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Il nuovo sito di Giancarla Parisi… news, opere e manifesto GCP!!!

F70896ED-BFFE-436F-A89A-11A89B88E743…Fortunatamente disponiamo anche di un punto di vista femminile sul futurismo: leggendo attentamente il coevo testo della Valentine de Saint-Point, autrice del Manifesto della Lussuria e del Manifesto della donna futurista, si comprende che egli non si riferiva tanto al genere femminile in toto, bensì a quel femminino molle, femminista e degenerativo trasversale ad ambo i sessi e ritenuto antipatriottico, antieroico, non attivista, pacifista e buonista, affatto adatto al “virile” progetto rivoluzionario futurista. Quello che Valentine cercava di esprimere con le parole, un’artista idealmente a me molto vicina, Tamara de Lempicka, lo esprimeva egregiamente con i suoi tratti di pennello…

CONTINUA SU manifesto GCP: http://www.giancarlaparisi.it/

Foto quadro dell’artista tratto sempre da http://www.giancarlaparisi.it/

Il dinanimismo sostiene il restauro della Reggia del Carditello …da gioiello del Regno delle Due Sicilie ad ostaggio della camorra.

Reggia-di-Carditello-768x465Con questo breve post/rassegna è mia intenzione sostenere e pubblicizzare un importantissimo lavoro di restauro, che si pone come obbiettivo quello di restituire ai Campani e a tutti gli Italiani la Reale tenuta di Carditello.

Una grandissima e maestosa Opera d’Arte ignobilmente abbandonata al suo destino, in balìa dei “fuochi”, in quella terra per troppo tempo considerata  di “nessuno” e quindi ritenuta erroneamente persa e/o irrecuperabile.

 

Un segno, questo, di civiltà e di presenza.

Presenza di uno Stato che finalmente sembra ricordarsi che anche Lei, quella “terra di nessuno” – che in un tempo non lontano rappresentava un posto ricco, florido e avanguardista – esiste e deve essere tutelata e protetta insieme a Chi, onestamente ( e sono la maggior parte ), la vive e la “respira”.

Zairo Ferrante

La Reggia di Carditello sottratta alla camorra

7 MARZO 2016ARTE

Acquisizione e progetto di restauro

di Massimo Bray

Dal numero di marzo 2016

La Reggia di Carditello, creata nel 1744 da Carlo di Borbone, che vi aveva impiantato un allevamento di cavalli, sorge a San Tammaro (Caserta), nell’area nota oggi come la Terra dei Fuochi al centro di camorra, rifiuti, soprusi e degrado; un tempo era un territorio fertile dotato di un paesaggio straordinario e unico, in cui si coltivavano e si allevavano diverse e rare specie vegetali e animali.
Carditello faceva parte di un gruppo di ventidue siti (tra i quali la Reggia di Caserta, quella di Portici, la Reggia di Capodimonte e il Palazzo Reale di Napoli) appartenenti alla dinastia reale dei Borbone di Napoli: erano luoghi dedicati allo svago e alla caccia della famiglia reale e dove si sperimentavano nuove tecniche e prodotti agricoli (si pensi, ad esempio, alla mozzarella creata per la prima volta in una fattoria di Carditello).

Ammirata persino da Goethe

L’antico splendore di questa reggia, che fu insieme tenuta di caccia e azienda agricola altamente specializzata, secondo il volere e gli ideali illuministici di re Ferdinando IV di Borbone (1751-1825), è riconoscibile non solo in quello che resta delle sue architetture, giardini e arredi, ma anche perché divenne un modello per le pratiche agricole e zootecniche e si meritò l’ammirazione persino di Goethe… CONTINUA SU:http://www.lindiceonline.com/focus/arte/la-reggia-di-carditello-sottratta-alla-camorra/

Finalmente iniziati i lavori alla Reggia di Carditello. Minacce di morte all’ex ministro Bray

Massimo Bray, ex ministro per i Beni Culturali e oggi direttore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, è un simbolo della rinascita di Carditello: sotto il suo mandato, infatti, nel gennaio 2014, dopo molte aste andate a vuoto, la Sga (società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha acquistato all’asta la reggia, per poi trasferirla al Ministero dei Beni e delle attività culturali, avviando un progetto di restauro e valorizzazione del sito.

Durante una visita di Bray alla Reggia di Carditello in restauro è stata ritrovata una lettera minatoria a lui indirizzata:

“Ti avevamo detto di non tornare a Carditello altrimenti saresti morto”.

Intanto la Reggia comincia la sua lenta rinascita.

Lo Stato sembrerebbe esserci per una volta anche qui nella Terra dei fuochi (grazie alla tenacia di persone come Massimo Bray). CONTINUA SU: http://www.artslife.com/2015/08/04/finalmente-iniziati-i-lavori-alla-reggia-di-carditello-minacce-di-morte-allex-ministro-bray/

Dal sito dei Beni Culturali:

La Reale tenuta di Carditello, detta anche Real sito di Carditello oppure, con riferimento alla palazzina ivi presente, Reggia di Carditello, faceva parte di un gruppo di 22 siti della dinastia reale dei Borbone di Napoli posti nella Terra di Lavoro: Palazzo Reale di Napoli, Reggia di Capodimonte, Tenuta degli Astroni, Villa d’Elboeuf, Reggia di Portici, Villa Favorita, Palazzo d’Avalos nell’isola di Procida, lago di Agnano, Licola, Capriati a Volturno, Cardito, Reale tenuta di Carditello, Reale tenuta di Persano, Fusaro di Maddaloni, Selva di Caiazzo, Sant’Arcangelo, Reggia di Caserta, San Leucio, Casino del Fusaro, Casino di Quisisana, Mondragone e Demanio di Calvi.

Questi siti non erano solo semplici luoghi per lo svago (soprattutto per la caccia) della famiglia reale borbonica e della sua corte, poiché, è importante sottolineare, che in alcuni casi costituivano vere e proprie aziende, espressione di imprenditoria ispirata dalle idee illuministiche in voga in quei tempi. Si citano per esempio gli allevamenti della Fagianeria di Caiazzo, la produzione della seta a San Leucio, la pesca al Fusaro, gli allevamenti della Tenuta di Persano e del Demanio di Calvi.
Il Real sito di Carditello è stato consegnato, nel maggio 2016, dal Polo museale della Campania alla Fondazione omonima, nata da un accordo tra il Ministero dei beni culturali e ambientali e del turismo, la Regione Campania e il Comune di San Tammaro.

L’Artista Parisi segnalata da Cristiano Rocchio nel meeting all’Università di Tubinga

img_2478Parte del testo letto dall’Autore  Cristiano Rocchio al meeting Univ. di Tubinga

” … dal paragrafo 3. Sulla strada dell’uomo nuovo.

Nel suo manifesto artistico Giancarla Parisi giudica la società
contemporanea torpida e priva di estro creativo, e ricorda la polemica delle avanguardie novecentesche
contro la società loro contemporanea. Possiamo perciò collegare la critica e la ricerca dei movimenti
contemporanei a quelle delle avanguardie novecentesche, perché la condizione spirituale dell’umanità
non sembra essere cambiata molto nell’ultimo secolo, anche se i mezzi e le opportunità di sviluppo
spirituale sono aumentati enormemente”…….

CONTINUA SU: https://giancarlaparisi.wordpress.com/2016/02/12/univerisita-di-tubinga-segnalata-giancarla-parisi/

Mar 7, 2015 - opinioni    No Comments

Rubiamo dal blog di Maria Grazia Cicala … un pizzico di cucina e tanta passione per l’arte!!!

foto1-januarywagashiMan ist was Mann isst’, ovvero si è ciò che l’uomo mangia.

Molto del nostro food design prende ispirazione dall’arte giapponese di portare i cibi in tavola!  Prendete ad esempio i Wagashi, i dolcetti tradizionali giapponesi: sono delle piccole poesie di zucchero.

Forme, colori e disegni di wagashi, ispirati come sono da letteratura giapponese, dipinti e tessuti, spesso rappresentano immagini evocative della natura e sono una festa per gli occhi. Molti nomi sono derivati dalla prosa o poesia classica, mentre altri possono suggerire una stagione.

10897006_10204517701275067_6143494289098525178_nWagashi sono un invito a concedersi a tutti i cinque sensi: L’immagine, il gusto, il tatto,  il profumo, e il suono.

I dolci giapponesi, ovvero wagashi, sono piccoli capolavori di arte e gusto. Principalmente a base di farina di riso, cereali e crema di fagioli rossi dolci. Forma e colori variano in base alla stagione.Vengono serviti insieme al tè verde e sono considerati come un dono di lusso.I primi dolci giapponesi sono nati nel periodo Yayoi (300 a.C.- 250 d.C), ed erano prodotti utilizzando riso e patate, schiacciati e lavorati fino ad assumere una forma grezza, senza molte pretese insomma.
In seguito apparirono i manju, torte di riso ripiene di marmellata di fagioli rossi, al principio dolce cinese “Mantou” importato da monaci buddisti fino in Giappone da cui prese inizialmente il nome Nara-manjū.
Poi con l’avanzare dell’importanza della cerimonia del tè, crebbero anche i prodotti artigianali giapponesi: ovviamente dolci di accompagnamento per il tè verde, leggeri e dall’aspetto semplice ma curato.
Nel periodo Edo (1603-1867), il “tè con i dolcetti” non fu più un privilegio di pochi, ma divenne disponibile per la massa, creando un vero e proprio fenomeno nazionale instillatosi nelle radici della cultura giapponese.
Non molto tempo dopo dal Portogallo si importarono nuovi tipi di dolci fino a quel momento sconosciuti in Giappone: il Kompeito (da confeito), zuccherini colorati a forma di stella, e il kasutera (da castella), un semplice pan di spagna di uova, farina, zucchero e sciroppo di amido.
Questi scambi commerciali, e forse la paura di contaminare la propria cultura culinaria, fecero nascere la necessità di fare una distinzione linguistica, furono perciò coniati i termini “yogashi” (letteralmente, dolci in stile occidentale) e “wagashi” (dolci tradizionali giapponesi) nel periodo Meiji (1868-1912).
I wagashi sono dolci artigianali che utilizzano un certo numero di ingredienti “tipici”, tra cui farina di riso, azuki (fagioli rossi da cui si crea la marmellata detta “anko”), zucchero e patate dolci. A differenza dei yogashi in cui si utilizzano molto latte, burro e altri ingredienti.
Si può dire che i manju erano la base per i dolci nipponici che, accostati a molte varianti, assumevano nomi e forme differenti.
La differenza tra manju e mochi è molto sottile, quel che è sicuro è che entrambi sono degli esemplari di torta di riso lavorati fino ad assumere una forma rettangolare o tonda, tradizionalmente mangiati a capodanno. Per quanto riguarda il mochi viene prodotto in una cerimonia chiamata “mochitsuki”
Esistono tantissime tipologie di mochi, di solito si differenziano dalla confettura messa all’interno, tra cui: daifuku (mochi rimpieti con anko), dango (mochi infilato in un bastoncino), hanabiramochi(mochi rosso e bianco ricoperto di anko e una striscia di gobo candita), kusa mochi (mochi dolce infuso nell’artemisia -yomogi- con un centro di anko), matsunoyuki (un mochi addolcito dalla forma di un pino, cosparso di zucchero), sakuramochi (mochi riempito di anko e avvolto in una foglia di ciliegio), yatsuhashi (fogli sottili di gyūhi -mochi zuccherato-, disponibile in diversi sapori, piegato a triangolo intorno a una palla di anko).

… CONTINUA SU: http://arredoeconvivio.com/convivio/wagashi-fusione-di-cibo-e-arte/  

 

Letteratura o narrativa da scaffale?: di Giovanna Mulas

Dopo “Su letteratura, scrivere” e “Sul ruolo del maestro nella letteratura” vi presentiamo il terzo articolo della nota ed attivissima scrittrice Giovanna Mulas, già candidata al Nobel per la Letteratura e costantemente impegnata ( anche tramite il nostro blog del movimento dinanimista ) nel sociale e nella difesa dell’arte:


D'après_Maurice_Quentin_de_La_Tour,_Portrait_de_Voltaire_(c._1737,_musée_Antoine_Lécuyer).jpgQuanto la Letteratura e’ in grado di assecondare una riflessione ed il pensiero critico nel Lettore? E, al contrario, quanto certa narrativa ‘imposta’ puo’ indurre una societa’ a incoscienza, superficialita’?.
Occorrerebbe soffermarsi a considerare cio’ che significa, in termini di potere, la possibilità di imporre ad una societa’ una certa visione
della storia, quindi della realta’. L’intellettuale che non prende una
chiara posizione politica, ha già una posizione e promuove comunque una politica: quella del più forte.
Un Libero Pensatore sta con e tra la gente, pensa, spinge un popolo con le idee, si espone, si sputtana anche e se necessario. Ma il prezzo che si paga per essere liberi pensatori e’ molto alto. Si
conosce o si può intuire nel momento stesso in cui, all’inizio del sentiero, si decide di camminare a piedi scalzi. È come la vita, ed in
questo mi ritengo fondamentalista: non possono e non devono esistere
scorciatoie, ché la dignità – ciò che davvero fa l’Uomo – non le può
permettere.
Pure, non esiste schiavitu’ piu’ sicura di quella di chi si ritiene libero scambiando per liberta’ la lunghezza della propria catena.
Ne ho scritto a piu’ riprese: analizziamo il lettore tipo della societa’ civilizzata a cellulare e web, best seller indotto. Mettiamolo al buio, terrorizziamolo: assenza storica di una politica sociale e culturale, disoccupazione ai massimi storici, corruzione, fame, suicidi, depressioni, mancanza di dignita’, nuova repressione giustificata con la crescita della violenza, individualismo. Dall’altro lato, nuova consapevolezza che ricchezza e potere sono sempre stati e restano concentrati in pochi, stessi elementi…  .
Ogni regola verra’ annullata: si tornera’ primitivi, inconsapevoli, sicuri dell’insicuro in una realta’ rovesciata. Facciamo in modo che le persone abbiano paura del presente e del futuro, si fara’ fare loro qualsiasi cosa: si rivolgeranno a chiunque prometta una soluzione.
Ritengo avvenga una sorta di mimetismo speculare: uno slittamento dell’identita’ da uomo a uomo, dal buio ad una parvenza di luce.
L’identita’ verra’ catalizzata dalla gerarchia rassicurante.
Quanta responsabilita’ in tutto questo da parte di politica e religione?. Cosa (e come) la politica, o la religione, sono in grado di fare per generare un coinvolgimento malato, confuso nelle masse?
José Saramago scrisse in ‘Cecità’, di cui consiglio la lettura: “(…) Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”.
Il dovere primo di un intellettuale è farsi voce del e per il più
debole: studio, ricerca costante di (una tra le) verità, riflessione messi al servizio dell’ altrui riflessione, consapevolezza quindi conoscenza, affinché si avanzi un pensiero a sostegno del bene comune.
Uno scrittore mosso dall’intelletto è uomo la cui mente analizza se stessa: spezza e ricompone, quando necessario distrugge e si distrugge affinche’, dalle proprie ceneri, rinasca utile alla societa’ in cui opera.

Dal Blog ufficiale:
http://giovannamulas.baab.it/2013/06/02/su-letteratura-scrivere/

*Scritto ricevuto direttamente da Giovanna Mulas

**Foto: ritratto di Voltaire postato dalla redazione e liberamente tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Voltaire

 

 

Poesi(A)rte di fin’estate by Giancarlo Fattori

CREPUSCOLO D’OTTOBRE

 

RITRATTO DI CRISTINA copia copia.jpgLaggiù, le foglie raggrinzite,

i rami secchi sul sentiero

ad ogni sfumatura di pallida luce.

 

Al canto del Vespro l’orizzonte si placa

dei miei sguardi oltre il tumulo e il declivio,

e la terra si sgretola, sotto i miei passi.

 

Oltre, gli spiriti del bosco.

Qui, l’anima in tumulto, fragile.

Vertigini di parole, da un silenzio all’altro.

 

Gli occhi socchiusi su paesaggi interiori,

ebbro fino allo stremo del fruscio

delle foglie, delle ali:

 

ecco, lassù, il rondone, il germano reale,

il picchio dorato, il piviere,

il cielo ambrato che s’appresta a dormire.

 

E l’eco, infine, dei miei respiri,

come cantillazione tra le mura d’un chiostro,

o un piccolo tozzo di pane, mendicato.

 

Profumo di cedro, di vitigni maturi.

Oltre, il sogno, velato di pianto.

Screpolature di labbra, su labbra leggere.

 

Si ricompone l’oceano, goccia dopo goccia,

di sorriso, di abbraccio, di coccio infranto,

un fuoco amoroso che divampa, gentile.

Ed io, pellegrino di continenti, sorgenti, fedi,

 in me accolgo tutto, e nulla, e su questi estremi

m’inerpico, come viandante sull’abisso.

Un errare è il mio, e senza meta,

coerente, nell’incoerenza,

cosciente, nell’incoscienza.

 

Plagiato dalla bellezza.

Visionario, di visioni crepuscolari.

Nel respiro del cosmo, fluttuando nel tempo.

 

(dedicata a Wolly Krishna Rama Dâsâ

e a Muhammad Ibn Abd-el-hamid Abû Rummân)


Versi ed *Immagine di Giancarlo Fattori ( ©giancarlofattori2005 ) e ricevuti direttamente dallo stesso

*Immagine: digital painting ” Ritratto di Cristina”


COMUNICATO STAMPA DI GRAZIANO CECCHINI:” nel rispetto dell’Arte con la A maiuscola…”

untitled.pngMi trovo costretto a comunicare che la mostra evento “8 settembre tutti a casa… è arrivata la Ma-Donna!” è saltata perché non erano assicurate le condizioni minime e necessarie per allestire una mostra degna di questo nome.

 

Non essendo mia abitudine rischiare di deludere le aspettative ho preferito cancellare l’iniziativa nel rispetto dell’Arte con la A maiuscola, a dispetto di sterili trame di bottega di gente che si improvvisa mercanti e/o intenditori d’arte.

 

Essendo stati presentati da persona degna di fiducia ho infelicemente dato anche ai referenti di questa associazione la stessa fiducia.

 

Evidentemente sbagliando.

 

Eppure, sarei dovuto essere preparato, ricordando le parole di Shakespeariana memoria:Bisogna guardarsi bene dal concepire un’opinione molto buona delle persone di nuova conoscenza; altrimenti nella maggior parte dei casi si rimarrà delusi con proprio scorno o magari danno.”

 

 

 

L’appuntamento con Venezia è solo rimandato, e la prossima volta sarà mia cura affidare l’organizzazione a professionisti del settore non improvvisati e confusi come quelli in cui la sorte mi ha fatto inciampare.

 

Qualcosa però mi ha fatto dubitare da subito, così come, rileggendolo, affiora dalle righe del mio contributo della cartella stampa che riporto di seguito*.

 

 

 

Graziano Cecchini

 

*

LA MIA ARTE DA INCENDIARIO

 

 

 

Venezia 2011.

 

 

 

Non mi intratterrò a parlare e descrivere le opere esposte in occasione di questa mia personale.

 

 

 

Penso che le opere, in stretta simbiosi con il titolo della mostra, si spieghino da sole e, con soddisfazione, lascio ai collaboratori il compito di descriverne le tecniche, lo stile, il linguaggio multidisciplinare.

 

 

 

Preferisco approfittarne per parlare di ciò che le opere ancora non posso esprimere: le motivazioni, le aspettative, il mio modo di essere nel bene e nel male un Incendiario, modello Palazzeschi.

 

 

 

 

 

 

 

La Mostra-evento, eversiva e provocatoria nel titolo, “8 settembre, tutti a casa… è arrivata la Ma-Donna!”,vuole essere un omaggio alle donne di tutti i tempi, e insieme rievocare lo smarrimento di un’epoca che continua a festeggiare anniversari ma perde di vista il vero e autentico spirito di un popolo fatto di poeti, artisti ed eroi, della culla del diritto romano e di genialità costrette all’estero per colpa della cecità dell’interesse economico sempre e comunque e, ancora oggi, dell’appartenenza politica.

 

 

 

Ci vogliono far credere che l’unica cosa da fare sia non preoccuparsi, non indignarsi, non ribellarsi, tollerare ed adattarsi, continuando a guardarsi intorno senza voler vedere… come un Don Abbondio dei giorni nostri.

 

 

 

Ma io sono nato Incendiario, non Don Abbondio….

 

 

 

E così, anche qui a Venezia, tutti si aspettano la provocazione, la trasgressione e la sfida.

 

 

 

Ma forse nessuno è preparato ad una forma di provocazione più sottile, rivolta a quel potere accademico ormai scollato da un’arte contemporanea che sa provocare ed emozionare all’istante, senza bisogno di boriose didascalie.

 

 

 

Provocare tornando alla forma, una forma all’interno della quale si sposano arcaico, classico e tradizionale con immagini rubate al presente e stravolte dalle nuove tecniche grafiche.

 

 

 

La mia sfida qui a Venezia è fondere ogni stimolo visivo in un unicum artistico a 360° per permettere al visitatore di compenetrarsi nell’opera che riflette negli occhi immagini tecnologiche veloci e forme acriliche statiche.

 

 

 

Dov’è la sfida? La sfida risiede nel fatto che tutto ciò sarà possibile senza le eterne e pompose spiegazioni di un’arte che, per diventare concettuale, ha dimenticato l’emozione, universale e senza tempo.

 

 

 

Dopo tanto (troppo) “concetto”, il futurismo torna con passo veloce alla FORMA.

 

 

 

Ma è vero, le mie opere difficilmente potranno incontrare il favore di una critica compressa da tessere di partito e da un’Accademia cieca e passatista. Come i primi futuristi accetto il fischio ma mai accetterò la critica formulata senza sapere, senza vedere, senza conoscere e non porgerò mai l’altra guancia all’arroganza di piccini critici di quartiere, personaggi che… “pensano di navigar il mare Oceano, in realtà navigano in un laghetto”.

 

 

 

Purtroppo per loro, quando si parla di Arte e Cultura italiana, ci si trova veramente nell’oceano, quello vero, quello che con un’ondata ti travolge. Magari un’ondata di colori.

 

 

 

GRAZIANO CECCHINI

 

 

 

COMUNICATO RILANCIATO ANCHE DA:

 

http://lasinorosso.myblog.it/archive/2011/09/04/graziano-cecchini-comunicato-stampa-4-settembre-2011-venezia.html

 

 

 

FOTO POSTATA DALLA REDAZIONE: Copertina del catalogo

“Trespass: Uncommissioned Public Art”, edizione 2010

Graziano Cehhini è stato inserito dalla casa editrice Taschen USA nel catalogo “Trespass: Uncommissioned Public Art”, edizione 2010 come una delle più importanti e significative realtà artistiche internazionali per la performance realizzata con la Fontana di Trevi…. continua su:

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Graziano_Cecchini

 

 

Collaborazioni del dinanimismo

 209.jpg                                 “ Uomo che Sei “ inedito di Daniela Schiarini

 

Un fuggiasco cacciatore

non di prede

ma d’amore

che si aggira

silenzioso

in penombra,

malizioso…

 

Cede il passo

alla stanchezza

si riposa

con tristezza,

solitario

in penombra

cerca luce…cerca ardore

non del corpo

ma del cuore.

 

Lei lo abbaglia

Lei lo nutre

con dolcezza e beltà

al di là della penombra

nel suo mondo

che è realtà.

 

Non s’arrende

il cacciatore

alla sua anima bramosa

eppur cerca

e poi sfugge

quella immagine radiosa.

 

D’improvviso

un’eco

giunge

da un’ignara direzione,

l’Uomo visse

al cacciatore

l’Uomo amò…e amò col cuore.

 

*Quadro: RENE MAGRITTE > FALSO DI AUTORE UOMO DI SPALLE

 

 

MARCO NUZZO

DSCF0404.JPGNon ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso

Non ti piacerei,

vestito dell’inverno appena trascorso

ma tra lungimiranti coste

che alternano sprazzi di neve in agosto

disciolta

e caduta dalle spalle e dal petto

dove poggi soli diafani di visi/calore,

li mi apprezzerai,

aspettati al porto e tra le barche

o in fragili foglie

vellicate da brezze di mare,

quando cuoce la terra con l’aspro,

costante rigore

colato nel vento,

alle storie stonate e alla pioggia balsamica

domanda il mio nome

e poi chiudilo dentro anche nel freddo

raduna i miei passi sulla sabbia

e fanne castelli se vuoi,

ma senza gloria,

che nelle onde prima o poi moriranno…

Riempimi d’estate tra gli anni e pensami,

nelle nevi perenni, pensami

quando non ti piacerò più,

vestito ancora

del prossimo inverno appena trascorso.


– di Marco Nuzzo

*Foto di Zairo Ferrante http://zairoferrante.xoom.it/


LA PAROLA DINANIMISTA

 

DINANIMISMO (Movimento Poetico Rivoluzionario delle Anime): UNA SEMPLICE PAROLA!

Istruzioni per l’uso dedicate a Critici ed Artisti scettici.

di

Zairo Ferrante


Ormai lo ripeto spesso, il DinAnimismo non è un movimento, non mira a diventare un contenitore di artisti.

Non vuole, assolutamente, avere pittori e scrittori tra i suoi seguaci e non chiederà mai una tessera a nessuno.

DinAnimismo è una semplice parola, che vuole descrivere un movimento dell’animo umano dettato dall’opera d’arte.

Tale movimento deve essere un sensuale tango tra l’artista ed il pubblico, un movimento attivo in entrambi i casi.

DinAnimista è ogni opera d’arte indirizzata all’uomo con lo scopo di evidenziare contraddizioni, situazioni nascoste o disagi insiti nella società.

DinAnimista è l’artista che si prefigge, per mezzo della sua produzione, di “scavare” nell’animo umano, di offrire un nuovo punto di vista alla gente, di entrare in sintonia con la folla.

Si fa DinAnima ogni volta che, tramite l’arte, si vuole interrogare il fruitore stesso dell’opera portandolo inevitabilmente a porsi delle domande ed impegnandolo attivamente nella ricerca di risposte.

Con questa semplice parola si vuole inaugurare l’alba di una nuova era, in cui Arte, mass media e progresso tecno-scientifico devono, assolutamente, collaborare per informare, sensibilizzare ed aiutare l’uomo nel suo incessante divenire.

Questi appena espressi sono, tra l’altro, concetti già evidenziati perfettamente in diverse opere d’arte che avevano il chiaro scopo di sensibilizzare, contestualizzare, ammonire, spronare o informare l’uomo sulla società e sul possibile futuro (basti pensare all’ Urlo di Munch, a Guernica di Picasso, a numerose opere di De Chirico, al “Disertore” splendida poesia di Boris Vian o all’intera produzione Futurista).

Adesso però, tenuto conto dell’incessante e veloce evolversi del mondo, occorre esaltare ancora di più questo ruolo sociale e psicologico dell’arte, spronando energicamente l’artista a percorrere queste, non nuove ma mutevoli, strade.

Ecco perché è nata questa nuova parola ed ecco perché gradirei che il DinAnimismo diventasse espressione di un Movimento Artistico (e non solo Poetico) Rivoluzionario delle Anime.

In conclusione, quindi, auspico che questo nuovo e simpatico termine inizi presto a fluire dalle bocche dei Critici e ad entrare nei cuori degli Artisti più scettici; affinché l’arte possa davvero ritornare a disposizione della gente, sposarsi con le loro anime e supportarle in questo meraviglioso e futuribile viaggio che si chiama vita.


Zairo Ferrante

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