L’UOMO CHE CAMMINA SULL’ARCOBALENO di Giancarlo Fattori
Il suono dell’universo, il colore, sgargiante,
un calore diverso, l’abbraccio che giace steso,
allungato al cielo, porta i rami ormai secchi
distanti, strani, di questa terra tiepida di sogni,
e tu ci puoi pensare, come uomo, o fiore sgualcito,
puoi camminare sull’abisso, sul mondo dismesso,
sull’arcobaleno compromesso, di cristallo,
già infranto dal lucore delle briciole del sole,
di umano splendore, di vago dolore, passandoci dentro.
Non sono solo i simboli di smeraldo, no,
non è così, non sei tu l’araldo del dio,
non v’è nulla tra le rughe di saggezza
che ricordi le ombre di rami stagliati
ai riflessi d’un parabrezza, o debolezza,
o la dolcezza che lasci dentro, tra le mani
del bambino, d’una splendida aurora depressiva,
magia d’incenso che saliva, a spirali,
nel caldo vento d’ogni giorno.
Cos’è che esce dal silenzio? Solo amore,
o goccia d’assenzio su zolletta di tormento,
e dove stai andando? La luna t’è rimasta dentro,
ascoltando, pregando in volo, se dire o no
la scelta di un celeste segmento, lontananza
di temporale all’orizzonte, eppure no, non è soltanto
il silenzio, né un sorriso spento: è un cantare gitano
danzando sui colori seminati nel cielo, o nel tempo.
Dopo io penso di archiviare la vita piegando abiti smessi,
chiudendo una libertà gioita in grandi scatoloni,
incrostati dalla colla calda del pianto, del torrente
di un’assenza ticchettata dallo scandir dell’orologio,
mentre, come uomo, corri, a perdifiato
sul mantello alato che si stempera in ricordo,
seme, gramigna, fiore discreto nella discrepanza
dell’asfalto rotto da chilometri di pioggia.
Il tempo non esiste, ha perso i pezzi nel cammino,
o come in un camino arde il ciocco di legno della vita,
diranno un giorno che sei morto, sbriciolandoti in un lampo,
che compiuto il suo destino ha il pazzo, in un campo
di saggezza illimitata, nel tempo stabilito
da quel confine incerto che incatena ogni uomo
a un eterno senza senso, a un labile consenso.
Ora chiudo il maglione nero
dentro l’ultima valigia,
cosa resto a fare qui,
a chiedermi: son matto anch’io?
Che cammino un po’ distratto
in un dirimpetto altrove.
(alla memoria di Lucio)
*Versi e dipinto digitale (Natura morta in arancione ) di G. Fattori ricevuti direttamente dallo stesso Autore.