima 
sensazione di orrore mi prende, 
è allora principalmente che diffido di me. 
E mi stacco la tagliola dai piedi. 
Perché non voglio somigliare 
alla mia Umana natura 
e assolvermi, e perdonarmi, e giustificarmi 
in virtù dell’umanissima arte del vivere. 
E rifiuto di farmi orrore. 
Non voglio darmi questo sofisticato alibi, 
non voglio sottomettermi a questa 
comunissima strategia fatale: 
“Eh, sai com’è…fratello… 
così va il mondo… così siamo fatti…” 
E via blaterando, cioè assolvendoci 
d’egoismo e quant’altro. 
No, non mi faccio orrore, 
voglio piacermi, voglio provare piacere 
e piaceri, voglio scegliere la bellezza 
e farmi scegliere dalla bellezza. 
Voglio guardare per vedere. 
E voglio vedere per guardare. 
E voglio avvicinarmi per toccare. 
Muovere le labbra per esprimere 
e farmi sentire. 
Voglio spernacchiare 
gli abbracci televisivi e sociali 
e democratici e solidali 
e scegliere la carezza 
la carezza che indugia sulla pelle 
che stringe e che dà tempo ed elettricità 
sufficienti ad essere sentita 
a diventare corpo e rossore. 
E poi voglio pronunciare parole a caso 
ma a condizione che siano scandalose 
al punto da far ridere 
e sghignazzare 
gridare “PA!!!” e altri nonsense 
per muovere uno sguardo 
e un sopracciglio e magari 
farmi stritolare senza restare lì ammosciato 
ma stritolare anch’io. 
Poi voglio capire se a te fa bene lavorare 
perché riesco a scoprirti 
e perché guardandoti lo vedo, lo vedo che saresti 
molto capace a fare una certa cosa 
ma finché nessuno ti guarda non lo saprà mai 
e tu non la potrai fare mai. 
E allora voglio darmi da fare 
per trovarti lavoro, 
e voglio diventare io stesso capace 
di trovare lavori e gente e aziende 
che neanche si immaginano quanto sarebbe bello
e conveniente e redditizio 
farti lavorare e lavorare con te, 
e quanto la tua presenza farebbe bene 
alla produzione, e quanto aumenterebbe 
il ritmo e il piacere lavorativo degli altri… 
e poi vorrei darti un’occhiatina di nascosto, per beccarti quando 
– convinto che nessuno ti veda – ti freghi le mani

e ridacchi perché sei meglio degli altri. 
E il padrone della baracca si vanta di te, 
poi va in giro a cercarne altri come te, 
e poi – la simpatica carogna – riceve qualche riconoscimento 
per quanto è stato buono. 
E poi gli picchietterei sulla spalla 
e lo costringerei a guardarmi negli occhi, 
e allora lui sarebbe contento d’essere stato svelato 
e direbbe sorridente: 
“Macché buono! Sai che ti dico: 
mi sembra d’essere diventato più bello!” 
E poi bisogna continuare. 
Perché domani mattina è più importante di oggi, 
e niente è bello per sempre 
tranne la Bellezza.

http://www.girolamomelis.it/2015/10/parole-del-2005-2006-2007-2008-2009.html

MENTRE BERLINO FELICE DANZAVA – presentazione del libro di Adriana Scanferla

MENTRE BERLINO FELICE DANZAVA (p. Youcanprint).

libro di poesie di ADRIANA SCANFERLA

 

 volantino 50 berlino crennaNel libro bilingue italiano-inglese, ogni poesia si avvale di una traduzione a fronte, in lingua inglese, a cura della poetessa e traduttrice californiana UTE MARGARET SAINE, questo può quindi rendere il libro di valido aiuto quale strumento didattico.

Nei mesi scorsi ho promosso (sempre in collaborazione con enti o istituzioni) il mio libro, prenotabile anche presso la stessa YOUCANPRINT o i maggiori book-store online, inoltre nelle librerie Feltrinelii,  Mondadori e in altre 4000 librerie italiane.

 

Il prossimo incontro a cura dell’ASSOCIAZIONE VIVERE CRENNA

con il Patrocinio dell’ Assessorato alla Cultura del Comune di GALLARATE:

 

Presentazione del libro di poesia

MENTRE BERLINO FELICE DANZAVA

di Adriana Scanferla

 

Sabato 9 maggio  – ore 17

presso VILLA DELFINA

Via Donatello

Crenna di GALLARATE

da Asino Rosso quotidiano blog di Ferrara: Milano, Omegalfa di Giancarla Parisi, con Graziano Cecchini, Marcello Francolini, Roby Guerra

Giancarla-Paisi_0001Giancarla Parisi è lieta di invitarvi all’esposizione delle sue opere. OMEGALFA The Nemesis Paradeigma. Milano, 10-17 Aprile 2014 Presso gli uffici milanesi dello Studio Legale Sutti, in occasione del vernissage che si svolgerà in luogo nella serata del 10 Aprile a partire dalle 18, sotto il patrocinio della Associazione Italiana Transumanisti. Sarà presente l’artista. Le opere resteranno visionabili sino al 17 Aprile. La mostra vuole esprimere quel misto di speranza e paura tipica degli ” ultimi giorni dell’ impero”, quando tutti, più o meno consapevolmente, stanno traghettando attraverso quel periglioso tratto di mare che conduce verso una nuova e misteriosa epoca della nostra storia, che per la prima volta potrebbe diventare finalmente transumana, sperando altresì che non diventi inumana. Giancarla Parisi Critica di Marcello Francolini: Giancarla Parisi attinge a piene mani sia nei confronti di una pittura retrò… continua su: http://lasinorosso.myblog.it/2014/03/27/milano-omegalfa-giancarla-parisi-graziano-cecchini-marcello-francolini-roby-guerra/

IL DINANIMISMO SEGNALA: “BACIAMOLEMANI” – A MILANO – A tEATRO solo sane risate!!!

untitled.pngFiorenza Renda sarà al Teatro Martinitt di Milano fino al 17 febbraio con Baciamolemani, “una commedia ferocemente comica, una grande storia di Caponata e Resurrezione”….

Descrizione
Baciamolemani, una commedia ferocemente comica…Una commedia che non si può rifiutare…. DAL 31 GENNAIO AL 17 FEBBRAIO 2013
BACIAMOLEMANI
scritto e diretto da Fiorenza Renda
con Francesca Pierantoni, Emanuele Maria Vellico, Daniele Mazzacurati,
Regia Audio Luci di Gigi Traisci.
Spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Fiorenza Renda, racconta, con leggerezza e disincanto, uno dei possibili modi per uscire dal tunnel di precarietà, non necessariamente il più giusto e raccomandabile, forse, ma sicuramente il più paradossale: delinquere.
“Franza, precaria affetta da un fidanzato cronico quanto un herpes e cialtrone quanto un cialtrone, dopo una moltitudine di colloqui finisce fortunosamente per essere assunta, sì a tempo indeterminato, ma da una vera e propria… Organizzazione criminale, per quanto sui generis, scoprendo in questo modo di possedere un vero e proprio talento a… delinquere! Spariscono così eczemi e ipocondrie e comincia una nuova vita piena di soddisfazioni e sequestri lampo. Gatti e bonghi. Poliziotti e colpi di fulmine. Fumettisti e segreti apparentemente terribili. In una divertentissima commedia che viaggia a un ritmo incalzante tra swing e tarantella passando da una New York dei primi del ‘900 sino ai nostri giorni e ad un incredibile e sorprendente finale”.

In scena al teatro Martinitt di Milano, Via Pitteri 58 dal 31 gennaio al 17 febbraio 2013. Spettacoli dal giovedì al sabato alle h. 21, spettacolo della domenica alle h. 18. Il biglietto costa Euro 20.

foto by Robin T (www.robintphotography.com) – Roberta Tagliaferri

Partecipa all’evento su facebook!

https://www.facebook.com/events/547106381966288/?fref=ts

Informazioni


**COMUNICATO STAMPA RICEVUTO DIRETTAMENTE DA FIORENZA RENDA TRAMITE SOCIAL NETWORK.

33 GIRI di Girolamo Melis – un estratto del 1969-

DAI OK bassa 4_Pagina_01.pngIl tuo caffè è più lento del mio. 
In mezzo sono le parole 
che dico e dico. 
Tu mi dài il tempo e non te lo riprendi 
se non per dire una parola svelta 
come un sorso che colma la distanza. 
E ci sepàra. 

Tu sei profondamente giusta. 
Come un amico. 

Giovanna Mulas, Gabriel Impaglione e Patrizio Pacioni al Centro Culturale ‘La Quercia’ di Vimodrone.

colombia1.jpgPomeriggio di Letteratura.

Il 19 febbraio gli scrittori Giovanna Mulas, Gabriel Impaglione e Patrizio Pacioni incontreranno i Lettori al Centro Culturale ‘La Quercia’ di Vimodrone, Milano.

Ufficio stampa Isola Nera

*Da GiovannaMulas.blogspot:

“Nelle tribù africane non esiste il cercare di essere meglio di, l’ambizione che soltanto noi, signori ‘evoluti’, conosciamo…si pensi proprio alla musica e ai suoi strumenti…”, mi dice Pedro, “…il capo tribù da un pezzo di canna ricava tante parti uguali quanti sono gli abitanti della tribù. Ognuno di loro potrà suonare soltanto una nota e sempre la stessa che, se presa sola, apparirà sgraziata: un lungo –o intermittente- insensato fischio…
ma unito alle note degli altri membri della tribù, quel fischio creerà la melodia. Tutti loro saranno uguali davanti alla musica e creandola.
Qui sta la filosofia dei popoli neri: tutti uguali davanti a tutti. Nessuno di loro potrebbe vivere senza gli altri.”

**Scritto liberamente scelto dalla Redazione del dinanimismo e tratto da: http://giovannamulas.blogspot.com/2012/01/ho-visto.html

… PER LA SERIE: MICA VOGLIAMO MORIRE PROPRIO A NATALE??? di Girolamo Melis

TELETHONIZZATI DELL’ITALIA TELEVISIVA, RIBELLATEVI. DIVENTIAMO UNA FORZA!

di Girolamo Melis

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Per esempio, ti è venuto in mente che l’altroieri – quando scrivevo di M’erda e di Torta al Cioccolato – stavo dicendo qualcosa di grosso?
E che alludendo a “ottimismo” e “pessimismo”, intendevo parlare della Chiacchiera?
E che dunque il dilemma “M’erda-TortaAlCioccolato” riguardava qualcosa somigliante a questa malafedosa e vergognosa offesa al Natale Cristiano, chiamata
“Bontà” col Timer Telethon.
E riguardava l’ipocrisia
della cosiddetta “Ricerca Scientifica”.
E riguardava l’indicibile business
dell’Associazionismo sulle spalle dei Deboli.
Insomma, amici, parlavo di Andicap.
Parlavo – dopo le lotte e i fallimenti degli anni scorsi, con Vincere!, con Dài!, con Tuttinpiedi!, e con “Io mi prendo cura di te” – parlavo, per fare solo un esempio, dell’indifferenza di questo nostro ex-Popolo verso l’immenso Popolo di Paraplegici e dei Tetraplegici. Le cui schiere, ogni anno, si infoltiscono di almeno 1500 nuovi deboli grazie alle Lesioni Spinali che né la Ricerca “scientifica” né la mitica OMS né la criminale Industria Farmaceutica hanno INTERESSE a studiare, curare, riparare, guarire.
Di questo parlavo.
E, dopo sei-sette anni perduti, voglio tornare a parlare di Fare Politica. Fare Politica della Cura e della Guarigione. Del diventare una Forza. Dell’uscire dalla solitudine dell’isolamento delle case, dei “lavori” assegnati per quote sociali, del non contare niente e dell’arrendersi.
Dobbiamo diventare una Forza.
Venire eletti in Parlamento.
Conquistare il Diritto di legiferare.
Imporre scelte Economiche, Imprenditoriali, Mediche.
Non venire a patti con i “Partiti” delle svergognate ideologie.
Non chiedere più a nessuno.
Non scendere a patti ma far pesare Forza Contrattuale.
Contare.
Come si fa? Ma scherziamo?!
Ci si incontra tra persone non chiacchierone, non burocratiche, non arriviste, non segaiuole. Si stanano i ricchi che hanno un andicap in casa, in famiglia, negli affetti, e si incoraggiamo a battersi insieme agli altri deboli, che sono, siamo, tuttinpiedi, fortissimi.
E mai, mai più “separati” da quelli che camminano, da quelli con altri andicap, dai tanti altri “deboli”, dai tanti altri emarginati e, sì, dalle Famiglie.
Si forma un Gruppo Dirigente per un Primo Programma.
Si fa un Organigramma dei Ruoli, delle Responsabilità e degli Impegni, Un Board d’Impresa.
Si incomincia a creare Lavoro. E si comincia a lavorare.
Si incomincia a fare Politica. E si comincia a imporre la nostra Potenza, le nostre Idee, con i nostri grandi Compagni di Viaggio.
E, da subito, mettiamo le carte in chiaro sulla menzogna della “Ricerca Scientifica” e sulla verità di ciò che è possibile fare.

(alla prossima puntata)…

… SCRITTO POSTATO DALLA REDAZIONE E LIBERAMENTE TRATTO DA: http://girolamo.melis.it/2011/12/telethonizzati-dellitalia-televisiva.html

SCRITTO di GIROLAMO MELIS, che – lottattando contro i vili – un giorno disse: almeno “gli assassini hanno il delirante coraggio di uccidere.”

 

girolamo melis,scritto,inedito,dinanimismo,milano,scrittore,ferrara“La ruota del 2006” di Girolamo Melis

 

Parlo con me m’interrogo m’incalzo impaziente

Non ho fretta non ho appuntamenti con la morte

se non lo stesso il solito il primo che lei mi fissò

nella sua estate – ho tenuto la parola di non assillare

di chiacchiere il tempo la storia i panorami cambievoli

eppure tu sai ch’io non m’ero  disposto alle voci spezzate

alle ricurve insinuazioni sottovento e ne ho dovute

sprezzantemente respingere di opinioni e  maschere

per non disattendere il semplice e il chiaro dell’ignoto

e non ho mai cercato un riparo nel vuoto

e mi son fatto trovare sempre nelle case scambiate

eppur sempre di pietra e calcina – mai vetrina.

 

M’interessa la vita che sta e va e tutto voglio sapere tranne le date del calendario – ho ascoltato la morte di Dario e non saprei nemmeno dirti se è rimasta impigliata nella vita o s’è avvinghiata all’haiku dell’anno ics o ypsilon lui che misurava

a millenni il giambo e irrideva Starobinski sopra e sotto

di sguincio alle parole e nemmeno s’altezzava al testo

d’una spesa in drogheria contrappuntando sonagli e barbagli siringhe distici elegiaci rapinose carezze letterarie ai culi innominati delle metropolitane rossa e verde.

 

Parlo con me e mi sdoppio senza scindermi nei visi tra i quali so distinguere chi mi distingue e corteggiare chi mi scansa e so stare di pietra e di carezza difronte a quell’unico viso costituito impastato nella creta delle parole nella tuonante leggerezza del sorriso senza scopo se non sorridere

– ci mancava proprio questo clamoroso dialogo dello specchio e il suo rilancio d’orizzonti e di materia

ci mancava sì questo definitivo richiamo del Semplice.

A che devo una cotanta straripante conchiglia di doni?

 

Ora perfino la cronaca dei giorni mi tocca rivivere

ora  febbricitante nell’attimo integro come un seme d’ossidiana ora finalmente disposti in cammino e in posa gli ultimi oggetti storici i petulanti ricordi ora ricostituiti nella  rammemorazione di casa heimat capanna di foglie e ciglia

Ora l’interesse mi fa vento e frescura ora si ritrova ai bordi del parco senza nome eppure tanto e tanto nominato tra il sonno e il risveglio ora ha i contorni della nonna ironica e della sua esorcistica carezza a lavar via il demonio.

 

Siediti accanto a me sulla panchina di Melville e Platone

fai posto e scosta il sorriso di Vittorini e  l’Ammannati che di posto ne tiene poco se non nel cuore e nell’aria

deferenti inchini ma sobri rivolgi al capoccia di Riguardone e no non ti stupire quello è mio Padre nel suo tessere

il telaio manuale in qua la trama e in là l’ordito

che il Figlio  ne sia costituito di mota e diamanti

non vedrai uscire nemmeno un piccolo ricordo né  vago né miliare ma tutto intero per te sarà l’interrogare.

 

E allora chiedimi non mi sorprenderai neanche tacendo

Il tuo silenzio sarà mia parola tu che non sai nascondere

difronte a me che non avevo fronte che per la morte

amica prima come ora come ora che m’hai rialzato il viso

ai respiri verdi e rossi e blu della terra e delle cose

Non ho fretta né alle domande né  al silenzio

Il tuo corpo m’è diventato amico come m’era bambino

L’indistinto da distinguere mondo in paesaggio e buio

Sono qui e prima di parlare ti bacerò le palpebre.

 

Al mio paese anche le chiese erano fazioni e gli uomini

che le reggevano vavassori di Dio non pastori

ché nessuno stava con alcuno né con la fede né

con la pietà – era questione di ruolo nella Lingua Italiana

Nemmeno le famiglie erano tribù ma parti del discorso

Il Padre mi dava del lei vivendo in me l’avvento

del Linguaggio del lignaggio e la malinconia m’irrigidiva

nei libri al centro dei giorni e delle notti – l’eros ordinava

gironi e movimenti sovrani silenzi cenni e segni.

 

Tu c’eri allora tra il demonio e il poeta tra voli spezzati

Delle starne delle lente camminate dei vecchi arguti impolverati da chiesa a chiesa tra orologi impettiti

E codici d’onore e l’ironia che razzava sussiegose brache

E niente mi si taceva né si poteva celare come ora che tu

Mi taci e mi sveli nella furia d’amore indicibile ma detto

Agli angoli delle strade nelle stanze nelle trappole tese eppure lente come la lettura dei giorni somiglianti

Da un secolo all’altro dal mondo antico a quest’istante.

 

Parlo con me e le domande sono tue dalla collina

Azzurra dalle crepe di vulcano e d’olivo dalla signoria della parola furiosa d’Ariosto dallo stupore neotecnico della radio dalla somiglianza affinità famigliare dallo scambio

Di religioni e paure – e parlo con me che mi guardi fino

Al fondo della ragione e non vedi altro che tutto il rossore

Il pallore dell’educazione al profondo della grammatica e della fonè dell’interpretazione sconfinata dietro lo sguardo dietro gli occhi chini le dita contorte gli assensi severi.

 

Vedi quello che non saprei mostrarti e che trattengo

Eppure non chiudo alle carezze – perciò parlo con me

Perché tu colga ogni aperto segreto e ne spacco il cemento

La saracinesca squartata dalla storia gli schermi dal viso

Scivolati come pioggia lacrime parole perdute balbettii – anzi mi vesto m’adorno delle tue mani messaggere

del diventare il linguaggio che mi offri in coppa e cesti tesori e primizie ad ogni rammemorazione che m’esplode dal petto ad ogni stretta di labbra di pugno di paesaggio.

Voglio parlarmi e dirti dei fulmini da casa a casa riflessi negli occhi appena coperti dalle tese larghe dei capoccia di sotto in su per non ammetterne la maestà la potenza l’intelligenza naturale di viandanti a mani serrate i fulmini alleati della mia infanzia coi loro servitori i tuoni goffi baritoni dei melodrammi valdorciani non umiliati eppure striscianti a cercare una valle amica, una mangiatoia

E voglio parlarmi del tacchino e del locio i maschi incontinenti nei cortili a rincorrere la tacchina e l’oca

 

E dirti che ho ancora rossore delle burle e gli sberleffi

che mi facevo di loro lanciandogli in faccia virtuose chicchirullàie per dirgli che mi sarebbero mancati e li volevo possedere un po’ come cani e un po’ come gatti impossedibili

e come i fulmini e poi li pregavo di avvicinarmi sfiorare

le mie carezze e tenere di me l’afrore della corsa e della furia tenermi  tra di loro con loro cortile nel cortile finché

mi ricordassero in lettura accasciato sul tavolo delle forme di formaggio pecorino col grande vecchio mèmore

 

e dirsi – e dirmi e dirti – del movimento degli Angeli e dei Troni e dell’abissale distanza di Dio nel verso della Commedia che lì imparavo nello stare e nell’andare del Verbo senese delle sillabe numerose delle vocali asciutte come l’olmo e la quercia nel canone di Pergolesi affidato a voci pure invirtuose e rudi ma non grezze come il vento del Monte Poliziano e dell’Amiata che mi bombarda ancora d’una tormenta di castagne e di more nei crepuscoli azzurri

nelle gerarchie di fazione nell’intolleranza della quiete.

 

Voglio parlarmi di quanto mi mancavi or è un secolo tu

con la tua barbarie dialettale che si fa lingua nella lettura

del mio ineffabile dire e mi rovescia l’abito della forma

quell’abito che fu per decenni di storia misura del sentire il sapere di terra canòpi tombe e litugie silenziose a Cervèteri a Chiusi negli sparuti avelli delle teche e vetrinette che risucchiano e fanno altra l’alterigia di Porsenna Re Vetusto

di niente signore d’oggetti e vasellame e ori e cianfrusaglie

se non del rango impolverato poi di mercantile latinità.

 

Che ci possiamo dire fuori dai nostri corpi armoniosamente distanti? Possiamo tradurre lingua in dialetto, occitano in vetero-senese? La fine della lontananza uccide oh non il soggetto ma l’essere e cosa se non l’essere ci parla di noi nella sola irripetibile voce superflua al di là del bene e del male del tempo e della storia e come mai potremmo stare agganciati a questo chiodo tremante che la petra trattiene e incassa e gioca e vèllica e convince affinché resti preda dl fatale tramonto nel suo colore d’alba senza voli.

 

Sommerso di libri sudati al mercato nero tra bombe e schegge e fucilate traccianti e scaricati dal carro sparigliato

Le fide bestie candide e scarne ferrate con perizia carezzo e arrivo poco più del ventre e schivo l’amica temibile coda

…‘vi sono grato Bellafrò e voialtre tra buche di bombe e strade sventrate per me solo per me’… e le sento ruminanti

come gatti ruzzare di beatitudine mentre la mia beatitudine odora come fai tu le pagine che sanno di cordite e di muffa

che scherzano mozartiane beffe di Stendhal

e l’Esercizio di  Loyola e il maltradotto Saussure

 

e m’acciambello alla calura brandendo una matita e pulendo incessantemente occhiali rudimentali finché il Monsignore fazioso mi congratula e scoreggia e s’asciuga la fronte

e mi piazza le Confessioni di Agostino gabellandole per sue

ma come posso dirti la vergogna – in quell’altèro godimento – per non saper competere alle gare di sputo più distante

e di lancio dei sassi al maggior numero di sfioramenti saltelli

sull’ansa larga dell’Orcia e così imparare a sorridere storto.

 

Le belle nascite le pagliuzze d’oro i temporali di parole

e il tumultuoso e ordinato scorrere abbattersi carezzevole  nell’alveo amante della comune famigliarità ci fanno

difronte e tra le braccia albero e gemma nel silenzioso stare difronte andare nel libero fatale librarsi – parlo di me

ma non ti porto su me poiché mi abiti e mi  dài la melodia

ben oltre il verso e la strofa tu che di parole fai romanzo e del romanzare fai il caldo e il fresco del corpo

mentre l’oro di perle s’intreccia sarmento notturno bagliore.

 

Schivano buche e crateri piaghe di traccianti arbusti inceneriti rotolanti pattini nuovi saldati ai piccoli pieditutto dopo il ritiro delle bombe e degli elmetti era scritto…

 

*

Finché t’avrò o non t’avrò vista nel vento

di pianura oceano o colle di pietre lucide sonore

Finché t’avrò o non t’avrò vista elettrica

di labbra increspate di capelli e fessure

– chinarti schivare quella indecente signoria di cielo e terra

e finché contro il vento t’avrò o non t’avrò vista

ora porre il capo ora il cuore ora l’uragano

io non dirò o dirò soltanto a me chi sei e non sei

in malinconico abbandono.

Eccomi (ecco me che ti risponde) quando m’avverti

da quella lontananza irriducibile che ruzza

sola come la gatta eppure sola disorientata

alla luna intramontabile nei brividi ardenti ora gelidi

al corpo innominabile. Ma dove sono io forse

nello spazio che fa il balzo del capriolo

o nel mezzosorriso della notte

non visto dalla luna indecisa tra la vita e la morte.

O sono nel contratto precipitare della pietra risacca

dalla sassaia alla forra alla schiuma evanescente al sole

Dove se non in fondo al nero mare scordato dal mito

alle smemorate nereidi asciugate di sale e di saliva

senza le parole che tanto servono ai viandanti

 

Le parole ti ritornano come tornano al sole le ombre

ch’esalano dai blu e dai gialli caldi di terra fecondata

e l’ombra t’oscura come una gelosia armata

irriducibile belva dall’intelletto al ventre in flagrante

competizione col Dio Luna e nemmeno scuoti il capo

verso me che mi pretendo Io e ti fronteggio

Da quale millennio o sputo del tempo il dito che ti indìca

e che s’incurva ha colto la memoria che siamo

prima dell’ordine che s’abbatte sulla vita e sulla morte

e che mi serra di braccia e battiti al caos ultima luce

ultima certezza del benedetto non voler sapermi

autore d’idee e di nominazioni – non mi son fatto figurare

da te per mio volere ma per il riconoscerti e per il canto d’Orfeo modulato nel tuo spartito divino e nel suo cànone

e non mi volterò perché così m’hai scelto e sei tutto

memoria e cosa  – tu senza anagrafe senza patria e cuore.

Tra i gonfi veleni angelici che immàrzano i greti

e i piselli odorosi ch’ora sarmèntano ora s’ergono

secondo il medesimo canto del divino riconosciuto

non oggetto e non soggetto ma il tutto del tutto

che il mondo chiama Niente ora sto nell’ascolto del luogo

e non so altro di te di quanto appare e trascolora

dagli urli sorridenti del sole tra i tremuli pioppi e le bramose

campiture di Osvaldo Licini che accompagnano e scandiscono innominabili corpi d’angeli ribelli e amalasunte

né mi sfiora la storia del colore e dei sapori

se non perché ne sono impastato nel sogno omicida

nell’impossibile disegno di-staccarmi una ad una

per mano d’unghiòli e artigli e diti e scotimenti d’ossa maestre

una ad una le cartilagini che trattengono all’ordine

umano l’essenza  amata del mio-tuo corpo d’amore. 

 

Ma io qui sto distante dall’energia che illumina di sé

nel sé ora immerso ora affiorante col braccio e col respiro

e non ti chiedo dimora né poesia ché mi desti laghi e torrenti

intessuti d’orrore e affannosa fuga – il sopravvivere m’è

vomito dissanguamento e le ombre che proiettano figure

che  consistono del reale…..

 


*SCRITTO POSTATO DALLA REDAZIONE E RICEVUTO DIRETTAMENTE DALL’AUTORE:

http://girolamo.melis.it/


 

 

POESIA INEDITA DI ZAIRO FERRANTE – VOCE DI ELIANA FARINON

BUONGIORNO DA ZAÌRO FERRANTE: Una consegna pesante… oppure una semina nel campo altrui?

 

 

 

IL TEMPO ( inedito)

Scorre il tempo
tra curve spigolose
inutilmente arrotondate
da ricordi trafugati.
Quasi rimbalza
dai tappeti della memoria
come storia immortalata
nell’inutile pagina
di un tentato vivere.
Eppur si muove.
– Il tempo –
Come cane bastonato
a mugolare tra le spine.
Uniche rose di un giardino
abbandonato.
E chiede il conto.
– Questo tempo –
Quando, al bancone,
tu consumi e perdi
la tua faccia
nel mascherare il tuo passato.
E nel prendere gli ultimi
tuoi spicci, il barista,

da sfacciato –
ti rammenta quel che eri.
E sorride mentre
tu l’aspetti al tuo autogrill.
Ultima fermata sgangherata
come oasi che ti allontana
dalla morte.
– E’ stupida illusione –
Tanto è tempo: che ti serve,
vola e ti sorpassa.
In quest’autostrada
che rallenta il tuo cammino
e che è la vita.
 
 
Zairo Ferrante, 8 – Ottobre – 2011
 
**Versi tratti dal sito:

http://girolamo.melis.it/2011/10/buongiorno-da-zairo-ferrante-una.html

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