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Giancarlo Fattori … di un amore folle

…agapimou fidella protinì…

di

Giancarlo Fattori

paolo_e_francescaAncora t’amo d’un amore disperato

come di freddo al giunger della sera,

oltre quel promontorio annebbiato

ove nel buio si desta la bufera;

le acque scure in gravido agitarsi

a me si volgon come feroce fiera,

e in lunghe tracce i sentimenti arsi

si fanno cenere, portata via dal vento,

senza lasciar al cuore di curarsi.

 

E quando Zefiro, dai suoi refoli cinto,

le tue gote sfiora, avvolte dai capelli,

lasciando sguardi in un lontano punto,

guardan le tracce profonde come valli;

il vento ed io, avvolti da un rimpianto

e dalle età come avvolti da mantelli,

il corpo tuo già tramutiamo in canto,

e nell’attesa più lunga d’un istante

giungono raffiche dal tono virulento.

 

Oh mia Penelope dal viso affascinante

rimiri il mare tra i sassi dei miei sogni,

il passo mio s’imprime palpitante

lungo le sabbie, o nei relitti arcigni;

il volto mio a lungo hai tessuto

in fitte trame di onirici disegni,

quindi snodavi il telo sconosciuto

per ricomporlo nel desiderio vivo,

quando la tela diventa di velluto.

 

Ora che il tempo funge da lenitivo,

ora che hai colto i miei fiori recisi,

le brume tue, che in fremito lambivo,

ridanno vita ai miei giardini lisi;

una sull’altra un spumeggiar di onde

fanno ricami dei mari imprecisi,

finché l’aurora, errando, ci confonde,

come confonde i sensi il tuo profumo,

che nell’oblio s’impregna e si diffonde.

 

Oltre lo specchio, tra nuvole di fumo,

il ventre innanzi, e dell’amor stanchezza,

l’uomo che ero s’è dissolto in grumo

di rughe arate dagli anni e da incertezza;

ma da ogni buio v’è vita che sortisce,

che a volte ha forma di gentil carezza,

a mo’ di luce che fulgida colpisce

le nubi dentro, più simili a tempesta,

e che fan chiara l’oscurità che cresce.

 

Qui sul mio letto mi sento alchimista,

tra le lenzuola d’un timido giaciglio,

tramuto in oro il palpito, la vista,

amplessi e baci avvolti in un groviglio;

e tesso chiome coi fili tuoi d’argento,

e di ricordi ne faccio strano intruglio,

come ferite a guisa d’ornamento

che rendon chiare l’effigi di due vecchi

che dell’età ne han fatto appagamento.

 

Siam fuochi spenti all’ombra di bivacchi,

siamo cristalli, al suolo in mille pezzi,

dello splendor rechiam soltanto gli echi

di gesta antiche e di racconti grezzi;

eppure il sole ancora ci consuma,

e si riflette nei nostri tratti mozzi,

e così t’amo, mentre la notte sfuma,

noi soli insieme in questa vicinanza,

mentre nel cielo la luna si frantuma.

 

E ci condanna l’eterna convergenza

d’errar, cercarci, e ritrovarci ancora,

e ancor d’amarci come di dipendenza,

ché la ferita non chiude e non infiora;

il volto stanco sul seno a riposare,

odor di mare come libeccio a prora,

qui sul tuo corpo mi lascio naufragare

con il sapore salato dei tuoi baci,

e non v’è altro che voglia ricordare.

 

Così che t’amo, di nuovo tra le braci,

a te legato da turgida catena,

sfiorando appena gli occhi tuoi loquaci

il mio veliero conduci a notte piena;

salpando ancora verso sperduti porti

il viaggio guidi, a guisa di polena,

tra gli orizzonti dai connotati incerti

l’anima tua mi sembra d’ascoltare,

e non son più capace di scordarti,

mentre la rotta non smette di mutare.

*Versi ricevuti direttamente da: ©giancarlofattori2014

**Foto quadro “Paolo e Francesca” postata direttamente dalla redazione del blog e liberamente tratta da: http://www.castellodigradara.it/paolo-e-francesca/