SCRITTI DEI SOSTENITORI

39835_143279409027028_100000349098153_288146_7114229_s.jpgBRANDELLI DI CIELO

Inedito di ROSA ROCCO

Entrai nell’intangibilità, in quel livello di completezza, in quella esaustività di tutti i relativi e mi accorsi che non era un uomo che cercavo.

Lùt, neanche lui sapeva tirar fuori il residuo, le abilità
finalmente libere di me, la curiosità allestita su misura per l’altro.
Mi ritrovai nel profumo delle lenzuola appena ritirate dal sole, in mezzo a lenzuola, fragrante lino bianco ruvido. E nel bianco i miei pensieri si schiarirono e lì li vidi fuori di me, e cominciai a chiacchierare un po’ con loro: << Armanda doveva trovare, trovare la sagoma, la complessione di quell’amore essenziale che ti fa sentir paga e che più volte le era balenato.
Era alla ricerca di una stazione essenziale nelle sue proporzioni, giardino e panchina per poter attendere non il treno, ma il vagone scarno di quell’amore .
Doveva solo conferire una luminosità rivelatrice di aspetti, dei tanti aspetti di non so che cosa, che prendeva causa formale lentamente, che si disponeva pian piano; a lei, però, non era dato ancora conoscere.
L’angaria mi ha sorpreso e mi ha mostrato la strada.
No, non era un uomo che cercavo. La sensualità non va intesa solo come piacere venereo, ma può esprimersi anche in tratti di vivacità, occhi e bocca che si sorridono spontaneamente perché sei libera da limiti. Dovevo sgrassare ciò per essere felice, di una felicità che non si chiede, ma si acquista >>.
E lentamente con un’andatura stabile, capelli che navigano nel vento, piede innanzi a piede, con un occhiare sodo si accingeva la sua mente a considerare, quello che lei non aveva considerato.
Armanda iniziava a colorare le sue fiabe, o meglio iniziava a disegnare la sua fiaba usando come pennello l’armonico accostamento di suoni, di fatti, sfoltendo l’eccesso per evidenziare la radice, l’alterità che stimola la divergenza.
Il tempo si svolge, si espande disinvolto, lentamente ti estende e va riempendoti di un compendio stazzonato, palpeggiato accarezzare, privo di steccaie che tambussa fino a che l’orchestra con la sinuosità dei violini, con il cadenzato del pianoforte, il suono buttato del tamburo trova il fine, in un sax fluido e scorrevole e in un ottone pinzato che si sorprende e si conclude cedendo il passo ad una sonorità di gemiti, di vagiti e rantoli, elegante eufonia che si trasforma in follia di un silenzio per avere e tralasciare l’abitudine alla vita.
E allora slittai in un treno su prati di fiori campestri, di un vero color bianco affusolato d’attraente, sostenuti da steli semplificati, foglie contigue che si uniscono in una linea di verde puro con i loro tubendi.
Farti confortare dall’aria che dà finitura nello sfrecciare di un treno che la penetra e va nelle sue fesse divenendo generalità.
In questo processo lei si avvertiva un logos recente, motivato da nessuna esigenza di costume.
Parola che è un silenzio, parola che diventerà costrutto desueto, espressione reintrodotta, atteggiamento archeano simile ad una zona ben illuminata dal riverbero della luce.
Vorrei la parte di me che rimane inespressa.
Vorrei il brandello di cielo, viaggiare verso il consueto volume del piacere e poi sopra, sopra al qualsia volume di Lui, tardigrado e misurato, scoprire che è un mio compendio di circostanze, luoghi e tempi emotivi che diventano nel loro mescolarsi invenzione. Sintesi di tutti gli spazi vissuti, sintesi di oggetti, di tempi, di persone che ti hanno reso la tua vita.
Tutti gli spazi antropologici rendono altro luogo, altro tempo, altra circostanza, rendono brandelli di cielo.
Elementi questi senza bisogno di confini, che creano il silenzio senza paragoni.
Allora la vocalità cede il passo all’azzittirsi.
Silenzio dove si ascoltano accordi di suoni disumani di uno stravagante atteggiamento di silenzio.
Prima che tu sia c’è silenzio, dopo che tu sia stato c’è silenzio.
Mille cose ha da lavorare il silenzio.
E all’improvviso la mia biro sta tratteggiando particolari, passi stentati, barba e capelli in baruffa in un sorriso che raccontava con occhi, bocca. Dicevano tutto di lui, di quella malinconia giocosa e puerile, fragile e debole.
Stavo tratteggiando il mio dottore.
Così diventai quia, il fatto, incapace di filtrare perché quell’uomo era una fiacca fiorifera, pieno di contenuti ingiustificabili.
E io, contenuta e misurata, trovai gli elementi del senso, le conterie ( perle di vetro di diversa grandezza) di un viola scorrevole e le colorai piene di contezza consapevole della contingenza.

Lui…. era senso di movimento, sensuoso movimento della vita; era il qualificatore del vivere, era l’usanza del mio vivere, margherita sorridente e composta, gemmare di un gelso guardato a testa in su, estensibilità, determinatezza generativa di un’ entità produttiva di sistema.
Stato di cose che imponeva un talento, come chi nello stesso spazio ha creato i templi dal rossore agrigentino, come chi ha creato l’ulivo alle cui radici, ortiche nelle loro direzioni vivaci, vitali e dinanzi a loro, un papavero con il suo solo filamento e, infine, come chi pasteggia nell’abuso rabbioso un frutto a peponide globoso a scorza liscia marmorizzata, il rosso nel verde frammisto di semi in un cicalecciante pomeriggio d’estate. Un cocomero sopra un’incerata resa evanescente dal luccichio del succo, avendo dinanzi una cocomeraia con i fusti striscianti, foglie pelose lobate dall’uniforme bellezza agreste. Quantità e qualità di sensazioni vogliono dire funzionalità di ognuno, rispondenza alle esigenze fisiologiche di ognuno. Ad ogni capacità umana corrisponde un godere di vita inequiparabile.

Dunque c’era desiderio ma non di un uomo.

Desideri che si evaporano in gesti inconsapevoli di mani, di gambe mettendo in chiaroscuro tutte le sensazioni nel momento in cui si provano. Oggi, invece, si vuol dare una geometria alla propria mente che dovrebbe essere quel principio immateriale, partecipe del divino e non una locuzione, gruppo di parole funzionanti come una unica unità grammaticale, o un modo figurativo, fondato sull’intento di fornire una rappresentazione analogica e originale di oggetti reali.

E’, pertanto, la sede intima delle sostanze vitali.

ROCCO ROSA:  ha già pubblicato un libro di narrativa intitolato “Profumo di padre” casa editrice “Il grappolo”. Presentato dal prof. Reina Luigi, preside della facoltà di letteratura di Salerno, presso il Comune di Baronissi (SA). Sono intervenuti il prof. Paolo Petraccaro (Università degli Studi di Salerno), la proff.ssa Boggi Cavallo Pina (Università degli Studi di Salerno).

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QUADRO DEL MAESTRO CAROFALO VINCENZO:

SCRITTI DEI SOSTENITORIultima modifica: 2010-08-12T16:06:00+02:00da zairo-ferrante
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1 Commento

  • Solo una mente superiore, anzi superlativa, può generare pensieri di tale profondità, testimonianza autentica di un’anima alla ricerca, prepotente eppure sommessa, affannosa ma graffiante, di una ineffabile alterità.

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