Archive from maggio, 2013

Giovanna Mulas:Sul ruolo del Maestro nella Letteratura

Apollo_dio-della-medicina-e-delle-arti-thumb.jpgIl Maestro, visto come guida etica e fisica, nel cammino dell’Arte, impervio quando fatto a piedi scalzi, in dignita’ e quella irragionevole purezza che solo l’animo del vero artista contiene; puo’ rivestire un ruolo fondamentale: fisiologico ad abbattere le  barriere che innalza, tra un qualunque Se’ ed il mondo, la superbia tipica della giovinezza, del talento immaturo.
Conobbi Peter Irwin Russell, grande poeta inglese in Italia dal 1983, che avevo ventiquattro anni.
Peter ammiccava da antico bohémien di 79 anni, coi suoi capelli arruffati e la barba candida, mani odorose di Gauloises (rigorosamente senza filtro) e Alfa (ne fumava ottanta al giorno), il William Lawson allungato con acqua. Cugino del Nobel Bertrand Russell, Peter stesso era autore pluripremiato, candidato due volte al Nobel per la Letteratura. Visse, semicieco ed in estrema poverta’, ignorato dalle istituzioni locali, a Pian di Sco’, col figlio malato di mente. Si spense nel 2003, una morte dovuta più a “la solitudine e l’abbandono, che per enfisema polmonare”.
Con un gruppo di amici giornalisti e poeti ci battemmo a lungo, per fargli ottenere la cittadinanza italiana e i relativi favoritismi economici che la stessa comportava. Nella sua libreria -un pezzo di storia della letteratura mondiale- tra gli oltre duemila volumi potevi assaggiare, odorare gli scambi epistolari con Ezra Pound, che il Poeta conservava gelosamente.
E le discussioni politiche, le critiche sociali ad uno Stato che ignorava e continua ad ignorare Cultura ed Arte e quei poveri incoscienti che osano farle grandi nel mondo, volando oltre la rete di contenimento.
Peter fu mio Maestro, e lo fu in maniera felicemente inconsapevole. Con le mie prime, irrisorie pubblicazioni cominciavo da affacciarmi nel panorama letterario nazionale; ero una salottiera di buon talento, testarda e superba, stordita da premi letterari e sterili primi applausi, coltivavo la rabbia del riscatto di chi nasce dal niente e col niente cresce.
Il vecchio Maestro mi ripeteva che ero un ‘passero con le ali di aquila’, e io ne ridevo.
Un discreto talento che ancora non conosceva le sue possibilita’, preferiva volteggiare tra gli specchi.
Eppoi gli anni, il tempo, gli eventi…tanti anni, e tanto dolore a piegare e piagare la ragazzina superba, prima di comprendere la portata del volo.
Questo, oggi, lo ripeto ai miei allievi:
siate piccoli passeri con le ali d’aquila.
Non temete il volo, ovunque questo vi portera’, nella vita; che sia alto o basso non importa. Chi dice che gli uomini non possono volare? E chi dice che una montagna, una qualsiasi montagna puo’ essere piu’ potente del volo di un uomo?
Soltanto voi potrete e dovrete scegliere il vostro volo, e la vostra montagna.
Quando sarai in grado di capire la portata del tuo volo, potrai dire di saper scrivere.
Ma solo quando capirai quanto il nostro dono puo’ fare per cambiare in meglio la societa’,
potrai dirti scrittore.

*Scritto ricevuto direttamente dalla Scrittrice Giovanna Mulashttp://giovannamulas.baab.it/ , il Blog Cinque Pagine Ufficiali in Facebook Italia Profilo ufficiale in Twitter

**Foto di APOLLO postata dalla Redazione e liberamente tratta da: http://arteesalute.blogosfere.it/galleria/2010/03/la-poesia-insegna-ai-medici.html/1

Dedicato ai giovani che si sentono vecchi o, forse, ai Vecchi che sono giovani…

Èvita i Vecchi di Girolamo Melis…
images.jpg

  
Èvita quelle carogne dei vecchi.
Èvita i vecchi che i guai se li tirano. 
Èvita i vecchi che quando passano sulle strisce devono sempre alzare le mani per spiegarti che stanno per passare. 
Èvita i vecchi che invece di fare versi potrebbero sbrigarsi. 
Èvita i vecchi che fanno quelle facce sempre incazzate invece di ringraziare che non li stendi sotto il motorino. 
Èvita i vecchi che invece di tenere la bocca chiusa ridono con quelle dentiere che si ritrovano. 
Èvita i vecchi che, non contenti di aver rotto i coglioni per sessant’anni, vogliono arrivare a cento. 
Èvita i vecchi che non parlano per farti sentire in colpa. 
Èvita i vecchi che dicono quelle frasi lunghe che non finiscono mai. 
Èvita i vecchi che o non si capisce quello che pensano o ti fanno dimenticare quel che volevi dire. 
Èvita i vecchi che portano sfiga, ma non ce la fanno a reggerla da soli e la fanno cadere da tutte le parti. 
Èvita i vecchi che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera e occupano sempre i meglio posti sul tram, sul bus e sui treni. 
Èvita i vecchi che, con la scusa di essere timidi, guardano sempre il culo delle ragazze. 
Èvita i vecchi che, a differenza degli orologi, non diventano mai antichi e non aumentano di valore. 
Èvita i vecchi che alzano l’età media della popolazione e ci fanno fare brutta figura all’estero. 
Èvita i vecchi che non sanno nemmeno cosa vuol dire sms. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a leccare i francobolli. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a lamentarsi per quella loro pensione di merda, invece di darla a noi. 
Èvita i vecchi che per la strada si fermano all’improvviso, tu gli vai addosso ed è colpa tua. 
Èvita i vecchi che, invece delle polo Lacoste, portano quelle magliette a righine, come se già non si capisse che sono vecchi. 
Èvita i vecchi che sono ancora lì a menarla con gli Anni Sessanta. 
Èvita i vecchi che passano il tempo alle ASL a discutere se è meglio l’artrite del Vecchio A o la cateratta del Vecchio B. 
Èvita i vecchi che guidano le Mercedes. 
Èvita i vecchi albesi che guidano-in folle col cappello in testa. 
Èvita i vecchi che si piazzano davanti alla TV per ore e consumano la corrente. 
Èvita i vecchi che vogliono tanto bene ai bambini. E allora? 
Èvita i vecchi che sono fissati con la minestra. Èvita i vecchi che sono tutti ammiratori di Gerri Scotti, alzano la audience e noi dobbiamo averlo tra le palle da decenni.
Èvita i vecchi che hanno sparso la voce di saper raccontare le favole ai bambini ma si addormentano prima loro. 
Èvita i vecchi che da giovani erano molto meglio di noi e non si accorgono di come sono conciati. 
Èvita i vecchi che prima almeno si mettevano in quattro intorno a un tavolino del bar a giocare a scopa con quattro bianchini, e ora stanno lì ognuno per conto suo, occupano quattro tavolini e non consumano un cazzo. 
Èvita i vecchi che si piazzano lì con la Gazzetta dello Sport in mano e non la mollano per ore 
Èvita i vecchi che ora non si ubriacano più in pubblico, lo fanno di nascosto in casa e non servono nemmeno a farsi pigliare per il culo. 
Èvita i vecchi che appena mangiato si addormentano e non aiutano nemmeno a sparecchiare. 
Èvita i vecchi che stanno svegli tutta la notte e fanno casino nei corridoi. 
Èvita i vecchi che ti guardano fisso come se si aspettassero sempre qualcosa o che se non si aspettassero più niente. 
Èvita i vecchi che sono specialisti a farti sentire una merda. 
Èvita i vecchi che quando cerchi di scippargli la borsa dalle mani mica la mollano, e gli viene una forza micidiale che sei costretto a staccargli un braccio, e allora cascano per terra, si fanno male, tutti intorno si agitano, la polizia ti prende e ci rimetti sempre tu.
 Èvita i vecchi che saltellano, caracollano, si danno quel tono dinamico per non far capire che non si reggono in piedi. 
Èvita i vecchi che prima erano tutti di destra e ora sono tutti di sinistra.
 Èvita i vecchi che non guardano in faccia nessuno e muoiono. 
Èvita i vecchi che muoiono e ti lasciano lì come una merda proprio mentre stavi per dirgli “ti voglio bene”.

**TRATTO DAL JOURNAL DI GIROLAMO MELIS ( già Giovane Amico del dinanimismo ): http://girolamo.melis.it/2013/05/evita-i-vecchi.html

Ritratto di Famiglia… di Carlos Sanchez

Cronaca familiare

di

Carlos Sanchez

944425_4917691535378_148554035_n.jpgGrazie a questa fotografia
potresti ricostruire la festa
l’atmosfera di quel Natale.
C’è un primo piano sfocato
con brillo di bottiglie da sidro
di coppe di cristallo di Murano
piatti sparsi senza simmetria
su un tavolo forse di pino,
suggerito appena sotto i fiori
de un tovagliolo di filo di Scozia.
La zia Giulia suona il pianoforte
nostalgia di uno zio mai comparso,
nonna Maria col suo sguardo di comando
rattiene l’abbraccio dei miei nei loro valzer.
Indietro la cugina più grande
in uno dei suoi tanti smarrimenti.
Suo padre come sempre assente.
Il volto del nonno esemplare
insinua nella sua sana indifferenza
un regno di infinite scaramucce.
La zia Rosaria ostenta una creatura
nella culla delle sue braccia robuste:
Quello che appena è entrato in scena sono io
che adesso non ricorda a cosa pensassi.

In quel momento stavamo tutti
a contendersi un posto nella foto,
adesso lei è solo un pallido riflesso
un bollettino di guerra e di fantasmi.

Di “Alta Marea” Editora Quasar, Roma 2005

Crónica familiar

Por esa fotografía amarillenta
podrías reconstruir la fiesta
la atmósfera de aquella Navidad.
Hay un primer plano desenfocado
con brillos de botellas de sidra
de copas de cristal de Murano
platos esparcidos sin simetría
en una mesa seguramente de pino,
apenas insinuada bajo las flores
de un mantel de hilo de Escocia.
La tía Julia está tocando el piano
añorado un tío que nunca llegará,
la abuela María con su mirada
de expresiva alertando a las tropas,                                                                                             mis padres en un abrazo tímido
de vals. Más atrás la prima mayor
en uno de sus tantos extravíos.
Su padre como siempre ausente.
El rostro del abuelo es ejemplar
insinúa en su sana indiferencia
un reinado de infinitas escaramuzas.
La tía Rosario ostenta una criatura
en la cuna de sus brazos robustos:
ese recién entrado en escena soy yo
que no recuerda ahora en qué pensaba.


En ese entonces estábamos todos
disputándonos un lugar en la foto,
ahora ella es sólo un pálido reflejo
un boletín de guerra y de fantasmas.

**Foto e Versi ricevuti direttamente dall’Autore tramite social-network

DISCORSI SUL PENSIERO di Girò… …Giro… Girolamo… Melis!!!

 

L’indicibile follìa dell’Uomo: 
chiamare Pensiero il Pensare.
 Piccolo divertissement post-heideggeriano dedicato a 
Sua Consumìa il Lettore della WebEra

di Girolamo Melis

1. 

The_Thinker_Musee_Rodin.jpgTutto è stato pensato. Abitiamo il pensato. Noi stessi siamo il pensato, e del pensato siamo costituiti. Tant’è che pensiamo che il pensare sia la nostra natura. Eppure c’è qualcosa che non sappiamo pensare, per quanto ci applichiamo da milioni di anni: non sappiamo pensare Dio. Non lo sappiamo pensare a tal punto che non sappiamo se tutto il pensato sia stato Dio a pensarlo. Insomma pensiamo (ma al tempo stesso non ci accorgiamo di chiamare “pensare” il credere) che un’attività così umana come il pensare – con la sua abissale imperfezione – possa essere attribuita alla perfezione che chiamiamo – crediamo – Dio. E ci dibattiamo nell’equazione-disequazione tra il relativo e storico pensare e l’assoluto essere Dio. Eppure pensiamo che l’universo debba necessariamente essere il “risultato” (l’opera) di un pensare assoluto. Un pensare… assoluto?! Ma come possiamo mettere in tale insensata relazione la Cosa che per eccellenza designa una attività, la Cosa che nemmeno sappiamo se appartiene all’Uomo o se dell’Uomo è l’habitat, la casa del tempo e della storia, con Dio? Se sapessimo “divertirci”, non andando altrove ma restando nel pensare, ci chiederemmo allora: “Ma Dio, prima di pensare/creare il mondo, che faceva?” 
2. 
Ecco un pensiero che arriva. Ed è questo: a noi umani il pensare è l’attività che appare la più grande, magnifica, incomparabile ad altre attività, tale che non la accostiamo ad altre “attività”; e nemmeno ce la rappresentiamo come “facoltà”, come attributo. Noi pensiamo (e ancora una volta sbagliamo verbo, non volendo ammettere che… “crediamo”) che il pensare sia il nome della creazione. E perciò lo riferiamo a Dio, che non riusciamo a pensare altro che come Pensiero. Eppure, da tempo immemorabile, sappiamo – dovremmo sapere – che la parola stessa Pensare, e il suo prodotto “pensiero”, sono concetti pensati, detti, raffigurati dall’uomo, non da Dio. Parole umane, sì, dell’uomo pensato da Dio ma uscite dalla bocca dell’uomo e misurate dal Logos. E che il Logos dell’uomo continui ad arrovellarsi nel pensare, è provato anche da quell’aggettivo folle che l’uomo aggiunge a “pensiero” quando vuole prostrarsi a Dio quando dice “pensiero puro”. Parole umane. Forse somiglianti al Dio che crediamo, non di certo alla “natura di Dio”, che osiamo immaginare come materia costitutiva della nostra stessa essenza. Ancora e ancora ingannando noi stessi nell’atto stesso di “prostrarci”. Insomma nel delirio di possedere Dio come creatura del nostro Pensare. 
3. 
 Tutto è stato pensato dall’uomo, nel mondo sensibile. Incluso il pensare il pensiero di Dio. Inclusa la nostra idea di perfezione e imperfezione, la vertiginosa impossibilità di raffigurarci il Dio pensante, e la nostra speculare certezza di esserne misura e materia costitutiva. Ma anche il chiarore della nostra fragilità che ci viene in soccorso, ci stimola, ci bussa alla porta per sussurarci che, verosimilmente, dalla ristretta prigionia del pensare umano, forse non ci è dato immaginarci il Dio pensante. E allora può accadere che ci accorgiamo della vera e formidabile proprietà del pensare umano: quella di riuscire a pensare la nostra fallacia, il nostro limite, il ristretto orizzonte di ciò che chiamiamo “assoluto”.
… CONTINUA… SUL JOURNAL DELL’AMICO GIROLAMO MELIS: http://girolamo.melis.it/2013/05/che-cosa-significa-pensare.html

**Foto del “Pensatore” postata dalla redazione e liberamente tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Il_pensatore

L’UOMO CHE CAMMINA SULL’ARCOBALENO di Giancarlo Fattori

NATURA MORTA IN ARANCIONE(1).JPG

Il suono dell’universo, il colore, sgargiante,

un calore diverso, l’abbraccio che giace steso,

allungato al cielo, porta i rami ormai secchi

distanti, strani, di questa terra tiepida di sogni,

e tu ci puoi pensare, come uomo, o fiore sgualcito,

puoi camminare sull’abisso, sul mondo dismesso,

sull’arcobaleno compromesso, di cristallo,

già infranto dal lucore delle briciole del sole,

di umano splendore, di vago dolore, passandoci dentro.

Non sono solo i simboli di smeraldo, no,

non è così, non sei tu l’araldo del dio,

non v’è nulla tra le rughe di saggezza

che ricordi le ombre di rami stagliati

ai riflessi d’un parabrezza, o debolezza,

o la dolcezza che lasci dentro, tra le mani

del bambino, d’una splendida aurora depressiva,

magia d’incenso che saliva, a spirali,

nel caldo vento d’ogni giorno.

Cos’è che esce dal silenzio? Solo amore,

o goccia d’assenzio su zolletta di tormento,

e dove stai andando? La luna t’è rimasta dentro,

ascoltando, pregando in volo, se dire o no

la scelta di un celeste segmento, lontananza

di temporale all’orizzonte, eppure no, non è soltanto

il silenzio, né un sorriso spento: è un cantare gitano

danzando sui colori seminati nel cielo, o nel tempo.

Dopo io penso di archiviare la vita piegando abiti smessi,

chiudendo una libertà gioita in grandi scatoloni,

incrostati dalla colla calda del pianto, del torrente

di un’assenza ticchettata dallo scandir dell’orologio,

mentre, come uomo, corri, a perdifiato

sul mantello alato che si stempera in ricordo,

seme, gramigna, fiore discreto nella discrepanza

dell’asfalto rotto da chilometri di pioggia.

Il tempo non esiste, ha perso i pezzi nel cammino,

o come in un camino arde il ciocco di legno della vita,

diranno un giorno che sei morto, sbriciolandoti in un lampo,

che compiuto il suo destino ha il pazzo, in un campo

di saggezza illimitata, nel tempo stabilito

da quel confine incerto che incatena ogni uomo

a un eterno senza senso, a un labile consenso.

Ora chiudo il maglione nero

 dentro l’ultima valigia,

cosa resto a fare qui,

 a chiedermi: son matto anch’io?

Che cammino un po’ distratto

in un dirimpetto altrove.

 


(alla memoria di Lucio)


*Versi e dipinto digitale (Natura morta in arancione ) di G. Fattori ricevuti direttamente dallo stesso Autore.

Carlos Sanchez: A volte credo di essere alla fine: mi domando, alla fine di cosa?

Questa mia ginnastica – Esta gimnasia mía
di
Carlos Sanchez

carlos sanchez,versi,libro,poesia,dinanimismo,argentina,italiaSmarrito come un cane rauco
come una lucertola con impermeabile
transito per l’ampio viale di questa vita
senza freni né semafori verdi.
Sono un uomo moderno
informato dei contrattempi di questo mondo
vedo bruciare gli dei di cartone
ed il ruminare inesorabile della storia.
Penso che la poesia non mi giustifichi
e non riesco a spegnere questa ginnastica metafisica
con nessuna occasionale allegria.
A volte credo di essere alla fine:
mi domando, alla fine di cosa?

*Versi tratti Dal libro “La poesia, le nuvole e l’aglio”
– Librati 2009- e ricevuti direttamente dall’Autore tramite Social-Network

Esta gimnasia mía

Extraviado como un perro afónico
como un lagarto con impermeable
transito por la amplia avenida de esta vida
sin frenos ni semáforos verdes.
Soy un hombre moderno
enterado de los percances de este mundo
veo quemar los dioses de cartón
y el rumiar inexorable de la historia.
Pienso que la poesía no me justifica
y no logro apagar esta gimnasia metafísica
con ninguna ocasional alegría.
A veces creo que estoy en el final:
me pregunto, en el final de qué?

Nuova Versi di Giancarlo Fattori!!!

giancarlo fattori,versi,inediti,dinanimismo,amici,amicizia,cosmica.GLI AMICI COSMICI
di
Giancarlo Fattori

L’acufene che, come treno in corsa,

ci attraversa la mente, selvaggia,

di rami spezzati, di contorti paesaggi;

forte il fischio del suo scorrere

e tu, anzi noi, che rinchiudiamo la speranza,

non cambiamo mai, è eredità di cammino,

è amore piccolo, cullato in robuste braccia.

Sdraiato sul palmo della mano,

(la mia mano onesta, fragile,

che accoglie fumo d’erba e voli di aquile,

vanto bradicardico d’affettuoso sguardo)

tu segui il mio perdersi lontano come vento leggero,

un velo, la pagina di un libro, la corda della chitarra,

mentre io accolgo i tuoi affranti affanni.

(Eh si, pizzichi le corde dell’anima, la mia, la tua,

scorrendo le dita sulla tastiera, risonanza

magnetica-musicale, cosmica, transazionale,

funzioni psichiche del suono, del canto,

stonato, della serie: lasciati andare,

lascia scorrere ciò che pulsa dentro,

lascia che esca, al limite incrinato della voce).

E si parla di figli, di coscienze celesti, col cuore

fluttuante e lo specchio che riflette le parole,

le masturbazioni, il calcio a un pallone,

e poi scendi, ruzzolando, le scale, saliscendi della vita.

(Eh già, ruzzolando insieme ad ogni spigolo,

vieni, dai che ti abbraccio forte,

abbraccio il tuo malessere leggero

e te lo rendo in forma di leggera carezza,

un tono più alto, uno medio, uno in fondo al pozzo,

un caffè, una pizza bollente da vescicola gengivale,

fratellanza di circoncisa carne).

Cosa dici? Parli di sentieri, di vuoti della mente, della rabbia.

Condividere le cose? Si, e stringi la fatica, le incomprensioni,

e qualche goccia di lacrima che diviene sciarpa di lana,

all’angola della strada buia, di un pensiero rimosso,

corsa all’indietro verso lontane ferite.

Guarite, forse, perdute, soccorse:

d’amore il tuo sguardo è pregno,

sei soltanto un altro pazzo nella collezione di pazzi,

una gramigna, un seme ben oleato,

e mi soccorro, appena posso, al silenzio, all’ascolto,

all’ebbrezza confusa, al confuso senso dell’esistere.

Senza perdersi, né perderti, né perdermi:

solo errando, di sbaglio in sbaglio

fino a un accecante abbaglio,

o all’unico possibile barbaglio di luce.


*Versi ricevuti direttamente dall’Autore Giancarlo Fattori, 28 aprile 2013

**Foto di “Eistein e Fisici 1931” postata dalla redazione del blog e liberamente tratta da:http://www.vip.it/le-foto-piu-viste-in-cinque-anni-di-flickr/einstein-e-fisici-1931/

“L’Orda primordiale e il gregge Massa” di Giovanna Mulas.

giovanna mulas,zairo ferrante,dinanimismo,saggio,darwin,freud,masse,politicaSecondo Darwin la forma originaria della societa’ umana fu quella di un’orda ( dal tartaro, a designare le Torme dei tartari erranti, tribu’, accampamento. Passato in occidente attraverso le lingue slave e il persiano con le invasioni mongoliche, estendendo il proprio significato da generico accampamento, a quartier generale, a esercito, fino al significato attuale )  sottoposta al dominio illimitato di un maschio forte. Credete sia possibile, oggi e nella civilizzata Italia, una nuova dittatura?.

Potenza assoluta di un monarca non vincolato da nessuna legge. Qualcuno crede che l’autocrazia sia da escludere; dopo tutto ne conosciamo le conseguenze.
Eppure e nonostante, continuo a pensare a Nietzsche: “…come uno spirito di uccello profetico, che guarda all’indietro quando racconta ciò che verrà”.

Per Le Bon cio’ che colpisce in una massa e’ che gli individui che la compongono, indipendentemente da tipo di vita, occupazioni, temperamento o intelligenza, acquisiscono un’anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa. Quest’ anima li
fa sentire, pensare e agire in modo del tutto diverso da come ciascuno di loro, isolatamente, sentirebbe, penserebbe e agirebbe. La massa e’ creatura provvisoria, impulsiva, mutevole, irritabile, composta da elementi eterogenei saldati per un istante. I nostri atti coscienti derivano da substrato inconscio formato da influenze ereditarie.
Questo substrato racchiude gl’innumerevoli residui ancestrali che
costituiscono l’anima della razza.  E dietro i nostri atti, nelle
cause da noi confessate, ve ne sono di altre da noi stessi ignorate.
L’individuo in massa acquista, per il solo fatto del numero,
sentimento di potenza invincibile. La massa e’ anonima, quindi
irresponsabile. La personalita’ consapevole e’ abolita, la volonta’ e il discernimento svaniti. L’individuo immerso nella massa scende di parecchi gradini la scala della civilta’: ha il comportamento di un bambino indisciplinato, e’ ipnotizzato, automa, incapace di essere guidato dalla propria volonta’, e’ un istintivo con la ferocia e la violenza degli esseri primitivi.

Tuttavia la massa e’ un gregge docile che non puo’ vivere senza un padrone.

Trovo interessante un esempio fornitoci da Freud: puo’ accadere in un collegio che una delle ragazze riceva da colui che ama segretamente una lettera che la fa ingelosire, alla quale reagisce con un attacco isterico.

Alcune sue amiche al corrente della cosa contraggono l’attacco per quella che e’ detta ‘infezione psichica’.

Un tradimento, o presunto tale, da parte del partner, potrebbe accadere anche a loro, visto che vivono la stessa condizione di amore segreto.

Il meccanismo e’ quello dell’identificazione indotta dalla possibilita’ o dalla volonta’ di trasporsi nella medesima situazione. Ecco, dall’identificazione parte la strada che, passando per l’imitazione, giunge all’immedesimazione.

Nella massa ognuno s’ identifica nell’altro, tutti sono immedesimati nel Capo, il leader che, con forza e potenza superiore, dovra’ rappresentarli.

Ora la domanda e’: che accade se questo leader delude il gregge-massa?.

E’ fondamentale, per la sopravvivenza della massa, che tutti vengano amati nello stesso modo, senza preferenza di sorta,
dallo stesso individuo, quello appunto ritenuto il capo, il leader.
L’esigenza di uguaglianza della massa vale solo per i singoli membri, non per il capo. Tutti i singoli vogliono essere dominati da uno solo, molti uguali che s’identificano l’un l’altro e un unico superiore a tutti.

Ora analizziamo l’uomo della societa’ civilizzata a cellulare e
web.

Mettiamolo al buio, terrorizziamolo: assenza storica di una
politica sociale e culturale, disoccupazione ai massimi storici,
corruzione, fame, suicidi, depressioni, mancanza di dignita’, nuova repressione giustificata con la crescita della violenza,
individualismo.

Dall’altro lato, nuova consapevolezza che ricchezza e potere sono sempre stati e restano concentrati in pochi, stessi elementi…. Ogni regola verra’ annullata: si tornera’ primitivi.
Facciamo in modo che le persone abbiano paura del presente e del futuro, si fara’ fare loro qualsiasi cosa: si rivolgeranno a chiunque prometta una soluzione.

Ritengo avvenga una sorta di mimetismo speculare: uno slittamento dell’identita’ da uomo a uomo, dal buio ad una parvenza di luce. L’identita’ verra’ catalizzata dalla gerarchia
rassicurante.

Quanta responsabilita’ in tutto questo da parte di politica e religione?.

Ancora: cosa e come la politica, o la religione, sono in grado di fare per generare il coinvolgimento malato nelle masse?

Dopo, appena dopo, le identita’ speculari sfuggono al controllo. Avremo a che fare con attori che scoprono la recitazione soltanto nel momento in cui il sipario si apre.

*Saggio Ricevuto direttamente da Giovanna Mulas per ufficio stampa Isola Nera

**dal Blog ufficiale
http://giovannamulas.baab.it/2013/03/11/credete-sia-possibile-oggi-in-italia/

****http://giovannamulas.baab.it/ , il Blog
Cinque Pagine Ufficiali in Facebook Italia
Profilo ufficiale in Twitter

*****Foto di darwin postata dalla Redazione e liberamente tratta da: http://www.riservadelladuchessa.it/etologia/comportamento-animale.php?etologia=charles-darwin