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Il Dinanimismo sostiene “Catena Umana”: un progetto editoriale realizzato da Luigia Sorrentino in collaborazione con Fabrizio Fantoni.

CatturaCatena Umana, un progetto editoriale ideato da Luigia Sorrentino in collaborazione con Fabrizio Fantoni.

Luigia Sorrentino, Poetessa e Giornalista Rai, nella sua introduzione, pone l’attenzione sulla “…necessità di tornare a parlarsi con filosofi, poeti, artisti, cercando insieme di rispondere alle domande che mai come in questo momento, affliggono l’umanità intera. Quale mondo ci attende dopo il coronavirus? E chi lo governerà? I poeti e i filosofi, medici dell’anima e del pensiero, ci accompagneranno in questo cammino, ma certamente non potremo sostituirsi ai governanti, al potere della scienza e della tecnica che si va sempre più profilando. …https://www.facebook.com/poesia.luigiasorrentino/posts/3263829596994667

Dall’introduzione al progetto (tratta da:  Il primo blog di poesia della Rai ) “… La necessità di contenimento imposte dalla pandemia hanno sollevato numerose proteste sul piano geopolitico e ideologico, volte a rivendicare i diritti umani che sembravano essere stati messi in discussione. Anche se nella maggioranza dei casi, le reazioni più condivise sono state di accettazione eppure spesso alla base vi era un fondo di amarezza per quello che sembrava essere, oltre che una misura di tutela sanitaria, anche un attentato alla libertà individuale e collettiva.

L’isolamento forzato, il trauma vissuto dalle persone contagiate che hanno dovuto separarsi bruscamente da uno o più familiari che avevano contratto il virus in una forma più grave con difficoltà respiratorie tanto da richiedere il ricovero in ospedale… L’aver saputo poi che il congiunto, la persona amata, era morta nella più totale solitudine… Il non aver potuto assistere i propri cari negli ultimi istanti della loro vita… Il non aver potuto dare loro degna sepoltura… è stata un’ esperienza tragica e estremamente violenta.

Molti studiosi hanno detto poi che la violenza e la velocità del virus di trasformarsi e di replicarsi potrebbe essere stata causata anche dall’inquinamento ambientale e dai già tanto temuti cambiamenti climatici. Un fatto che ci pone oggi più che mai di fronte alla necessità e all’urgenza di fare una scelta decisiva nel nostro presente: cambiare il nostro modo di vivere per non ammalarci e per non distruggere il nostro pianeta.

Ma attraverso quali metodi si configurerà il nuovo modo di vivere e di stare al mondo?

Partendo da questi elementi di riflessione, poeti, scrittori, filosofi e giuristi  fanno formato una catena umana, ognuno scegliendo la propria lingua di elezione nella consapevolezza che oggi più che mai c’è bisogno di “strumenti umani” per governare il mondo. Poeti, artisti, filosofi si prendono per mano nella consapevolezza che è necessario tornare insieme a riflettere sulla condizione umana e sulle nuove prospettive che l’umano dovrà fronteggiare.

Ancora una volta al centro di tutto torna la parola.

Catena umana è dunque la forza del dialogo fra le diverse discipline umanistiche nel tempo del coronavirus, la più grande pandemia della storia moderna.”

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“La Techno Mente dell’Imperatore” di Angelo Giubileo (Ed. Libri Asino Rosso) – Filosofia 2.0 dalla terra di Parmenide.

9788832577754_0_221_0_75Angelo Giubileo, filosofo “outsider” e giornalista, dilata in questo suo ultimo lavoro “postmoderno” e “postfilosofico”, originalmente postumano, la peculiare “astronave” di decollo neoparmenidea e presocratica. Sebbene sia il saggio più breve, la stagione di riferimento presocratica attraversa ora come una sua Primavera , letteralmente 2.0, l’antico futuro di cui spesso si parla, come nuova visione di un altra modernità, dove la storia e il suo divenire non attraversano più le famose frecce del tempo, ma percorsi a spirale, discontinui, a zig zag, esita luminoso e “lussurioggiante”.
Parmenide e Pitagora e Anissimandro ecc. dialogano sia con punti di non ritorno del Novecento, tra Heidegger, Severino, soprattutto G. de Santilllana, ecc. sia con scienziati ancor più radicali e dal futuro quali Penrose (già il titolo lo evoca), Heisenberg, Hawking e altri che hanno fatto dal Rinascimento la storia della Scienza. Non ultimo spiccano na sequenza multitasking sull’arte.scienza di un certo Escher e un witz sul Dan Brown meno noto, posthuman…Infine i tempi postumani- si manifestano…. con sublimi modulazioni virtuali, celati dalla prima all’ultima parola, nel the end che è un nuovo anno zero, fluendo alla superficie da un infinito fiume carsico ma terrestre eracliteo. Il dialogo intervista come collaudo con il transumanista rivoluzionario Zoltan Istvan ne è la “firma”.

Angelo Giubileo Filosofo e blogger. Attuale vicedirettore di Pensalibero.it Già cultore della materia presso le cattedre di Filosofia del diritto, Teoria dell’interpretazione e Logica giuridica all’Università degli Studi di Salerno. In politica, già socio fondatore dell’Associazione Nazionale per la Rosa nel Pugno e collaboratore per il gruppo parlamentare della Rosa nel Pugno. Tra le sue pubblicazioni: AA.VV. “Pensioni. Modello cileno per l’Italia?” (2016); “Scritti politico-liberali” (2016); “L’essere e il nulla nell’era della tecnica” (2018); AA.VV. “Zoltan Istvan made in Italy” (2019).

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Il dinanimismo rende omaggio a Serraino Fioravante, il Poeta silenzioso.

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Serraino Fioravante o semplicemente Fiore, un Maestro a trecentosessanta gradi per molti, un Confidente e un Amico per altri, un Faro culturale e un punto di riferimento per tutta la comunità di Aquara (SA). 

Un Uomo sempre fedele a sé stesso, Personalità poliedrica e socialmente impegnata. Custode di leggende e saperi dai più dimenticati.

Un vero “Architetto del pensiero”, abile a leggere, comprendere e collocare – nello spazio e nel tempo – uomini e cose.

Un “Gigante della parola”, sia scritta sia parlata, sia usata come arma sia come carezza.

Un raro Filosofo, in grado di far parlare pietre, angoli, vicoli e gradini.

Un Poeta silenzioso capace di respirare profumi e colori.

Un Sorriso e un Cuore gentili.

Un Compagno la cui assenza contribuirà sicuramente a rendere il mondo un posto meno bello.

ZF

44575381_10217897433530862_5282152347730968576_nLettera di Serraino Fioravante, Estratta da: “158” libro sui Comuni della Provincia di Salerno, scritto da Enzo Landolfi, “Printart Edizioni”

“Caro Lucido.
Mi scrivi che devo raggiungerti a Milano dove ora si deve e si può ricostruire l’Italia. 
Ma io voglio farlo qui, da Aquara. Dove si resta e non si resiste. Perché si resiste ad una minaccia e si resta per una bellezza. Difatti se guardo, finalmente libero, oltre la siepe e la torre antica ecco che subito si impone la poesia: immersi in una luce tiepida e familiare i contorni delle cose appaiono talmente nitidi e pacificati che vorrei ti giungessero come il volume sentimentale di una distanza. Qui i mattini sono una spremuta di sensi, i pomeriggi somigliano ad una dorata eternità, le sere incendiate dal tramonto della marina restituiscono serenità al riposo, e in cielo virgole di rondini futuriste tracciano un’audace e commovente grammatica del cuore. 
Qui anche la parola è viva, essa torna schietta e temeraria, incisa nella corteccia, in profondità di succhi, dai giuramenti degli amanti. La mia patria è il dialetto aquarese; grazie ad esso nominiamo le cose per la prima volta nella vertigine della loro fioritura, a sgomento sacro di uno stupore, a sedimento di un passaggio di tempo e di uno stato d’animo. 
Qui ogni dolore è un giunco, ogni inquietudine un lieve frangersi di onde lontane. 
Qui deponiamo il lutto e le vanità erranti e ci sciogliamo, individui superflui, nel vicinato, nella piazza come in un abbraccio di madre. 
Qui i deserti della mia vita verranno sempre dalle acque di queste fontane. Voglio invecchiare con il tempo del campanile e delle stagioni; essere ciclo che custodisce il seme e prepara il frutto, come fa questa terra che non tradisce chi la rispetta, potente e forte e saggia di radici; visionaria di ali, amante di ogni forestiero e di ogni orizzonte, tollerante e ricca del suo donare. Voglio fermarmi con i vecchi sui passetti, ascoltare le loro consegne, sentirne il lievito, come dai forni incendiati a rosa il profumo del pane e vedere aggiungersi al loro viso di faticosa dolcezza un’altra ruga di tenerezza. Voglio aggiungere un ramo al falò di Natale e bruciare in piazza Carnevale; stordirmi del mosto nelle cantine e fare l’alba nei frantoi aspettando l’olio nuovo. Voglio andare al fiume d’estate e d’inverno raccogliere la neve dai tetti per fare il sorbetto col vino cotto; ammirare come Nerone gli incendi dell’autunno e vedere quello che fa il miglior vento di primavera con le gonne a fiori delle ragazze. Voglio illuminarmi delle lucciole nei campi e della luna negli orti e sui tetti; andare per more e sedermi “‘mbieri” (ai piedi) a la croce fino a diventare sedimento di tutta questa geologia del cuore. Voglio accompagnare i nostri morti verso il futuro, baciare spose, litigare con gli amici ed averne cura, interrogarmi nelle notti con troppe stelle e nei giorni arresi alla pioggia. Nel giorno di festa voglio svegliarmi col colpo scuro del fuochista, seguire la banda durante la questua, portare il Santo in processione, sentirmi elemento chimico di una alchimia e consumarmi d’amore per tutto questo, per questo piccolo mondo antico che conosce la seduzione della vita, che non immagina una speranza ma lavora con il sole per stanarla. 
Come vedi la città non basta; il somigliare agli altri non basta, se non avrai conosciuto, più saggio più esperto più ricco dopo il viaggio, un Itaca a cui ritornare. 
La nostra Itaca, Aquara. 
Che San Lucido ti custodisca e ti protegga da ogni spaesamento. 
Ti saluto con tutta l’amicizia complice ed accelerata con la quale abbiamo divorato la nostra infanzia. Eravamo bellissimi.”

Fiore Serraino

*Foto di Serraino Fioravante postate dalla Redazione del blog e liberamente tratte da: ( Ass. Culturale l’ortica https://www.facebook.com/ortica.assculturale/ )

 

Senza privilegi di Carlos Sanchez… …difendiamo la nostra terra!!!

Senza privilegi

di

Carlos Sanchez

wounded-knee-1973-ap-240Abbiamo consumato un altro pezzo de sole
ritagli di montagne
gli esigui boschi
le correnti di acqua multicolori
che assediano i formicai
le piazze le strade
abbiamo consumato
le incertezze di un mondo migliore
l’idea indemoniata di avanguardia
lo sterile benessere di pochi
le vacche volatili
le galline che depongono le uova
l’orto astratto
la cucina oziosa
i territori recintati
le ribellioni rinchiuse
alcuni dei disuguali
competitive
il diritto storto
la giustizia assai bendata
l’eccesso di velocità
nei sentieri incas
maya aztechi
– per suggerire soltanto
una parte del mondo –
socratizziamo
il ragionamento incoronato
l’interpretazione dei sogni
la nefasta globalizzazione
frutto di un errore di base
idealizziamo un principio
che ignoriamo
una fine che non vedremo
un illuso ritorno messianico
al rodeo
pidocchi di un cane
rognoso
affabulatori disinformati
manifestanti afoni
nella visibilità di nascoste astuzie
di poteri nuvolosi
nel cielo di questo mondo.
La poesia non è un privilegio
né un arma intelligente
è una querelle
un ululato forzoso
civilizzatore
in questa oscura calamità.

Di “Tutto scorre come un fiume”
Lìbrati, Ascoli Piceno, 2012

Sin privilegios

Consumamos otro pedazo de sol
retazos de montañas
los exiguos bosques
las corrientes de agua multicolores
que acechan los hormigueros
las plazas los caminos
consumamos
las incertezas de un mundo mejor
la idea endemoniada de vanguardias
el estéril bienestar de unos pocos
las vacas voladoras
la gallinas ponedoras
el huerto abstracto
la cocina ociosa
los territorios alambrados
la rebeldías encerradas
unos dioses desiguales
competitivos
el derecho torcido
la justicia harto vendada
el exceso de velocidad
en los senderos incas
mayas aztecas
– para sugerir sólo
una parte del mundo –
socratisemos
el coronado razonamiento
la interpretación de los sueños
la nefasta globalización
fruto de un error de base
idealicemos un principio
que desconocemos
un final que no veremos
un iluso retorno mesiánico
al rodeo
piojos de un perro
sarnoso
fabuladores desinformados
manifestantes afónicos
en la visibilidad de ocultas astucias
de poderes nublados
en el cielo de este mundo.
La poesía no es un privilegio
ni un arma inteligente
es una querella
La poesía no es un privilegio
civilizador
en esta oscura calamidad.

De “Todo fluye como un río”
Lìbrati, Ascoli Piceno, 2012

*Versi ricevuti direttamente dall’Autore tramite social network

**Foto postata dalla redazione e liberamente tratta da:http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2008/05/storie-storia-resa-wounded-knee.shtml

QuellA pArolA AnArchicA che le sfugge… di Fausta Dumano

50Nel cuore della notte Carla si sveglia  , puntuale quando le fa male il cuore si sveglia nel cuore della notte , proprio in quell’ istante realizza che la notte ha un cuore ,è quel momento che sta nel mezzo ed è circondato dal buio ,per vedere deve accendere la luce , quella artificiale , le servirebbe un cuore artificiale,il suo è pieno di graffi, di lividi , di cicatrici ,sembra  un paese straziato di croci .Fumo di pall mall,un attacco di asma , parole soffocate,parole strozzate ,no, non è colpa di quella sigaretta , sa riconoscere i sintomi .Lui le ha fottuto il cervello,ha gettato i semi ,l’ ha ingravidata .Lei vorrebbe fuggire lontano , m è come paralizzata ,Una striscia nera le riga il volto,non dovrebbe usare il mascara , perché poi con le lacrime si forma un impacco colloso .Carla non dorme mai a casa con un uomo, a meno che non sia un gay irriducibile,Carla ieri sera dopo quel cuba  libre avrebbe voluto invitarlo a salire a casa sua , vorrebbe scrivere un racconto d’ amore , lui è un artista della parola,le costruisce arcobaleni di versi  che lancia come aquiloni nel cielo .L’ invita a correre ,a raggiungere quell’ aquilone .Per lei ha composto la nuova versione di ”un viaggio chiamato amore”Appena prova a sfiorarle il corpo, Carla fugge,getta la scheda del cellulare,diventa per giorni irrintracciabile,poi il cuore le scoppia , le si poggia sulla mano ,lei timidamente ricompone quel numero , chiedendogli di accompagnarla al reparto cardiologia, ci sarà un cuore per amanti smarriti lasciato in donazione organi?Vorrebbe un cuore appartenuto a quelle storie d’ amore di quelli che sono invecchiati invece,quei cuori  che smettono di battere insieme e all’ unisono partono per l’ altrove per inseguirsi in un viaggio lunare……Nel cuore della notte lei da tempo apre il computer per dar voce alle protagoniste dei suoi racconti,occhi neri , occhi sbattuti agli armadietti,corpi sventrati, corpi saccheggiati , lei scrive  con il sangue delle donne , lei è un corpo sventrato , saccheggiato .Si guarda allo specchio,vede due donne , una ride,una piange , quella che ride , le dice che anche il cuore è rosso , potrebbe scrivere con il rosso del cuore, l’ altra le consegna SANTA SEBASTIANA  dicendole puoi scrivere con le frecce insanguinate .Lui assiste silenzioso e come un cavaliere errante della notte le scrive ”Sono venuto da un pianeta lontano per squarciare le tenebre della notte , oltre il cuba libre c’è un coctail ”Orgasmo”lo sanno miscellare solo pochi cavalieri ”Lei Marco Lodoli  dopo SNACK BAR  ha divorziato ”Lui ”Adesso non citarmi pure ”l’ albergo delle donne tristi, ”il cuore cucito,pensa ”LA DONNA ALLA RICERCA DEL DIAFRAMMA ”……Carla ”Certo , ma quella l’ avrà trovata poi quella parola anarchica che le sfugge , che la tiene sveglia la notte??Lui ”Cerchiamola insieme  quella parola anarchica che mi tiene sveglio la notte ,…..altrimenti Dante per l’ eternità  mi farà dormire  cercando quella parola”

* Scritto ricevuto direttamente da Fausta Dumano.

**Foto di Ferdinando Tartaglia postata dalla redazione del blog e liberamente tratta:http://www.arivista.org/riviste/Arivista/325/50.htm

Due parole su Tartaglia:

« Tu già fosti ruscello
e poi quel fiume
che inondò la terra dei miei giorni.
Così la tua alluvione fosse alta
e tracimasse l’argine di fine
io m’abbandonerei lento per lune
bianco di bianco a l’acqua di morire »
(F. Tartaglia, Poesie. Esercizi di verbo, 2004)

Il pensiero di Tartaglia si muove dalla necessità di una trasformazione radicale del cristianesimo, che provocò il suo progressivo allontanamento dalle istituzioni ecclesiastiche.[5] Molti dei suoi scritti ci raccontano della lotta contro la disperazione di questo sacerdote vitando che cerca il rimedio ai sintomi apocalittici della terra: rinnovare e capovolgere tutto dall’interno, con la fede nella Realtà Nuova. Essa, senza più divisioni e barriere confessionali, può trasformare radicalmente il quadro buio e sanguinante del mondo “antico” in cui siamo costretti a vivere.

L’impossibilità di Dio a rispondere alle implorazioni umane, sentita intimamente da Tartaglia, corrispondeva al suo desiderio missionario di reagire lottando, al suo desiderio di raccogliere vecchi e bambini abbandonati nella sua villa di campagna, al suo legame con Germaine Muhlethaler… continua su: https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Tartaglia

Un grazie a Girolamo Melis che sempre ci invita a rassomigliarci… ( quando la Filosofia ammazza la Sapienza )

Come qualche volta accade tra gli Amici ( ma anche tra Mentore e discepolo ),  io e Giro, prorpio oggi, ci siamo “cercati”, abbiamo parlato e ci siamo guardati in faccia tramite un telefono. Abbiamo discusso di terra, di Madri e di nutella e, finita la conversazione, sono giunto alla conclusione che se la filosofia non è sempre al servizio della parola ( come spesso accade in rete e nei social network dove il filosofare è totalmente scollegato dal “discorso”) finisce per sopraffarla; ammazzando, così, il vero frutto della parola e del linguaggio, la Sapienza.

Di seguito, quindi, vi dono un esempio in cui la parola scagliata contro il filosofare si è trasformata non solo in Sapienza ma anche in libertà.

ZF

Estratto da: Orazione di Gorgia leontino intorno al rapimento di Elena

Traduzione di Angelo Teodoro Villa (1753)

uom_gorgia_giallo.JPGSiccome l’abbondar d’uomini di merito è cosa, che ad una Città conviene, la bellezza ad un corpo, all’anima la sapienza, la virtuosa condotta a un affare; cosi d’un’Orazione è tutto propria la verità. Né alcuna di queste cose può aver ornamento, che non sia di tali prerogative 407029_207932972624815_1020070753_a.jpgfornita. Egli è però giusto, che un Uomo, una Donna, un’Orazione, una Città, un affare onorati sieno, se degni d’encomio, e se non degni, ripresi. Poich’egual mancamento, ed eguale ignoranza è il riprendere le lodevoli cose, e ‘l lodar quelle, che meritano riprensione. Dovere pertanto d’un uomo è il parlare secondo la verità, e prendersela contra gli accusatori d’Elena, Donna di cui e la testimotianza de’ Poeti, che n’ebber contezza, e la celebrità del suo nome, rapportando le stragi per lei avvenute, costante han lasciato a’ posteri la memoria. Io però voglio una certa difesa introducendo nel mìo ragionamento, e far dall’accuse cessar chiunque ha di lei sinistro concetto, e i bugiardi riprensori indicare, e mostrando loro la verità liberargli dall’ignoranza, in cui vivono[…]

*Versione integrale consultabile: http://www.lentinionline.it/uom_gorgia_encomio_elena.htm

DISCORSI SUL PENSIERO di Girò… …Giro… Girolamo… Melis!!!

 

L’indicibile follìa dell’Uomo: 
chiamare Pensiero il Pensare.
 Piccolo divertissement post-heideggeriano dedicato a 
Sua Consumìa il Lettore della WebEra

di Girolamo Melis

1. 

The_Thinker_Musee_Rodin.jpgTutto è stato pensato. Abitiamo il pensato. Noi stessi siamo il pensato, e del pensato siamo costituiti. Tant’è che pensiamo che il pensare sia la nostra natura. Eppure c’è qualcosa che non sappiamo pensare, per quanto ci applichiamo da milioni di anni: non sappiamo pensare Dio. Non lo sappiamo pensare a tal punto che non sappiamo se tutto il pensato sia stato Dio a pensarlo. Insomma pensiamo (ma al tempo stesso non ci accorgiamo di chiamare “pensare” il credere) che un’attività così umana come il pensare – con la sua abissale imperfezione – possa essere attribuita alla perfezione che chiamiamo – crediamo – Dio. E ci dibattiamo nell’equazione-disequazione tra il relativo e storico pensare e l’assoluto essere Dio. Eppure pensiamo che l’universo debba necessariamente essere il “risultato” (l’opera) di un pensare assoluto. Un pensare… assoluto?! Ma come possiamo mettere in tale insensata relazione la Cosa che per eccellenza designa una attività, la Cosa che nemmeno sappiamo se appartiene all’Uomo o se dell’Uomo è l’habitat, la casa del tempo e della storia, con Dio? Se sapessimo “divertirci”, non andando altrove ma restando nel pensare, ci chiederemmo allora: “Ma Dio, prima di pensare/creare il mondo, che faceva?” 
2. 
Ecco un pensiero che arriva. Ed è questo: a noi umani il pensare è l’attività che appare la più grande, magnifica, incomparabile ad altre attività, tale che non la accostiamo ad altre “attività”; e nemmeno ce la rappresentiamo come “facoltà”, come attributo. Noi pensiamo (e ancora una volta sbagliamo verbo, non volendo ammettere che… “crediamo”) che il pensare sia il nome della creazione. E perciò lo riferiamo a Dio, che non riusciamo a pensare altro che come Pensiero. Eppure, da tempo immemorabile, sappiamo – dovremmo sapere – che la parola stessa Pensare, e il suo prodotto “pensiero”, sono concetti pensati, detti, raffigurati dall’uomo, non da Dio. Parole umane, sì, dell’uomo pensato da Dio ma uscite dalla bocca dell’uomo e misurate dal Logos. E che il Logos dell’uomo continui ad arrovellarsi nel pensare, è provato anche da quell’aggettivo folle che l’uomo aggiunge a “pensiero” quando vuole prostrarsi a Dio quando dice “pensiero puro”. Parole umane. Forse somiglianti al Dio che crediamo, non di certo alla “natura di Dio”, che osiamo immaginare come materia costitutiva della nostra stessa essenza. Ancora e ancora ingannando noi stessi nell’atto stesso di “prostrarci”. Insomma nel delirio di possedere Dio come creatura del nostro Pensare. 
3. 
 Tutto è stato pensato dall’uomo, nel mondo sensibile. Incluso il pensare il pensiero di Dio. Inclusa la nostra idea di perfezione e imperfezione, la vertiginosa impossibilità di raffigurarci il Dio pensante, e la nostra speculare certezza di esserne misura e materia costitutiva. Ma anche il chiarore della nostra fragilità che ci viene in soccorso, ci stimola, ci bussa alla porta per sussurarci che, verosimilmente, dalla ristretta prigionia del pensare umano, forse non ci è dato immaginarci il Dio pensante. E allora può accadere che ci accorgiamo della vera e formidabile proprietà del pensare umano: quella di riuscire a pensare la nostra fallacia, il nostro limite, il ristretto orizzonte di ciò che chiamiamo “assoluto”.
… CONTINUA… SUL JOURNAL DELL’AMICO GIROLAMO MELIS: http://girolamo.melis.it/2013/05/che-cosa-significa-pensare.html

**Foto del “Pensatore” postata dalla redazione e liberamente tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Il_pensatore

L’inconsistenza della società: è arrivata l’ora di riscrivere Parmenide?

L’INCONSISTENZA DELLA SOCIETA’ E IL NON-ESSERE CHE DIVIENE ESSERE
( è arrivata l’ora di  riscrivere Parmenide e la filosofia? )
di
Zairo Ferrante

images.jpgNel VI – V Sec. A.C., Parmenide, da Elea, diceva: “ l’essere è e non può non-essere. Il non-essere non è e non può essere ”.
Semplificando: se A è l’essere unico e se B non è A, allora B è il non-essere. Seguendo questo ragionamento, se A si trasforma in B non è più essere ma diventa non-essere e, pertanto, risulta implicitamente negato anche un possibile divenire.
Secondo Parmenide, quindi, esiste un essere che è bello, perfetto, eterno e uguale a se stesso. Un essere che é e che non può mutare in altro senza trasformarsi in non-essere.
Tutto sembra avere un senso, logicamente e moralmente corretto ma, se esaminiamo la nostra odierna società, tutto cambia.
Crollati tutti i princìpi, morti tutti i miti, nulla di quello che ci circonda – sia esso un bene materiale o immateriale – è eterno, immutabile e uguale a se stesso.
Tutto – dietro la spinta delle mode, sotto la pressione del mercato e dell’economia, trainato dal capitalismo, dai media e dalle tendenze del momento  – è destinato a mutare.
Ed ecco che il non-essere, influenzato dai suddetti fattori – che per convenzione inizieremo a chiamare Forza X -, si trasforma in essere per poi ritrasformarsi, sempre a causa della Forza X, ancora una volta in non-essere.
Ovviamente, questo non-essere che diventa essere, non è certo un qualcosa che esiste, pertanto non lo possiamo neanche intendere come il “divenire”, come “ il tutto scorre ” di Eraclito. Il quale si riferiva alla realtà, a un qualcosa di reale e esistente, che, pur mutando, continuava comunque a essere reale e quindi a esistere.
Un esempio per chiarire il tutto potrebbe essere proprio quello delle mode.
Immaginiamo un determinato indumento che, sotto la spinta della Forza x, diventa di tendenza.
Beh, è facile intuire come questa tendenza del momento, proprio perché mutevole, temporanea e mai uguale a se stessa, è non-essere.
Eppure, chi l’abbraccia e la segue, pur non esistendo come singolo ma solo come numero uniformato ai tanti dalla Forza x, finisce per sentirsi parte del tutto, finisce per essere “di tendenza”. Anzi, diventa l’essere.
Poi, quando la Forza x, per ovvie ragioni economiche, si esaurisce e dirotta la sua attenzione su altro, l’essere diventa “vecchio” e, non per suo volere perché in realtà questo essere non esiste e quindi non può essere dotato di libero arbitrio, si ritrasforma in non-esser, in attesa che la Forza x  compia un nuovo miracolo, trasformando un altro non-essere in essere.
Ecco che, volendo provare a riscrivere Parmenide, si potrebbe tranquillamente enunciare una nuova formula che suonerebbe, più o meno, così:
Il “non-essere”, esposto alla Forza X, diviene “essere” inesistente che, sempre sotto l’azione della Forza x e dopo un Tempo indeterminato y, ritorna a essere “non-essere”.
Certo, tutto ha meno senso di prima, ma, purtroppo, questo è quanto.
E mi raccomando, ora non soffermiamoci a riflettere troppo su quanto appena detto, altrimenti potremmo essere pervasi dalla malsana voglia di chiamarci fuori dal sistema non-essere/essere e, così facendo, saremmo costretti a rivedere anche il “cogito ergo sum” del buon Cartesio.
Perché è chiaro, la “Forza x”, che nel frattempo sta meditando il golpe a Dio, impone anche un’altra regola: chi pensa, pur esistendo, non è e non deve essere.

14 – Agosto – 2001
Zairo Ferrante

” PER UNA NUOVA OGGETTIVITA’ popolo, partecipazione, destino “: un’idea, un manifesto, un libro!!!

 

da Estense.com: Alla ricerca della “Nuova Oggettività”

A breve il libro-manifesto del neonato movimento filosofico. Oltre ottanta le persone coinvolte in tutta Italia

 

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Prestigiosa sinergia prossima, programmata per settembre-ottobre, per alcuni scrittori ferraresi: è il progetto Nuova Oggettività, a cura di un neonato movimento filosofico a livello nazionale, in particolare dell’area intellettuale di Roma, dei vari Sandro Giovannini, Giovanni Sessa, Stefano Vai.

Tra breve il libro manifesto omonimo (edizioni Heliopolis, Roma-Pesaro), con ben e oltre 80 scrittori, filosofi contemporanei, alcuni molto noti: tra essi, oltre ai curatori, lo stesso Stefano Zecchi finanche i futuristi Graziano Cecchini, Riccardo Campa, Antonio Saccoccio, Stefano Balice e il ferrarese Roby Guerra (anche nella segreteria e blogger del sito del movimento Nuova Oggettività). E anche altri ferraresi noti: Riccardo Roversi, Zairo Ferrante, Maurizio Ganzaroli, il centese Giovanni Tuzet e le scrittrici Gaia Conventi e Sylvia Forty.

Il progetto è programmaticamente articolato come libera e libera esplorazione ciberculturale, al di là dell’ideologia del Novecento, modulato in diverse griglie tematiche, dalla metapolitica all’estetica alla comunicazione, eccetera, tra -come sottolineano gli stessi promotori forse principali, Sessa e Giovannini, i bordi concettuali interfacciati e simultanei della Tradizione e della Modernità assoluti, verso un futuribile neoumanistico contemporaneo. Un “volo” sorprendente, meritorio e significativo per gli autori di Ferrara ed emiliani in un contesto filosofico al centro del dibattito italiano attuale e non da oggi.

Lo stesso Giovannini ha curato per oltre un decennio la rivista specialistica Letteratura-Tradizione.

TRATTO DA: http://www.estense.com/?p=161627
 
*RASSEGNA STAMPA ” PER UNA NUOVA OGGETTIVITA’ “:

http://oubliettemagazine.com/2011/10/14/scrittori-ferraresi-in-il-libro-manifesto-nuova-oggettivita-heliopolis-2011/

http://www.sitiwebferrara.com/scrittori-ferraresi-in-il-libro-manifesto-%E2%80%9Cnuova-oggettivita%E2%80%9D-1013.html

http://nuovaoggettivita.blogspot.com/2011/10/libro-manifesto-nuova-oggettivita_14.html

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Filosofia moderna: “Alla ri-cerca di Zero”

Renato-Zero-1-PICCOLA.jpgArticolo della filosofa Maria Giovanna Farina

I sorcini, “ figli della solitudine affamati di poesia”, si sono riprodotti continuamente e hanno resistito ad ogni sorta di minaccia: alla moda, alle trasformazioni sociali e alle tappe artistiche di chi li “ha messi al mondo”. La mia è una osservazione critica delle dinamiche affettive che si sono sviluppate tra Renato Zero e i suoi fan; questa riflessione è fatta da chi da molti anni ha fatto oggetto  dei suoi studi  filosofici e psicologici anche Renato Zero con le sue canzoni.

Il tema centrale che ho individuato  nelle canzoni di Renato è lo scambio affettivo tra madre e figlio e tra il gruppo dei fratelli. E’ importante sottolineare che la componente materna e paterna è presente in molte persone a prescindere dal sesso di appartenenza ed è visibile nelle relazioni con gli altri. Parlare di componente materna non è tout court parlare di femminilità, ma è parlare dell’  approccio materno alla relazione che è simbolizzato dall’accudimento, dal mettersi a disposizione senza condizioni, dall’essere protettivi soprattutto con i più deboli, ecc. “Sotto quel tendone blu sei cresciuto e sei adesso un uomo tu”, sei quindi cresciuto perché protetto e nutrito da quel grembo fecondo ben simbolizzato dal tendone, che fa crescere tutti i suoi figli senza distinzioni e permette loro di amarsi. Ecco ricorrere lo scambio affettivo tra madre e figli e fratelli (tra loro). Renato Zero rappresenta una sorta di “passaggio” per tutti gli adolescenti che lo amano (e lo amavano) e trovano in lui la possibilità di attuare il distacco generazionale dalla loro famiglia. L’adolescenza è infatti un periodo di lotta per la separazione dalle figure genitoriali. L’impresa è molto difficile perché da un lato ci si vuole staccare per crescere e dall’altro si vuole rimanere protetti e accuditi. In realtà il distacco è solo apparente perché ci si trova tra le braccia di un’altra madre dall’apparenza trasgressiva, (specialmente il Renato prima maniera) ma che in realtà “dietro questa maschera c’è un uomo” che sente, vive, e ama in modo molto, molto tradizionale. La fiducia nei valori  e nell’amore viene trasmessa al pubblico che è costituito in forma quasi esclusiva da sorcini diventati mamme e papà e dai loro figli.  Ritengo che la carriera artistica  di Zero si possa dividere in due grandi momenti: il periodo giovanile della trasgressione e del forte bisogno di affermazione dove tutto veniva rappresentato (con abiti e trucco) come in un circo e una seconda fase più matura (dopo i primi anni ‘80) che lentamente e progressivamente porta all’abbandono del “travestimento” spettacolare per raggiungere un look  sempre più convenzionale e dove il messaggio da trasmettere viene sempre più affidato alle parole delle canzoni. In quelle più vecchie è maggiormente presente la figura del fratello maggiore che mette in guardia dai pericoli in cui un giovane inesperto può incappare. Nei testi di Renato si nota l’evoluzione e la crescita, da ragazzo diventa  adulto. La trasgressione delle canzoni più antiche come “Mi vendo” e “Triangolo”, per citarne due celebri, viene via via trasformandosi in nostalgia dei vissuti giovanili, non più rivivibili, nel gruppo dei pari; per es. Angeli in cui afferma: ”..ritornerei ancora in quel sacco a pelo contando con voi tutte le stelle del cielo”. I veri amici infatti sono quelli dell’infanzia e dell’adolescenza perché ciò che tiene uniti é il grande progetto comune della crescita, in epoche successive è molto più difficile e di ciò, Renato ne ha ormai la certezza nell’ultimo album:” Tanto poi gli amici non si fanno vivi più…chiamano se gli conviene. Un pronto soccorso casa mia…” 

E’ presente nel percorso di crescita dell’autore l’invito a non lasciarsi mai andare e a combattere contro  la noia (Resisti), il vuoto ideologico (Il niente), la droga (.La tua idea………Pericolosamente amici) e a scoprire che dietro la maschera (Niente trucco, La facciata ) c’è lui e la sua realtà.

Ciò spinge a guardare oltre le semplici apparenze. Il pericolo della droga è uno dei temi  più trattati nelle sue canzoni, é il mettere in guardia i ragazzi dalla seduzione pericolosa, la seduzione di una madre negativa che porta ad una dipendenza mortale tanto che “sulla pelle del tuo ultimo fratello innocente c’era rimasto un buco solamente”. A ciò si contrappone la madre positiva che ti rassicura per cui “non ti appenderei a quel laccio emostatico, tu mi detesterai ma io ti salverei”.

  Osservando la messa in scena degli spettacoli, mi è nata la concreta consapevolezza che Renato

drammatizza la quotidianità. Le simbolizzazioni arrivano in modo subliminale al pubblico che inconsciamente percepisce l’autenticità del messaggio  comunicativo. Ad esempio la canzone “Non sparare” sia nel contenuto verbale che figurativo affronta il problema della caccia e della sua crudeltà.

 Al di là del contenuto manifesto, al primo livello simbolico v’è una richiesta di non tarpare le ali della libera espressione di sé, ma ad una lettura seconda e più approfondita della simbologia notiamo qualcosa di molto più importante e significativo per i nostri interessi, ossia: le ali del grande uccello rappresentano le braccia della madre che tiene protetti i suoi cuccioli e il cacciatore non è altro che il padre che in modo molto doloroso vuole strappare i figli dalla protezione materna. Si tratta qui di una figura paterna negativa che non crea l’ordine nel confuso habitat materno, ma che violentemente crede di aiutare il figlio e invece lo sottomette con il suo strapotere fallico/maschile.                       

 Chissà quanti ragazzi hanno vissuto questa lacerante realtà! Certamente come Renato la drammatizzò  dava la speranza di uscirne meno malconci se solo si fosse riusciti a sensibilizzare questo padre! “Non sparare vecchio cacciatore, hai volato mai, l’hai fatto mai?”. E’ come dire:” Se sei stato libero di esprimere te stesso, se hai provato, non puoi uccidere la mia libertà”. E’ un chiaro invito a tutti i padri che non sono stati in grado, o non hanno voluto, lasciar “volare” i loro figli. Questa tematica viene ripresa esplicitamente molti anni dopo in Anima Grande:”…se hanno un figlio a colori lottano contro di lui per appiattirgli i pensieri”.

   Questa affermazione è molto intensa  perché racchiude anni di lotta per l’affermazione di ogni diversità. Sappiamo come molti genitori  purtroppo non riescano, al contrario di Anima Grande (suo padre), ad accettare di avere un figlio colorato in un mondo in bianco e nero: mettono in atto la loro “castrazione cromatica” impedendo la libera espressione del sé ai loro figli. Ai concerti di Zero, chiunque si senta, per qualunque motivo, diverso, sa di essere capito, accettato e amato: ”...per noi diversi, per noi che siamo tanti, per noi che forse sembriamo strani, ma che in fondo siamo così umani. Prestateci un sogno lasciateci ancora tentare, perché questa notte sia eterna, perché sia una notte d’amore.” E altrove:”.. a voi che basta un sorriso una stretta di mano e a me che basta dirvi vi amo”.. Col passare del tempo, la simbologia dell’abbraccio materno del grande uccello ha lasciato posto ad un più essenziale auto-abbraccio dopo aver indicato i vari settori del pubblico, ma il mettersi a disposizione è continuo: “ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi” e ancora “prenditi quello che ti servirà, del mio cuore il battito migliore”. Spesso l’aspetto materno appare intrecciato con il desiderio di lotta giovanile contro i difetti della società: l’ipocrisia, l’ingiustizia e gli abusi, così appare come una madre che lotta per assicurare, almeno idealmente, una vita più vivibile ai suoi figli.     

  Negli ultimi anni si nota un avvicinamento all’alterità metafisica più intenso e mistico. La canzone Ave Maria, con la sua richiesta d’intercessione, ne è un esempio eloquente. In questo approccio c’è un cambiamento radicale rispetto alla visione precedente di una divinità più immanente, dove Renato  invitava i sorcini a ricercare Dio “magari in un cuore, in un atto d’amore, nel tuo immenso io…”. Ora il nostro Renato  ha perso un po’ di questa forza protettiva ed ha bisogno lui stesso di protezione. 

 Dalla madre premurosa che accudisce e protegge sotto le proprie ali, accettando pregi e difetti dei suoi figli e ascoltando le loro richieste, trapela la figura di una madre stanca e forse un po’ sfiduciata, che chiede ella stessa accudimento.

Non sappiamo quanto Renato Fiacchini sia davvero materno, sicuramente lo è Renato Zero sul palcoscenico ed è questo che ho voluto osservare. E’, e soprattutto è stato, un personaggio unico forse perché ha messo sul palcoscenico se stesso. Resta il fatto che interpretarlo una Madre non vuole essere un tentativo di riduzionismo, sarebbe troppo banale credere che questo importante aspetto sia l’unico motivo di tanto e duraturo successo. Renato Zero non sarebbe stato tale se non avesse avuto quel quid che ha fatto di lui quello che è. Certo è che Renato Fiacchini ha saputo, e forse ha dovuto, tirar fuori il “tesoro” che aveva custodito dentro di sé (Renato Zero), quella parte che sarebbe stato difficile imprigionare :”Sono stato chiuso in barattolo per vent’anni e trentamila secoli…”  Questa seconda nascita gli ha permesso di diventare uno dei più grandi e originali interpreti della musica leggera italiana. La mia ri-cerca di Zero si conclude qui con la speranza di ri-trovarlo.

Articolo concesso dall’Autrice…continua su:                                                                                    http://www.mariagiovannafarina.it/Renato_Zero.html   

Maria Giovanna Farina nasce nel ’62 a Milano dove si laurea in filosofia presso l’Università Statale, è una studiosa di comunicazione umana in tutte le sue forme d’espressione. Oltre agli studi accademici, si dà alla ricerca sul campo in maniera del tutto originale. Nel 2002 realizza un suo antico desiderio e crea a Milano l’Heuristic Institution, uno studio professionale di consulenze filosofiche, dove mettendo a profitto le competenze acquisite permette alle persone che vogliono ri-trovare ordine ed armonia nelle relazioni di superare il disagio esistenziale che le condiziona.Per le sue particolari competenze nelle dinamiche relazionali omosessuali ha collaborato per alcuni anni con il mensile Babilonia tramite la rubrica di lettere, creata ad hoc, “Gli occhiali di Socrate” e molti articoli. Ha collaborato e collabora con altre riviste ed è intervenuta per alcuni anni su Radio Reporter con “Quattro passi di filosofia” per mostrare come la filosofia possa aiutare nella vita quotidiana. Nel 2010 ha creato insieme ad un gruppo di amici, filosofi e non, la rivista on-line L’accento di Socrate www.laccentodisocrate.it. “Il bambino senza parole” è una sua opera pubblicata con ed. Edizioni Clandestine e tradotta nel 2008 in lingua turca.