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Lacrime e poesia di Laura Mucelli dipinte da Enrico Frusciante

11261914_917028665025680_7873823364246588940_nCerte lacrime
non hanno meta

si aprono come fiori
nel languore di una melodia
un suono antico
un sapersi cosi’ fragili
un rivolgersi all’altro
come fosse parte di noi

sembrano salire
da un pozzo orientale
nella tensione interiore
di un brivido d’amore
un sapore sconosciuto
una luna esoterica

si confinano di notte
in un cielo costellato
tra petali di rosa
e vertigini sfiorati
nelle note dei flauti
e le lingue antenate

Versi e Immagini ricevuti direttamente da: Laura Mucelli Klemm, Francia 01-07-15 ( tramite social network  )
Dipinto di Enrico Frusciante, Italia
Tutti i diritti riservati

L’UOMO CHE CAMMINA SULL’ARCOBALENO di Giancarlo Fattori

NATURA MORTA IN ARANCIONE(1).JPG

Il suono dell’universo, il colore, sgargiante,

un calore diverso, l’abbraccio che giace steso,

allungato al cielo, porta i rami ormai secchi

distanti, strani, di questa terra tiepida di sogni,

e tu ci puoi pensare, come uomo, o fiore sgualcito,

puoi camminare sull’abisso, sul mondo dismesso,

sull’arcobaleno compromesso, di cristallo,

già infranto dal lucore delle briciole del sole,

di umano splendore, di vago dolore, passandoci dentro.

Non sono solo i simboli di smeraldo, no,

non è così, non sei tu l’araldo del dio,

non v’è nulla tra le rughe di saggezza

che ricordi le ombre di rami stagliati

ai riflessi d’un parabrezza, o debolezza,

o la dolcezza che lasci dentro, tra le mani

del bambino, d’una splendida aurora depressiva,

magia d’incenso che saliva, a spirali,

nel caldo vento d’ogni giorno.

Cos’è che esce dal silenzio? Solo amore,

o goccia d’assenzio su zolletta di tormento,

e dove stai andando? La luna t’è rimasta dentro,

ascoltando, pregando in volo, se dire o no

la scelta di un celeste segmento, lontananza

di temporale all’orizzonte, eppure no, non è soltanto

il silenzio, né un sorriso spento: è un cantare gitano

danzando sui colori seminati nel cielo, o nel tempo.

Dopo io penso di archiviare la vita piegando abiti smessi,

chiudendo una libertà gioita in grandi scatoloni,

incrostati dalla colla calda del pianto, del torrente

di un’assenza ticchettata dallo scandir dell’orologio,

mentre, come uomo, corri, a perdifiato

sul mantello alato che si stempera in ricordo,

seme, gramigna, fiore discreto nella discrepanza

dell’asfalto rotto da chilometri di pioggia.

Il tempo non esiste, ha perso i pezzi nel cammino,

o come in un camino arde il ciocco di legno della vita,

diranno un giorno che sei morto, sbriciolandoti in un lampo,

che compiuto il suo destino ha il pazzo, in un campo

di saggezza illimitata, nel tempo stabilito

da quel confine incerto che incatena ogni uomo

a un eterno senza senso, a un labile consenso.

Ora chiudo il maglione nero

 dentro l’ultima valigia,

cosa resto a fare qui,

 a chiedermi: son matto anch’io?

Che cammino un po’ distratto

in un dirimpetto altrove.

 


(alla memoria di Lucio)


*Versi e dipinto digitale (Natura morta in arancione ) di G. Fattori ricevuti direttamente dallo stesso Autore.