Poesia della musica… note ai margini di un LP di Giancarlo Fattori.

unnamedQuella del 1981 fu, per me, l’estate più bella della mia gioventù. Decine di persone conosciute, atmosfere di festa e di gioia, esperienze lisergiche, amorazzi, tanta musica. L’ultima sera di vacanza ci trovammo tutti insieme sulla spiaggia: un falò, la birra, le sigarette, i fuochi d’artificio, un paio di chitarre. E all’improvviso una sottile malinconia, uno struggimento intenso, un lungo silenzio. Solo il rumore delle onde del mare. Qualcuno intonò Music is love, e presto divenne un mantra cantato da tutti. Nessuno voleva che quella notte finisse. Ecco, per me questo capolavoro di Crosby rimarrà per sempre legato a quel ricordo, ma non è solo per questo che mi piace, che lo considero, obiettivamente, un lavoro straordinario. In un certo qual modo è un disco che nasconde in sé il sentore di una profezia. Crosby si circonda di amici (Stills, Nash, Young, la Mitchell, la Slicks, Kaukonen, Garcia) e canta il tramonto dell’Utopia in cui erano appena passati, forse consapevoli che le cose stavano ormai cambiando (col senno di poi, il festival di Woodstock avrebbe segnato il capolinea di una stagione straordinaria per creatività, per ideali fortemente creduti, per fragilità e innocente incoscienza). Il tramonto già raffigurato in copertina segna una linea di confine tra il bello del prima e le oscure ombre del dopo. Così ecco una manciata di canzoni, tutte bellissime, tutte splendidamente suonate e cantate, più simili a mantra spirituali e a vortici psichedelici, immersi in un’atmosfera tra sogno, nostalgia, visione cosmica. Il risultato è proprio come quel falò sulla spiaggia, con la consapevolezza che le cose stanno volgendo al termine, mentre altre (magari la gioventù, col suo carico di miserie e splendori) stanno scivolando dalle dita come sabbia. Come quando, a festa finita, le luci si spengono, ma c’è sempre un manipolo di amici che rimane aggrappato all’ultimo bicchiere, all’ultima conversazione, all’ultima canzone, semplicemente perchè non vuole tornare a casa. Inevitabile che ci sia, tra i solchi di questo disco, una immensa tristezza, uno struggimento che non ha nome, ma che può, persino, inumidire gli occhi. Poi gli anni passano, inesorabili. Magari li vivi anche bene, e la tua maturità è all’insegna di progetti realizzati, di un quotidiano vissuto sempre con curiosità, impegno. Solo che ogni tanto ti volti, guardi indietro, e rivedi quell’immagine, ormai cristallizzata, a cui dai valenze e significati che probabilmente, col tempo, si sono anche modificati (o sopravvalutati, o mitizzati, o che altro). Rivedi le tue linee d’ombra, anche quelle in cui ti sei imbattuto crescendo. E scopri che ogni volta il disco di Crosby era lì, ad accompagnarti. Orgogliosamente vintage, e al tempo stesso eterno, moderno, indispensabile. 

*Testo ricevuto direttamente dall’Autore.

Poesia della musica… note ai margini di un LP di Giancarlo Fattori.ultima modifica: 2015-01-06T12:27:32+01:00da zairo-ferrante
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