Ho ricevuto, pubblicandolo di seguito, uno degli scritti più stupefacenti e sorprendenti che mi sia mai capitato di leggere. Chi mi conosce e chi mi legge, sa benissimo che non uso aggettivi e superlativi a casaccio. Nelle pagine che seguono, infatti, troverete quello che, l’Amico e Scrittore, Girolamo Melis ha assemblato e mi ha spedito. E se la grandezza delle persone e proporzionale alla grandezza delle loro idee, allora, non sbaglio ( non sbagliate) a ritenere Girolamo Melis un grande Scrittore. E sono sicuro che anche, il “semprevivo” e Genio, Montale, potrà, ora, sorridere di questo, dall’alto della sua Poesia, “sbracato dentro una giacca-camicia”.
Zairo Ferrante
37.
Eugenio Montale
Mi fece impressione rivedermelo davanti, accasciato su una seggiolina nella stretta Libreria di Cesarino Branduani, vivo pur se non vegeto, lui, il “poeta laureato”, il signor perito Eugenio Montale. Scampato, senza saperlo, all’attentato letterario della Linea O, il Poeta non batté ciglio nel vedermi né alla presentazione che fece di me Cesarino. Gli ero del tutto sconosciuto, ma anche se gli fossi stato noto, la sua granitica e scostante superbia non gli avrebbe mosso neanche un pelo umano. Tuttavia mi porse una mano assente ma forte, che si distaccò di pochi centimetri dal corpo sbracato dentro una giacca-camicia.
Quando Cesarino gli disse che ormai vivevo a Parigi, si ravvivò e mi guardò attraverso le occhiaie cadenti, mi lanciò una domanda da vecchio Premio Nobel strappato dalle terze file: “Che dicono di Montale, in Francia?”
Gli risposi con una bugia letteraria: “Lei ha scosso il vecchio cuore intelligente della Francia di noi tutti…” Che cosa capì? Ci credette? Che cosa credette?
Non parlò più ma fece cenno a Cesarino di tirar fuori il suo nuovissimo libro Fuori di casa, lo firmò e me lo porse. Lo ringraziai e mi venne di carezzarlo, quel triste vecchio. Ma non riuscii a farlo, per rispetto e per affetto verso il grande Beniamino, ideatore di un mancato omicidio perfetto.
(Anni dopo, quando scoprii che alla furia collezionistica del mio caro amico Marcello Dell’Utri, quel libro poco noto, e con la prolissa dedica di Montale a me, avrebbe fatto molto piacere, glielo regalai immediatamente. Marcello ne fu contento e i miei amati Poeti di casa mi sono ancora grati.)
(da Il Corpo è tutto)
Omicidi Letterari,
cortiletto del bar Giamaica. Milano 1961
Nella foto, Beniamino dal Fabbro
Per essere certo che non sbagliassi mira, abbassò l’occhio in linea col mio fucile immaginario, mi sorresse il gomito sollevandomi lievemente la mano. E disse: “Fuoco!”
Passammo quasi un’intera estate (l’estate del 1961) a progettare l’assassinio di Eugenio Montale.
Fu una delle estati più belle della mia vita. Con il grande Maestro Beniamino Dal Fabbro, atrabile cronista di Musica, spietato svelatore di note false e di arbitrii divistici, delizioso studioso d’arte pianistica (Il Crepuscolo del Pianoforte, Einaudi) e pianista per i rarissimi amici, ci scegliemmo a prima vista. Ci stringemmo e ci “rendemmo omaggio” con ironia goldoniana, e giocammo la Vita Spericolata, la sopravvivenza dandistica nel Secolo della mediocrità calcolata. Fummo inseparabili per alcune estati: ci accomunava la Lingua e la Poesia Francese, Dostoevskij, il “non-parlare-mai” del perito edile Montale, la tenerezza per Salvatore Quasimodo, l’ombrello amato da lui e odiato da me, e il camminare.
Seduti al Bar Giamaica, lungi dalla ristrutturazione, curammo nei dettagli il compimento della nostra missione. “Una missione umanitaria”, la definiva il grande Beniamino: colpendo al centro della fronte il poeta Montale un attimo prima che i battenti dell’autobus “S” si richiudessero, e contando sulla sua maleducazione che lo faceva stare aggrappato ad entrambi i montanti di ferro cromato, ostruendo la salita e la discesa degli altri passeggeri, il Montale non avrebbe mollato la presa ma, reclinando il capo con il proiettile tra i sopracciglioni, sarebbe rimasto così, sostenuto dalle porte chiuse.
La successiva fermata della “S” era proprio di fronte all’ingresso principale del Corriere della Serva, al 28 della via Solferino. Le porte si sarebbero riaperte e il Montale ne sarebbe rotolato fino a presentarsi davanti alla dimora dei “suoi padroni”. Perché “missione umanitaria”? Così avevo chiesto a Beniamino Dal Fabbro quando mi propose di eseguire il piano.
La sua risposta era stata: “Così il Montale, dopo una vita passata ad entrare dalla porta di servizio, potrà finalmente entrare dalla porta principale del giornale dei suoi padroni!”
Rinunciammo al Bel Gesto quando, dall’America, giunse la notizia che Hemingway si era puntato il fucile sotto il mento e si era fatto saltare il cervello. Così Beniamino dichiarò decaduto il nostro progetto con le seguenti parole: “Troppo banali, queste morti per arma da fuoco…”
Da http://girolamo.melis.it/
(a Beniamino Dal Fabbro)
Il grande Beniamino
Mi manchi Benjamin rasente i muri
ho inseguito furioso i quarantanni
l’abisso affìne dell’età
t’ho sfidato a superarti
io vecchio e tu tornato adolescente
che tanto eri già
gestuale sacrificale
dentro attraverso il goliardico
confessionale
così battesimale
per accucciarmi accanto al pianoforte
al quale irato tu ricostruivi lo spartito mozartiano
cazzo urlavi il divino Mozart l’ha scritte così
e così e così queste note
non come il Benedetti Michelangioli le insulta
con le sue piote segaiuolvirtuose
bresciane bresciane
poi anche a me non le mandavi a dire
scazze feroci contro i pavesini e i vittorini
e i cecchini e i pratolini
toscanelli e aspiranti toscanini
non te n’andava bene una cristo
ma sai gliè che nessuna era bene
e la bellezza già in quell’affacciarsi
degli anni sessanta
era altrove
…gruppano ora dentro un vagolare
ànfanano e s’incrostano
armenti pacifisti inzaccherati
d’analfabetiche scorie
Benjamin
c’era già Pasolini e parlava e scriveva e grandiosamente vedeva
le morenti generazioni
eppure le voleva salve a colpi di linguaggio
e non si dilettava negli agguati
abissalmente nuovo
ma Eschilo mica Flajano
sparava in bocca nel luogo d’afasìa
ai nuovi scolari ai nuovi maestrucoli
alla italiana linguetta
e diàva in Lengua
i milioni e milioni
che smerdavano il Sacro
e a Milano era amato dai rari
non dai vagheggiatori dei giangiacomi
…vedi sonnambulano
scuoiate bucherellate
sul fronte telecamera
mentre le braghe cacherellanti
ristagnano tra i risvolti di carni
e le frollate carte d’identità
le clonecàpre manco s’inerpicano
né precipitano se ne stazzano nell’ordinaria
lista d’attesa del burrone
alle costole dei clonecàpri trìffidi
lì nei paraggi d’un ticket usato
…e ti sembrava merda Benjamin
quando isterici Rumi & Garelli
razzavano le sottane deserte a Brera
e profittando di basse metriche
assonanzacce allitterazioni contrepèt al Montale
perito industrial Eugenio
topesco e corrierato di boria
e olé che entrino i còmici
prima dello spettacolo dell’attentato
olé
buster keaton
e wurstel crauti
e chatta nooga
e taras bulba
e coca cola
e walzer lento
e santo maso
e cassi nari
e mentre i cosiddetti minori
musicologi a ore e inchini
al Commendator Meneghini
e imbrattatele “ce l’hai un mila?”
entrava la Poéta aggrappata
al risottino delle Pirovini
aggratis
e lì su due ginocchi tremanti
t’obliteràva la Poèta
per una notte al caldo
olé
olé Benjamin
passavi all’azione verlainiana
e mi donav’iperdosi
d’aristocratico disprezzo
portando acqua al mare oceano
sanquirichese
e allora procediamo? Procediamo
il fucile ce lo metto io lo tengo
incollato sotto lo Steinway a coda lunga
oliato e pulito
e tu ci metti la mira oh senesìno
costì ò costì io resto accanto
allo spigolo del Ponte di Brera e batto il tempo
come arriva la “S” e si spalanca la prima porta
e il tronfio nobel mancato si scopre
ai montanti del bus
immontalato come un creditore
lo sguardo perso sotto i suoi livori
e prima che i battenti s’accostino
all’uopo di sfornarlo
flaccido e prono all’uscio
principal del Corsera –
un attimo un attimo oh ghibellino
e stciumm colpo secco nel centro della fronte
vetri rotti di bottiglia cocci
e il Montale s’accàpa ai battenti
e non stacca le mani e resta lì
laureato sul campo e rotola
alla fermata della sua Stoccolma
al sacro numero della via Solferino
e tosto gli ruscellano intorno
buzzati e gramigna
giansiri ferrati
anceschi belli freschi
e la crespi disadorna
e chi è stato! e chi ha osato!?
sacrilegio all’erede del Pascoli
e per giunta bello fresco
ma no Benjamin non potrebbe
no non è stato il corvo di Belluno
non ci vede d’un palmo
c’è una mano sicaria –
a Brera a Brera!
ma il Montale vivrà
putrescente da vivo
falso allarme non è morto
Benjamin
era solo una prova una prova generale
senesìno però l’angolatura era buona
la prossima volta
la prossima volta
ma non c’è mai stata Benjamin
ti ricordi?
ben altri scoops e shots
venivano d’America
l’Hemingway sì che s’è piantata in gola
la fedele Winchester
e a Marylin gliel’hanno fatta
i gesti son finiti e le canzoni
si perdono tra terrori e tremori
perché dannarci l’estasi nel segno
grandioso di Rainer Maria Rilke
spargendo pallidosangue ligure e non gallo
ad inquietar galline
rinunciammo Benjamin
ma non all’ira
e io qui sopravvissuto perfino alla Milano del Bettino
scappicchiato e tornato qui non cedo
a levar mani e dare in smaniose
scenate al Biffi Scala.
Sto aggrappato all’invettiva
al fertile disprezzo.
Da Odio Amore Furia
*Materiale ricevuto dallo scrittore Girolamo Melis