DURIEZ: LA PITTURA COME RICERCA DEL “DAIMON” UMANO di Zairo Ferrante
Da sempre sostengo che l’Arte debba essere prima di tutto “Dinanima”, ossia vibrazione profonda che riesce ad entrare in risonanza con l’Anima umana, richiamando emozioni e sensazioni nascoste che, una volta decifrate, saranno in grado di produrre ulteriore “dinanimismo”.
Un incessante – prendendo in prestito le parole del noto psicoanalista junghiano James Hillman – “fare anima” capace di metterci in contatto con il nostro “Daimon” interiore, con quella vocazione profonda che ci accompagna sin dal nascita e che “ci motiva, ci protegge, inventa e insiste con ostinata fedeltà”.
Quel Genio innato che, se alimentato e coltivato, riesce a rendere realmente autentica la nostra esistenza e che trova la sua massima espressione nell’atto creativo.
Una silenziosa spinta propulsiva che possiamo percepire – anche se sapientemente celata dall’Artista – nella maggior parte delle Opere di Duriez.
Quadri capaci di smuovere l’animo umano e far rivivere le passioni che in esso “sonnecchiano”.
Oniriche istantanee che immortalano sbiadite figure umane intente ad esercitare il proprio “Daimon” interiore. Persone impegnate – e quindi perse – nel “fare anima”.
Cuochi che schizzano fuori dalla pentola proprio come il sublime profumo delle loro pietanze.
Piedi di un contadino che si perdono nella scala cromatica marrone-arancio della terra, insieme a quelle carote che con passione e fatica – testimoniate da una bottiglia di vino vuotata e da una vanga impugnata – ha creato e fatto crescere.
Pescatori che – noncuranti del lussurioso richiamo proveniente da soffici figure femminili nude e divertite – attentamente fissano il proprio galleggiante, nell’attesa di quella vibrazione che possa fisicamente ricongiungerli alla loro primordiale passione.
Ragazze che disinteressatamente voltano le spalle al mondo mostrandogli una chitarra, unico vero specchio della propria anima e sincero catalizzatore della loro atavica creatività.
Questo ( e non solo ) è quello si può scovare passeggiando nel giardino abilmente creato da Jean-Pierre Duriez.
Opere mai banali, caratterizzate da morbide e sinuose linee di colore – ad arte mescolate e sovrapposte – che trascinano l’Osservatore in quel luogo né umano e né Divino, dove albergano tutte le Idee dell’Universo e dove l’Anima può realmente ricongiungersi e danzare con la sua unica e ancestrale Vocazione; riconquistando, in tal maniera, il proprio posto nello spazio e soprattutto nel Tempo.
Ferrara – 22/03/2018
Zairo Ferrante © http://zairoferrante.xoom.it/
SITO JEAN-PIERRE DURIEZ: http://www.jeanpierreduriez.com/
Biografia
Jean Pierre Duriez e i personaggi delle città di confine Jean Pierre Duriez dopo l’incontro con Picasso viene incoraggiato a seguire la sua passione, le Belle Arti di Parigi lo introducono ai linguaggi espressivi desiderati, ma non tarda ad esplorare altri linguaggi, come la scenografia e la fotografia, l’editing, fino a scoprire una possibile altra vocazione.
Ma il ritorno alla pittura rimane la sua scelta di vita ed insegue attraverso i personaggi dipinti la sua voglia di rappresentare e rappresentarsi nel presente. Scopre a poco a poco che i suo personaggi, famosi o generici sono possibili abitanti di città di confine, città descritte dalla magnifica penna di Italo Calvino. Città che sanno ospitare identità contrapposte obbligandole alla metamorfosi necessaria.
Così i suoi Girgio De Chirico ritraggono il pittore che ha saputo rappresentare città metafisiche annunciano in anticipo la metamorfosi della città industriale destinate a tenere aperte le strade del futuro e quelle della nostalgia.
Anche i cuochi di Duriez si ribellano al loro status, mostrando tutta la fatica dello stare in cucina, il loro cucinare è anche trasportare la città dove stanno fuori del confine culturale che spesso la cucina e le tradizioni finiscono per disegnare.
Edgarda Ferri, nel suo libro Il Cuoco ed i suoi Re, ed SKIRA 2013, ci parla di Care^me che abbandonato durante la rivoluzione francese da suo padre sulla strada segue da giovanissimo la sua passione. Impara il linguaggio degli ingredienti, fino a diventare il cuoco prestato a Napoleone.
Ma con la restaurazione, quello non è il posto giusto, e va alla ricerca di nuove città di confine (città protagoniste della metamorfosi europea) si trasferisce a Londra per Giorgio IV e poi a San Pietroburgo alla corte dello Zar che desidera una Russia europea.
Ma la suo ricerca continua nella sua patria e oltre (diventa lo chef preferito dei Rothshild) riorganizza le portate e porta le pietanze fuori dalla confusione medioevale. Inventa il cappello a forma di fungo che nei quadri di Jean Pierre copre o esalta l’umore dei cuochi, personaggi del presente che verrà. I cuochi di jpd sono anche maghi della metamorfosi delle pietanze, e queste interpretano le pieghe (Deleuze) dei territori per evitare la deterritorializzazione delle identità sottostanti.
Duriez non ha paura di essere scambiato per un artista pop, ed a differenza di Andy Worhol non ha un collezionista come Peter Brant che lo incoraggia a tornare alla pittura, è lui stesso che alimenta la sua passione inseguendo luoghi e persone per nuove ispirazioni. Nell’incontro con il Musicista Francesco Grigolo, Milanese Doc, scopre che Verdi è senza nostalgia e lo dipinge evidenziando questo attributo.
Ma allora Verdi è Milano, Parigi, Londra, New York, San Pietroburgo, Napoli, Firenze, Venezia, e quando veniva chiamato dai teatri di queste città sapeva leggere la loro voglia di cambiamento? Si, la musica diventava partitura complessa che accompagna i drammi e le gioie dei personaggi e dei poteri.
Allora il pittore jpd non dipinge stati d’animo, ma la complessità del pensiero latente di artisti giganti, lasciandosi, anche, la libertà di dipingere personaggi dell’altra città?
Tradizione e metamorfosi vivono insieme nell’arte di jpd, perché questa è anche ironica, gioiosa e mostra la creatività del nomade che sa leggere il proprio tempo e sa vivere di città di confine dipingendo personaggi come paesaggi di una nuova ecologia, quella dell’anima.
E Jpd, come il cuoco dei Re sa comporre nuove armonie espressive colorando piatti dal sapore inusitato, anch’egli sa mescolare i colori del saper vivere della società liquida.