Questo è quel che passa il convento: la storia di quando Beniamino dal Fabbro “lanciò” qualche spicciolo alla Callas ( sì, proprio Lei, la Divina!!! )…

Ma se ti dico
“Beniamino dal Fabbro”,
che fai? Vai su Google
o ti tocchi?

di Girolamo Melis

Che io sappia, il grande Beniamino non ne ha mai scritto una riga, e questo è danno grave per te. E anche se io mi piccassi di entrare nel suo stile e di scriverne alla sua maniera, chissà, tu lo potresti godere, ma io mi farei schifo.
Ho cercato, frugato nei suoi scritti che il Nemico ha trafugato e dato alle fiamme per non rischiare, ho spulciato parola per parola i librini che Beniamino non riuscì mai a regalarmi perché sempre glielo impedii… (“io i tuoi Libri li compro!”… “ma se non hai il becco di una lira, Senesìno!”… “non ci pensare… so io quel che ho!… però poi me li dedichi…”). Niente. Nemmeno un cenno alla grandiosa soirée del Dopo-Scala, segnata dall’urlo: “Liberàte il Teatro da quest’insopportabile flagello!”
E poiché da un punto devo incominciare, scelgo “Il crepuscolo del pianoforte”. Opera di rara, ineguagliabile bellezza, pubblicata da Einaudi nel 1951. Libro subito tradotto nelle più importanti e diffuse Lingue del mondo. “Il crepuscolo del pianoforte”, meglio della sua forse più celebre “Vita di Mozart”, dava a Beniamino il diritto, o meglio il libero arbitrio di scrivere musica e di scrivere di musica, di menare fendenti in “do” al “virtuoso da piano-bar” detto Arturo Benedetti-Michelagnoli e di non farsi dare del Tu dal Confalonieri o dall’Arruga, dal Massimo Mila o da quant’altri osassero firmare rubriche da “musicologo” sul Corriere, sulla Stampa e Cupola cantante.
Ebbene, quando, al Giamaica di Mamma Lina, Beniamino e io ragazzo c’incontrammo, dieci anni dopo, “Il crepuscolo del pianoforte” era introvabile nelle accreditate Librerie del centro della città di Milano. Oh, i nemici lo leggevano di nascosto, ma il suo Autore era dannato, il suo nome era indicibile, i Librai non osavano davvero inimicarsi la Mafia del Corriere della Sera, sicché era bandito.
Io però lo trovai col mio geiger, lo lessi, poi me lo feci dedicare, e fu a quel punto che il grande Beniamino mi invitò a casa sua, in cima al (mi pare) numero 6 della via Brera. Sentii il pianoforte, bussai, mi gridò “avanti”, entrai e mi trovai dentro un tetro confessionale. “Avanti” ripeté. E lo vidi difronte, alla tastiera del magnifico Steinway a coda lunga da concerto. Interruppe il Debussy e mi disse “ascolta!” E avviò quel passaggio di Liszt… “Ascolta”, ripeté. “Questa, questa… questa è la nota che il virtuoso da piano-bar non fa… a lui non gli frega se e come e in che punto e con quale timbro l’ha scritta il Maestro… no! il Benedetti la deve fare così… ecco… ascolta… così! Ma Liszt non l’ha mai scritta così……..!!!”
Tante volte mi chiamò da quella prima sera a darmi la nota, il passaggio, il colore… che il Benedetti Michelagnoli o altre sciagurate star dello show-business scaligero propinavano agli sciagurati Borghesi Lombardi plauditores in frac delle prime seconde o quant’altre soirées sommerse da piogge di petali e bocciòli di rose bianche e baciamano rosa e guanti da Questore a Sindaco, da Prefetto a Paolo Grassi, da Ghiringhelli a cavalier Meneghini…
…In Callas. E siamo arrivati al punto. Ma quella volta io non c’ero ancora. Era successo alcuni anni prima. Era e fu e sarebbe stata per sempre la mitica ovvero mitologica entrée di Maria Callas nell’Olimpo dei Druidi! La Prima serata del primo 7 Novembre, Sant’Ambrogio, della prima Norma della Divina. E del primo urlo poco trattenuto di Beniamino dal Fabbro: “Liberàte il Teatro da questo insopportabile flagello!”
Scandalo e sconquasso. Eccesso? Certo, era ed è arduo affermare che la voce della Divina non fosse dotata di una “magica” differenza, di un colore inconsueto, di una ineguagliata caratura “di petto”… Ma… Ma!!! Peccato che il Bellini quella nota, quelle note, quel “rigurgito”, via!, quella “callasizzazione”… non l’avesse mai pensata, prevista, vergata sul suo minuzioso spartito per soprano!!!
Ma non saremmo qui a parlarne a quasi 60 anni data, se la ”cosa” fosse finita lì. No. Dopo il delirio di platea, palchi d’onore e loggione, dopo il delirante temporale di petali sanremesi dei quali Lei fu inondata, dopo l’attesa di masse brividanti fuori dall’uscita degli Artisti, gli Eletti Le fecero corona al dopo-Teatro, ovvero al Biffi-Scala, al risotto all’onda consacrato da fiumi di Dom Perignon. E Lei era lì, al centro dei sapori e degli onori, degli sguardi del Signor CallasMeneghini, delle bave ambrosiane della Milano di rango, allorché…
…un altissimo Nero Sacerdote avvolto nel suo Nero tabarro verdiano, insalutato quanto inopportuno ospite, fece il suo ingresso in Sala. Ieratico, solenne, silenzioso, l’atrabile Demone della Milano-Perbene, s’arrestò a pochi metri, in faccia alla Divina. Scostò con gesto accurato il Tabarro, infilò due dita nel taschino del corpetto nero, ne estrasse un portamonete nero, ne distillò alcune monete, monetine per non strafare, indi ripose il portamonete, riavviò il lembo del Tabarro e, con gesto parsimonioso e nient’affatto melodrammatico, lanciò le monetine alla Divina, senza sfiorarla, avendo cura che esse cadessero sul piatto. Poi si volse indietro e si diresse all’uscita. Mentre la sala esplodeva, gli urli s’accatastavano, i frac s’intrecciavano alle lobbie, le divise dei camerieri sconcertati si affannavano alla ricerca delle divise, delle alte monture dei Carabinieri e delle Polizie, e urli, e fischietti e bèrci e improperi e “vergogna! vergogna!!!”
Beniamino dal Fabbro non aveva pronunciato verbo, non aveva dissimulato intenzioni o cenni di disprezzo. Tutto ciò che aveva da dire, nei più sublimi, minuziosi, didascalici dettagli, la Milano che Conta lo poté leggere nella sua cronaca della mattina su Il Giorno, il solo Quotidiano che non avesse eseguito l’Ordine, la Bolla di Mafia, di non dargli spazio, né da vivo né da morto.
Ma di che mondo vi sto parlando?! E di quant’altre e qual’altre Ere geologiche vi potrei buttare tra capo e collo i reperti, se solo ne avessi voglia e se non mi stessero da mezzora girando i coglioni al pensiero che voi che mi avete letto fin qui siete gli stessi che vi bevete ogni giorno che Dio mette in mediaset o in rai i miliardi di analfabetèmi di libera cultura democratica……?!

*In foto: Beniamino dal Fabbro http://it.wikipedia.org/wiki/Beniamino_Dal_Fabbro

**Scritto e Foto ricevuti direttamente da Girolamo Melis: http://girolamo.melis.it/

Questo è quel che passa il convento: la storia di quando Beniamino dal Fabbro “lanciò” qualche spicciolo alla Callas ( sì, proprio Lei, la Divina!!! )…ultima modifica: 2012-04-01T20:26:00+02:00da zairo-ferrante
Reposta per primo quest’articolo

4 Commenti

  • Puntuale, l’efficienza si vendica e svela la scemenza! E quando pensavo d’averla fatta franca, zac: nella penultima riga non ti schizza fuori un “analfabetèni”?! Czz! Spero che leggerete “analfabetèmi”.
    Ovvio, no?

  • Ora però tocca al Redattore esimio del Dinanimismo pigliar la tastiera e togliere la “D” maiuscola dal cognome nobiliare di Beniamino, affinché l’atràbile Bellunese non gli spari una scala dodecafònica:

    Beniamino dal Fabbro
    (sic)

  • Ultimo commento:
    “Eh ma… direte voi: leggiamo ovunque – da Wikiminkia all’Enciclopedia Pancreatica – Beniamino Dal Fabbro, tutte maiuscole!!!”
    Bene. Sono gli stessi che scrivono le notizie del TG5 e del TG1… Che czz gli frega a loro?
    Tanto Beniamino è morto e non gli può sputare in faccia…
    Believe me.
    Giro

  • Grandioso Zaìro!
    Ti distingui perfino nel mettere i cerotti alle Parole…
    Vale!

Lascia un commento